Evermore - 𝑆𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝐶...

By dyrneromance

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Dorothea ha ventiquattro anni e un sogno custodito nel cassetto della sua scrivania, tra bobine consumate dal... More

Disclaimer e Cast -
Intro -
𓆰𓆪
𝐑𝐄𝐂 𝟎𝟏
1 - Universi
2 - Portland, OR
3 - Sciarpe di Lino
5 - Concime per le primule
6 - Tinta sbagliata
7 - Fort Aberdeen
8 - Solo una stupida ragazzina
9 - Abissale
10 - Arvo
11 - In picchiata
12 - Poker e Umiliazioni
13 - Nei corridoi del Monev
14 - Noodles
15 - Ginevra
16 - June Kennedy
17 - La nostra più grande delusione
18 - Buon anno, sorellina
19 - I giardini di Babilonia
20 - Ragno Lupo
21 - Spike
22 - Qui o in camera, scegli tu
𝐑𝐄𝐂 𝟒𝟓
23 - Jack&Rose
24 - Poligamia malfunzionante

4 - 15 years, 15 million tears

91 14 32
By dyrneromance

Tampo -  nella cultura filippina si riferisce a un comportamento in cui una persona "ritira" il suo affetto o la sua allegria da una persona che ha ferito i suoi sentimenti. È un'espressione che può essere tradotta come un senso di offesa o di astio che una persona prova quando si sente trascurata, ignorata o quando ha l'impressione che qualcuno non stia considerando i suoi sentimenti. Spesso, il "tampo" può portare a un periodo di silenzio o distanza emotiva.

When the words of a sister
come back in whispers
that prove she was not
in fact what she seemed
not a twin from your dreams
she's a crook who was caught

Ramona, Bernelle e Dorothea si conobbero al liceo, inevitabilmente aggiungerei dato che frequentavano le stesse classi.

Si presentò prima a Bernelle, quando in un giorno soleggiato d'autunno le chiese se avesse la dispensa di arte. Da lì iniziò un'amicizia speciale.

Bellie, così si faceva chiamare da chi la conosceva, era sempre stata una ragazza solare, affettuosa ma con pochi amici. L'arrivo di Dorothea, nella sua vita, era stata come una manna dal cielo, come il sole d'improvviso in un anno tempestoso.

Dorothea c'era quando Bellie perse la nonna e l'anno successivo Pirula, la sua cagnolina di quindici anni. C'era quando l'intero corso di matematica le andò contro perché si sparse in giro per la scuola una falsa voce su un'ipotetica relazione tra Bellie e il professore di chimica, Mr Roger.

Dorothea c'era quando Bellie vinse le olimpiadi di matematica, quando decise di iscriversi all'università di chimica organica e quando cadde nell'anoressia. Non avrebbe mai lasciato il suo fianco, neanche per i motivi più disparati: nulla l'avrebbe fatta allontanare, se non Bellie stessa.

Iniziò a capire che c'era qualcosa che non andava più nella loro amicizia più o meno alla fine del liceo, ma non l'avrebbe mai ammesso a se stessa.

Subito dopo il primo anno universitario, Dorothea guardò Bernelle allontanarsi giorno dopo giorno finché quei messaggi giornalieri non divennero settimanali, e quelli settimanali in mensili. Si sentiva esclusa dalla vita dell'amica, come se tutto ad un tratto le si fosse chiusa una porta in faccia, nonostante non si fosse neanche mai accorta della presenza di tale porta.

Bellie iniziò a fare nuove amicizie ma Dorothea ne fu sinceramente felice: pensava che meritasse l'amore degli altri e che questi dovessero capire quanto speciale fosse la sua migliore amica.

Provava invidia, alcune volte e quelle poche in cui si sentivano. Bellie le raccontava di tutte le novità nella sua vita, dei ragazzi che conosceva e di quanto fosse fiera di se stessa per essere riuscita a sconfiggere il suo disturbo alimentare. Si allenava, in quel periodo iniziò a frequentare la palestra ogni singolo giorno, e in poco tempo si trasformò in una delle ragazze più attraenti che Dorothea avesse mai incontrato. Aveva una lunga chioma bionda che le arrivava poco più all'altezza delle anche, sottili sopracciglia dello stesso colore dei capelli e il viso piccolo e pallido. Sembrava fatta di porcellana, con le labbra sottili e l'arco di cupido pronunciato, il naso piccolo, sulla punta tondeggiante, e il ventre piatto come quello delle supermodelle.

Spensierata, così Dorothea la definiva provando stizza per se stessa. Avrebbe voluto essere come lei, senza paranoie, mille pensieri su milioni di cose da fare, ricordare, su persone che avrebbe dovuto e potuto conoscere se non fosse stata così tremendamente insicura di sé.

Ma Bernelle non era perfetta e, come tutti, nascondeva un segreto che presto si rivelò essere il peggior tradimento che un'amica potesse infliggerle.

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...

Io non pretendo che tu sia sempre presente nella mia vita.

C'è chi pensa che un buon amico sia colui che c'è nei momenti difficili 
eppure, se dovessi pensarla così, 

allora tu saresti il peggiore.

...

So che non sai quanto male io stia ma te l'ho detto, che almeno un po', sto soffrendo tanto quanto te.

...

Mi tiri in faccia la tua solita scusa, mi chiedi perdono e mi dici che non avresti mai voluto ferirmi, che stai male fisicamente e io mi preoccupo per te anche se non dovrei perché è così che si comportano gli amici.

||

Avrebbe voluto che qualcuno la cercasse per chiederle sinceramente come si sentisse e che, magari, la aiutasse a trovare una risposta e una soluzione a quello che celava dentro. Non odiava la vita, odiava la sua vita e avrebbe voluto che fosse tutto diverso.

Con Ramona invece il discorso era un bel po' diverso. La loro amicizia nacque in modo concomitante a quella con Bellie, un legame però completamente diverso.

Alcune volte Dorothea credeva sul serio che quella di Ramona non fosse altro che una delle sue tante anime sparse nell'universo che si era persa lungo il cammino, finendo nel suo stesso mondo. Avevano gli stessi interessi musicali, seguivano gli stessi corsi scolastici, avevano la stessa opinione su tutti e tutto. Non c'era invidia, rancore o risentimento tra loro. Dorothea non ricordava di aver mai litigato con lei, un po' in merito al fatto che entrambe tendevano a non mentirsi a vicenda, parlavano in continuazione di ciò che realmente pensavano e se avvertivano che qualcosa non andava nel loro rapporto, non ci rimuginavano troppo evitando di parlarne.

Nonostante questo fantastico rapporto, le capitava alcune volte di sentire e avvertire Ramona un po' distante. Aveva le sue amicizie, aveva una ragazza a differenza di Dorothea che si sentiva in continua soggezione ogni qualvolta si soffermasse a pensare alle due amiche.

Non si sentiva realizzata e sapeva che a venticinque anni non ci si poteva aspettare molto. Eppure più le tornavano in mente quei pensieri, più lei tendeva a crogiolarcisi sopra fino allo sfinimento. Aveva provato a parlarne con la madre ed Anjette le aveva detto di non essere troppo severa con se stessa a quella giovane età, confermando il fatto che nessuno riuscisse a capire realmente ciò che lei stesse provando.

Così qualche giorno dopo, nel mattino di un martedì piovoso, finì col controllare più volte del dovuto i messaggi sul suo cellulare. Si aspettava che Ramona la contattasse, dato che era l'unica a saperlo, per chiederle come fosse andato il viaggio, che tempo di merda facesse lì e quanto l'O'Brien si sentisse solo e spaesato senza i suoi pattini in pista.

Ma non ricevette alcun messaggio del genere, se non i soliti accenni a Lyah.

Finse per tutta la mattinata che quell'atteggiamento le andasse bene, giustificandolo più del dovuto a quella parte di sé che si ostinava a pretendere di ricevere la costante attenzione di tutti. D'altra parte però, era a consapevole che per l'amica non fosse uno dei periodi migliori, che magari la sua vita fosse molto più frenetica e impegnata della sua. Perché era successo anche con Bellie e proprio per questo cercava di non farsi pesare quella situazione più di tanto, dandosi dell'infantile solo per il fatto di aver pensato di trovarsi al centro del mondo. Non doveva pretendere di ricevere aiuto costantemente, non doveva farlo di nuovo se la prima volta non aveva ricevuto nulla in cambio. Eppure quella sensazione era più forte di lei, si dannava nel chiedersi perché dovesse soffrire così tanto per qualcosa a cui gli altri probabilmente neanche davano importanza.

C'era sempre per tutti, in ogni istante di ogni situazione e voleva solo un po' di reciprocità. Per quanto ci provasse, per quanto volesse rispettare se stessa e smettere di fare l'ennesimo primo passo, si sentì costretta ad inviare un messaggio a Ramona, ammettendo di come si sentisse persa e in ansia, attutendo quell'estenuante sensazione di colpevolezza che provava illegittimamente.

Qualche minuto dopo ricevette una risposta e quella conversazione finì come era iniziata: l'amica le disse di avere la febbre dalla notte precedente e di essere stata impegnata con il lavoro, ma che comunque avrebbe potuto videochiamarla in qualsiasi momento ne avesse avuto bisogno.

Solo allora Dorothea rimproverò se stessa per essere stata così avventata, come tante altre volte, e chiuse la conversazione per lasciare l'amica a riposare.

Trascorse le due ore che anticiparono il pranzo per concludere Ragione e Sentimento di Jane Austen - trovandolo noioso per certi versi -, e gettando di tanto in tanto qualche occhiata fuori alla finestra, sperando che quella pioggia non si fermasse. Nel Victoria pioveva molto frequentemente e quelle goccioline di pioggia la rimandavano ad Altona Valles.

Verso l'una del pomeriggio il pranzo era pronto, suo padre però era via per concludere delle urgenze di lavoro. Appena si sedette a tavola calò il silenzio, come se il suo arrivo in cucina avesse interrotto una conversazione a cui non avrebbe potuto prendere parte. Anjette e Tyrone continuarono a parlare del più e del meno, dicendo cose a cui Dorothea non prestò molta attenzione, con la consapevolezza che l'argomento di discussione fosse cambiato nell'esatto istante un cui aveva messo piede in stanza. Guardò annoiata la carne nel suo piatto, decidendo di lasciarla da parte e di mangiare solo il contorno: c'erano delle volte in cui certi cibi non riusciva proprio a mandarli giù, come se il suo corpo si rifiutasse di ingerirli e, quella, era proprio una di quelle innumerevoli volte.

«La signora Marjorie come sta?», le venne da chiedere quando le tornò in mente l'anziana vicina di casa. Era come una seconda nonna, considerando che da parte paterna Dorothea non aveva mai conosciuto alcun parente. I genitori di suo padre erano morti anni prima che lei nascesse, suo nonno in guerra a soli quarant'anni e la nonna di collera pochi anni dopo. Evan aveva appena diciassette anni e nessun fratello o sorella a cui rivolgersi, per questo decise di arruolarsi nonostante i vani tentativi di Anjette nel convincerlo a non allontanarsi da lei. La signora Marjorie le aveva accolte dal primo giorno in cui misero piede in quella parte di sentiero rurale di Altona Valles, mostrando sin da subito cordialità, accoglienza e un affetto che normalmente avrebbe riservato a dei nipoti, che però a quel tempo non aveva.

«Ha ancora i reumatismi alle ginocchia e alla schiena», rispose sua madre mettendo dei fagiolini nel suo piatto. «Il medico è andato a visitarla e le ha prescritto delle gocce e alcuni antidolorifici. Ho dovuto parlagli a telefono per spiegargli delle cardioaspirine e delle compresse per la pressione.»

«Chi è la signora Marjorie?», le interruppe Tyrone mentre sorseggiava dell'acqua aromatizzata al limone.

«Oh, è la nostra vicina...una persona davvero squisita. Dorothea ne è così affezionata, vero?», la figlia mormorò qualcosa di incomprensibile, abbassando di nuovo lo sguardo sul suo piatto. Dopo qualche minuto passato a sentirsi lo sguardo del fratello su di sé, alzò lo sguardo e finalmente lui parlò.

«Come va con l'università?»

«Normale.»

«A che anno sei?»

«Al quinto.»

«E stai già facendo il tirocinio?» A Dorothea andò di traverso un fagiolino cominciando a tossire così forte che sua madre dovette tirarle tre colpi dietro la schiena.

«Santo cielo...», sussurrò la madre versandole velocemente dell'acqua mentre Dorothea si riprendeva a stento, non dal fagiolino ma dalla domanda. Annaspò, poi bevve l'acqua guardando lo sguardo neutro del fratello, lo stesso di chi aveva appena scoperto la realtà dei fatti.

«Bene», aggiunse Tyrone tornando a mangiare, eppure sua sorella sapeva che aveva qualcosa da dire, ma non riusciva a farsi alcuna idea su come tirargli fuori le parole. Non lo conosceva abbastanza per sapere con certezza se avesse capito tutto, peggio ancora se lo avesse detto a loro padre. Così guardò sua madre, che ricambiò l'occhiata altrettanto confusa e non osò dire nulla.

Dopo pranzo Anjette uscì per andare da Julia, un'ex vicina di casa che aveva incontrato il giorno precedente al supermercato e con cui si era accordata per vedersi per un caffè quel pomeriggio. Tyrone era sul divanetto in salotto, aveva il portatile sulle cosce e le gambe stese davanti a sé. Quando Dorothea entrò in stanza e lo vide, si stupì di quanto quel divanetto sembrasse una miniatura a confronto con la stazza del fratello.

Aveva passato una buona mezz'ora a decidere se avrebbe dovuto parlagli o meno, cercando modi non imbarazzanti per iniziare quella conversazione. Tyrone la notò subito, la stanza era cupa, piena di ombre causate dal grigio e tetro ambiente esterno e dall'unica fonte di luce presente in casa, ovvero il camino. Era come se sapesse bene di non dover essere lui ad iniziare quella conversazione, che proprio Dorothea aveva in mano le redini di ciò che si sarebbero detti. Per questo rimase ad osservarla, mentre lei lo guardava sospirando, aspettando che le parole uscissero da sole dalla sua bocca.

«Io e te non ci conosciamo...», furono le prime parole che lasciarono spazio ad un'iniziale confusione, «...io non so che carattere hai e tu non hai la minima idea di quale sia il mio.» Tyrone annuì lentamente, come se stesse realizzando al momento ciò che gli era stato appena fatto notare. Anche lui era consapevole di quell'abisso presente nel loro rapporto e proprio per questo motivo cercava di notarlo il meno possibile, come se volesse attutire quella sensazione melensa di inconsistenza che provava ogni volta che i suoi pensieri giungevano ai pochi ricordi con la sorella.

«In un certo senso.»

Dorothea si aspettò che continuasse, però Tyrone era incapace di giungere a conclusione almeno tanto quanto lei.

«Quindi...»

«Quindi?»

«Lo dirai a nostro padre?» Suo fratello ritrasse il collo, indietreggiando il capo con la fronte corrugata proprio come chi rimane sorpreso ad un'insinuazione assurda.

«Dirò cosa?» Dorothea sospirò portandosi le braccia al petto, aspettando che lui capisse. «Davvero, non capisco di cosa tu stia parlando.»

«Del fatto che non c'è nessun tirocinio e che sono in ritardo con l'università.» Tagliò corto pregando l'universo affinché i suoi genitori gli avessero concesso un briciolo di intuizione. Ed era così, poteva essere distratto o un caposcarico la maggior parte del tempo, però l'astuzia e la sua capacità di comprendonio avevano livelli superiori a quanto lasciasse trapelare.

«Ah...», sembrò infatti capire, così spostò il portatile dalle gambe e si mise a sedere decentemente. «No, è una cosa tua e spetta a te decidere se dire la verità o continuare così.»

Le intenzioni di Tyrone erano puramente gentili, però alle orecchie di Dorothea suonarono quasi meschine, come se si stesse prendendo gioco di lei e della sua situazione. Per questo sentì ribollire le gote, dal collo in su fino alla punta delle orecchie, mentre man mano l'imbarazzo e la vergogna per quella considerazione avanzavano man mano e lentamente, strisciando sul suo corpo come magma sgorgante dalla bocca di un vulcano appena eruttato.

«Ho motivi validi.»

«Va bene...», Tyrone alzò le spalle, scuotendo la testa con le labbra pressate l'una contro l'altra. «Però papà non è stupido e prima o poi lo capirà.» Cercò di aprirle gli occhi, stava cercando di convincerla indirettamente a togliersi quel molare prima che si infiammasse, evitando di causare ancora più dolore prima a suo padre e poi a se stessa, sua sorella.

In quel momento Dorothea dedusse tutto, a malincuore più per sua madre che era stata così stupida da spiattellare la vita privata di sua figlia ad un fratello quasi perso che non vedeva da tempo. Sentì stringersi il cuore in petto, i suoi sentimenti, la sua fiducia erano stati feriti dalla figura genitoriale che più sentiva vicina e a cui avrebbe dovuto essere più affezionata.

«Quindi mamma te l'ha detto.»

«Mi ha detto anche del pattinaggio, però non è quello a preoccuparmi...se resta solo un hobby.»

Sbuffò una risata amareggiata, era così stufa di tutta quell'incomprensione a cui doveva sottostare per continuare a vivere sotto il tetto degli Adams. Avrebbe voluto prendere le sue cose e andarsene di lì il prima possibile, lasciare quel fardello a sua madre che, data la sua incapacità di tenere la bocca chiusa, molto probabilmente a giorni avrebbe rivelato tutto anche al suo ex marito.

«Giusto, vi sta bene finché resta un semplice hobby.»

«Non ci vediamo da...», si fermò un attimo come a contare davvero il tempo, «...sei anni? Ogni volta che vengo a trovarvi non ti fai mai vedere, non ti troviamo in camera tua e nemmeno nel capanno. Non sono stupido, le domande so pormele anch'io, ecco perché mamma mi ha detto tutto.» Dorothea spostò lo sguardo sul camino, proprio alle spalle del fratello che continuava a persistere il suo su di lei.

Entrambi si volevano bene, che l'avessero ammesso o meno, e avevano quel legame che avrebbero potuto sciogliere da un momento all'altro, per tantissime altre volte. Eppure, nonostante ciò, entrambi sapevano che si sarebbero sempre ritrovati. Però il rancore di lei e la troppa considerazione di Tyrone per la volontà e le aspettative dei genitori, innalzavano quel muro di mattoni fatto di risentimento e rabbia che solo un enorme sfera da demolizione avrebbe potuto tirar giù. Di cosa era fatta quest'ultima, nessuno dei due lo sapeva, e proprio per questo il tentativo di riconciliazione terminava sempre lì dove iniziava.

«Papà ti vuole bene, ti assicuro che non c'è stato momento in cui ho messo in dubbio il suo affetto nei nostri confronti e, proprio per questo, potrebbe metterci un po' a capirlo. Non c'è nulla di male nell'ammettere che la strada che ti hanno spianato non faccia per te, siamo tutti diversi ed è questo il bello. No?»

Scosse la testa, non per risposta ma in segno di arresa.

«Non puoi capire.» Non poteva farlo semplicemente perché non era mai stato al suo posto, quello di una sorella più simile ad una sconosciuta, una vita intera a soffrire per la mancanza di componenti della sua stessa famiglia, a nascondere le sue vere passioni pur di dare il contentino ai genitori. Era duro ammetterlo, però più parlava con Tyrone più si rendeva conto che continuare a trascinarsi dietro quella cosa avrebbe solo rimandato costantemente la situazione e che prima o poi, che lo volesse o meno, avrebbe dovuto ammettere la verità.

«Continua a tenere la bocca chiusa, tanto sei bravo in quello.»

Lo lasciò all'istante, tornando a rintanarsi nella sua stanza, tra quattro mura gelide per via dell'aria fredda che trapelava dall'esterno. Era così incazzata con se stessa per aver accettato di passare quelle vacanze anticipate con loro, che si pentì di non aver stracciato i biglietti aereo quando ne aveva avuto la possibilità Quella sera decise di non raggiungerli per cenare, aveva lo stomaco chiuso e la neghittosità di mettere su un volto sereno per compiacere l'attenzione degli altri. Sua madre bussò due volte alla porta della sua stanza e, alla terza senza risposta, decise di entrare in camera.

Ecco l'altra cosa che odiava della sua famiglia, la totale incapacità di concedere quel briciolo di privacy che necessitava. Così, da sotto il piumone, strinse il pugno intorno alle lenzuola cercando di respirare il più lentamente possibile pur di fingere di star dormendo.

Non funzionò, perché un attimo dopo sua madre scosse il suo corpo con una mano, richiamandola più volte pur di "svegliarla".

«Che diavolo succede?» Si ritrovò a brontolare, facendo sbucare il viso arrossato dal calore delle coperte.

«Datti una sistemata e vieni a salutare gli ospiti.»

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