Carovana

By ManuelaFlore

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πŸ† WATTYS 2022 WINNER! πŸ† WEBTOON STUDIOS πŸ“š Β«Ti bacio finchΓ© non nasciamo di nuovo, insieme, noi due.Β» Layl... More

AVVERTENZE
β€οΈβ€πŸ©Ή Dedica e trama
πŸ€ΉπŸ»β€β™‚οΈ I loro volti
πŸ† Premi
Prologo
CAPITOLO 1 - Accasare
CAPITOLO 2 - Volare
CAPITOLO 3 - Tamburellare
CAPITOLO 4 - Scappare
CAPITOLO 5 - Pregare
CAPITOLO 6 - Conoscere
CAPITOLO 7 - Perdere
CAPITOLO 8 - Ardere
CAPITOLO 9 - Ballare
CAPITOLO 10 - Aiutare
CAPITOLO 11 - Accompagnare
CAPITOLO 12 - Mangiare
CAPITOLO 13 - Vestire
CAPITOLO 14 - Nascondere
CAPITOLO 15 - Predare
CAPITOLO 16 - Assorbire
CAPITOLO 17 - Abbracciare (Parte I)
CAPITOLO 18 - Abbracciare (Parte II)
CAPITOLO 19 - Creare
CAPITOLO 20 - Sostenere
CAPITOLO 21 - Proteggere
CAPITOLO 22 - Regalare
CAPITOLO 23 - Controllare
CAPITOLO 24 - Osare
CAPITOLO 25 - Aprire
CAPITOLO 26 - Sfidare
CAPITOLO 27 - Baciare
CAPITOLO 28 - Mantenere
CAPITOLO 29 - Guardare
CAPITOLO 30 - Esagerare
CAPITOLO 31 - Dovere
CAPITOLO 32 - Colpire
CAPITOLO 33 - Mentire
CAPITOLO 34 - Corteggiare
CAPITOLO 35 - Fermare
CAPITOLO 36 - Meravigliare
CAPITOLO 37 - Semplificare
CAPITOLO 38 - Ordinare
CAPITOLO 39 - Lasciare
CAPITOLO 40 - Afferrare
CAPITOLO 41 - Cambiare
CAPITOLO 42 - Ridere
CAPITOLO 43 - Piangere
CAPITOLO 44 - Mancare
CAPITOLO 45 - Battere
CAPITOLO 46 - Abrtire
CAPITOLO 47 - Lottare
CAPITOLO 48 - Aspettare
CAPITOLO 49 - Risorgere
CAPITOLO 50 - Miserere (Parte I)
CAPITOLO 51 - Miserere (Parte II)
CAPITOLO 52 - Miserere (Parte III)
CAPITOLO 53 - Arrendere
CAPITOLO 54 - Somigliare
CAPITOLO 55 - Amare (Parte I)
CAPITOLO 56 - Amare (Parte II)
CAPITOLO 57 - Volere
CAPITOLO 58 - Ricattare
CAPITOLO 59 - Muovere
CAPITOLO 60 - Leggere
CAPITOLO 61 - Appartenere
CAPITOLO 62 - Giocare
CAPITOLO 63 - Stabilire
CAPITOLO 64 - Festeggiare
CAPITOLO 65 - Morire
CAPITOLO 66 - Allineare
CAPITOLO 67 - Vincere
CAPITOLO 68 - Ucdere
CAPITOLO 69 - Respirare
CAPITOLO 70 - Fa1ciare
CAPITOLO 71 - Comandare
CAPITOLO 72 - Unire
CAPITOLO 74 - Scoprire (parte I)
CAPITOLO 75 - Scoprire (parte II)
CAPITOLO 76 - Andare
CAPITOLO 77 - Sognare
CAPITOLO 78 - Piovere
CAPITOLO 79 - Cedere
CAPITOLO 80 - Essere (parte I)
CAPITOLO 81 - Essere (Parte II)
CAPITOLO 82 - Sposare
CAPITOLO 83 - Ricominciare
CAPITOLO 84 - Progettare
CAPITOLO 85 - Finire
CAPITOLO 86 - Pacificare
CAPITOLO 87 - Vivere (parte I)
CAPITOLO 88 - Vivere (parte II)
CAPITOLO 89 - Cantare
CAPITOLO 90 - Sentire (Parte I)
CAPITOLO 91 - Sentire (parte II)
Epilogo
πŸ†CAROVANA VINCE I WATTYS 2022
Ringraziamenti
πŸ‘‘ IO SONO REGINA πŸ‘‘

CAPITOLO 73 - Invecchiare

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By ManuelaFlore


Lo spettacolo si addormentò su un'amaca di comode ovazioni.

Il Carovana chiuse al suo classico modo armonico, mediante lo sciorinarsi di cinque artisti per volta che, con le ilarità arriccianti le palpebre, si prostravano dinanzi al pubblico, lasciandosi poi inghiottire dal fondale del sipario.

Una, però, fu l'improvvisa asimmetria di quella sera e si associò all'ultimo gruppo di circensi in passerella: se ne contarono quattro.

Tra Layla e Scarlett mancò nuovamente Aria.

Le due, mano nella mano, si genuflessero con ostentata raffineria, tenendosi ai fianchi esterni gli impettiti Oliver e Lorenzo. Vittime dell'incompletezza e della irrequietezza, esibirono sorrisi artificiali, accorpandoli ai loro mesti pensieri.

"Sei qui con noi, fratellone, al centro di tutto. Tornerai" si disse Scarlett, incamerando il bell'elogio con una seconda riverenza.

"Ma che ci sto a fare qui? Questa sera mi danno fastidio anche gli applausi" acclarò Layla, esternando una gaiezza perfino contagiosa.



Tale amalgama di pena e irritazione aveva percosso anche l'animo di Davis, il quale si era esibito a fatica e senza sapere che il pubblico fosse stato reso speciale: suo padre lo aveva applaudito, pertanto stava per interfacciarsi con un grosso conto in sospeso.

Scarlett, trottando a ritroso per allontanarsi dalla pista, si preparò a organizzare l'incontro. Con rapidità si dileguò, e nessuno ebbe di lei più tracce.





Il pagliaccio e la mangiafuoco, una volta superati i tendaggi, cancellarono in sincronia il falso giubilo che si erano dipinti sul viso e lo supplirono con del vero nervosismo. Si fecero spazio tra i colleghi per raggiungere chi, proprio come un vecchio, sapevano stesse sostando su una sedia pieghevole, addossato al bastone posto sotto un braccio.

Sebastian, stretto nello sherpa dal colletto peloso, era già stato attorniato da un fitto cerchio di dipendenti e a questi stava elargendo complimenti. Aveva osservato ogni loro performance da un angolo dell'anticamera, e spiato, oltre le fessure dei velluti imbrillantinati, le reazioni della cavea e il baluginio di una realtà che sembrava respingerlo. Non erano mancati i suoi applausi a fine d'ogni magia, la stessa che non poté fabbricare, ma da cui si era lasciato ammaliare come un pagante sulle gradonate.

Provava a distrarsi in tale modo dalla duplicità di un dolore che avvertiva nel dorso e nel cuore: dov'era fuggita la salubrità? E la sua arte circense?

«Che precisione!» aveva detto quella sera ai verticalisti, quando questi, ancora sudati, erano passati da lui dopo il numero. «Cos'era quel carpiato? Pazzesco», si era congratulato anche con i trapezisti, battendo tanti cinque zeppi di pece greca. Tuttavia, legittimato dai suoi diciassete anni di esperienza, aveva castigato gli aereisti agli anelli e al cerchio: «I piedi vanno in punta. Non mi fate più vedere quei martelli osceni», e milioni di altre osservazioni.


«Ma ieri? Mi giuri che non è caduto di nuovo? Che cazzo gli prende? Che cazzo succede?» esplose Oliver, velocizzando il passo della fragolina tramite la sospinta delle scapole. Non parlava con il Sauroctono dal giorno precedente, momento in cui, alla prese con il vivace confronto circa i prezzi per un camper nuovo, gli era sembrato che stesse bene.

«Lo giuro. Ci stavamo dividendo un piatto di bartolillos alla crema pasticciera quando ha cominciato ad accusare degli strani dolori alla schiena. Ho chiamato un taxi e siamo tornati all'accampamento. Ma non ha dormito, si lamentava e me lo sono tenuto sul petto tutta la notte. Ieri in centro si congelava, allora ho pensato al freddo. Però non mi convince» rispose la baltica, dandosi a un racconto veloce ed esagitato. «Forse un'ernia o una lombalgia, ma io ho paura e questa mattina gli ho scandagliato la pelle per vedere se avesse dei lividi in parti anomale. Mi ha chiesto perché lo stessi facendo, ma non ho voluto allarmarlo. Da ieri sera, la verità è che non respiro più. Dalle analisi del sangue non è emerso niente, ma gliele faccio ripetere, e oggi ho prenotato non so quanti esami: radiografie, visite ortopediche e tanta altra roba. Ho parlato solo in spagnolo. Deliravo!»

Indubbio era il loro catastrofismo: il calvario di Namira iniziò con un dolore vertebrale.

«Il freddo non piega un uomo sul bastone. Mi ammazzo se ci rifila un bel cancro, quel coglione di merda!» Davis incarognì la smorfia effigiata di cosmesi, correndo poi in direzione del prediletto. Calpestava piedi e falciava caviglie senza ritegno, come al suo solito, fregandosene di arrecare dolore.

«Io muoio solo a pensarci» sussurrò la lituana, rimembrando la Serrano García. Bloccò il passo e si annidò negli obliqui ridacchi che il compagno, da seduto, offriva ai funamboli, al centro dei loro cicalecci. Contagiata, la stessa letizia allargò fievolmente le sue labbra, le quali, in dicotomia, combaciavano appieno con un velato senso di afflizione.

Sottili spilli lacrimali le incisero le sclere, esse si fecero rubiconde all'affermarsi di una difficile verità: era il suo Bass.
Un insieme di tegole e mattoni.
La sua placida proprietà.
Casa. Residenza. Domicilio.
Senza, avrebbe perso il tetto dalla testa.
Anche le mura. Anche le lamiere.

Nel succinto bustier in pellame, rintoccò la delusione innescata dall'appurare quanto fosse claudica la felicità. Percorreva un sottile poggiolo facile alle scivolate e non nutriva alcuna fiducia circa il suo equilibrismo.
"Goditi il momento. Goditi la felicità. Ti spetta" le aveva suggerito il compagno la sera prima in piazza Cibeles, ma non era servito, giacché in Layla riaffiorarono solo le risonanze di vecchi patimenti.

Gli amori felici era abituata a perderli.

«È il panico, lo è da sempre. Sebastian è ansioso al punto da scaricare tutto sul suo corpo. Spesso è stato così, anche in passato.» Affiancandola, Adrian la ragguagliò per infonderle serenità. Ebbe la sensazione di poterle leggere i pensieri.

"Ansia, un corno! Lui soffre, accusa dolori!" fu la sua silente risposta. «Se così fosse, è arrivato il momento di curarlo, questo panico» fu ciò che asserì nell'effettivo per non attivare strani alterchi. Le sopracciglia si incurvarono verso il basso come gli angoli della bocca, e non vi era modo di combattere contro il richiamo della drammatica gravità.



Il padrone aveva bisogno di sostegno e preferiva che fossero le sue ossa a garantirglielo: il clown scaraventò in terra il bastone su cui si reggeva e lo avvolse in un abbraccio poderoso. «Coglione di merda, mi farai venire un infarto. Come cazzo ti senti? Eh?» protestò lagnante.

Il britannico, stralunatosi a causa del contatto irruente, non poté far altro che annodare le braccia intorno al collo del suo nuovo baluardo. «Ma non lo so, amico mio. Un po' su, un po' giù. Ma tu calmati, per favore.»

«E tu tieniti forte a me.» Lo infarcì per bene di baci sulla fronte, facendo incetta, all'inverso, della speziata profumazione da flacone da cento euro che aveva imparato a riconoscere nel dettaglio d'ogni nota.

Fu Lorenzo a memorizzare gli affetti dei due ragazzi. Li filmò con la sua videocamera per puro caso e per diletto, provvedendo poi a cederla con affabilità a Ernst. Tutti volevano usarla ed era appagato dall'elargizione di prestiti.
L'astio che Sebastian cominciò a provare nei suoi confronti, manifestato senza tregua per una intera estate attraverso insulti e scazzottate, sembrò pregiudicare ancor più la sua reputazione a livello collettivo. Macchinò che quello potesse essere un buon modo per riguadagnarsi un po' di fiducia da parte dei colleghi. Difatti, lo ringraziavano tutti.

Avrebbe voluto prestarla anche a colei che non era più riuscito a baciare, benché non sembrasse interessarle.

Gli interessi di Scarlett, piuttosto, convergevano in ben altre questioni; quello emblematico lo portava nel cuore innamorato e parte di esso le procedeva allo stesso passo.
Il trapezista francese, con la macchinetta in piena funzione, giochicchiò a fare il videomaker, e fu proprio lui a inquadrare l'intrusione di Jonathan Davis nel retro della pista.

Nessuno avrebbe potuto riconoscere quell'uomo sulla sessantina, minuto e otticamente intozzito da un giaccone troppo lungo per il suo breve stacco di coscia. Si parificava proprio alla cordiale damina, la quale avanzava segnandogli il figlio per mezzo di un indice.

Era ancora reclinato sull'asfissiato Sebastian, il pagliaccio, raggiunto ormai da Layla che provava a fargli capire che così lo stesse uccidendo. Solo il volante, allungando la vista camuffata dalla spalla dell'amico, si rese conto dell'arrivo di un estraneo. Guardò sua sorella che deglutiva in maniera incontrollata per la tesa emozione e comprese che stesse per accadere qualcosa di insolito.

La lituana, che Jonathan l'aveva visto solo in qualche vecchia foto, non subito congiunse i punti all'esatto modo. Ma quando la diciassettenne pigiò un dito titubante sulla schiena di Oliver, tutto le fu chiaro e impallidì.

L'americano dava loro la sporgenza delle natiche, ma al tocco si rialzò staccandosi dall'acrobata. Celermente, si apprestò a voltarsi, e quando lo fece del tutto gli sembrò di specchiarsi e vedersi con trent'anni in più.

Una futura copia di sé si collocava a un solo ansito sconcertato, essa apparteneva a chi gli aveva detto di essere un malato secondo Cristo.

«Chi è?» fu ciò che abbozzò Bass con il labiale, rivolgendosi alla ragazzina. Scarlett spalancò gli occhi a intermittenza, invitandolo a non disperdere il focus dalla scena, ma Layla le smorzò ogni tentativo di accrescergli il pathos, dacché si accovacciò all'orecchio per svelargli l'arcano.

E l'inglese sgranò gli smeraldi, e fu uno sgranare continuo, uno sgranare a effetto domino, uno sgranare di sbigottimento terrifico.

«Io non pensavo fossi così bravo, figlio mio. Ti fai chiamare Sbrodolo, è così?» chiese l'uomo dalla voce sabbiata, intanto che l'impiumato Davis, confuso, attraversò ancora le rette temporali, ringiovanendo fino ad avere tredici anni.

Diciassette anni prima, quel padre lo aveva trainato verso una chiesa incitandolo a farsi prete, mentre lui si dilaniava perché doleva la mano compressa nella sua.

Diciassette anni dopo, quello stesso figlio gli strinse un palmo e lo strascicò con brutalità fuori dal tendone, scevro di piagnucolii e senza neanche proferire parola.

Le gambe del clown potevano raddoppiare per lunghezza e mole quelle del genitore ridotto a ciarpame. Impossibile stare al suo passo slanciato, un mescolio di timore e inabilità fisica rendeva complesso il tragitto di Jonathan. Affanno rivestente altro fiatone completava il quadro di un dispiego impensabile.

Il cielo di Madrid accolse una morale non più annerita e Oliver fu chiamato a prenderne coscienza.






«Non dovremmo stare qui. Specialmente tu. C'è vento» sussurrò Layla a Sebastian, pochi minuti dopo la defilata degli americani. «Ti porto al camper.»

«A-as-aspettiamo. Potrebbe aver bisogno di aiuto. Quell'uomo, in fondo, gli ha rovinato la vita. Ah, e Scarlett mi sentirà» rispose il risoluto compagno che, con l'aiuto della lituana, si era fatto portare la sedia fin fuori lo chapiteau. Da lontano, sorvegliava il confronto appena iniziato a ridosso della biglietteria.

Intorno a loro non vi era quasi più nessuno, solo la malia astrale a schiarire un evento di portata epica e un consistente numero di inerti roulotte e camion a incorniciarne le fraseologie.

Bass, immerso nelle freddure castigliane, stazionava nei silenzi spettrali, avvinghiato al basso ventre di Ardore che, d'in piedi e inchiodata a un lato, gli offriva una base d'appoggio per la testa. La baltica gli arricciava con amabilità le ciocche intorno alle falangi sottili, preoccupandosi anche di tenergli stretto alla gola il colletto di pelliccia.
Il suo accorto avvicinamento, derivante da quanto lo sentisse fragile, riportò a galla i dubbi. «Lo dicono tutti, ma io non ci trovo alcun nesso. Patisci, tremi, ti inceppi, ti fermi. È davvero agitazione, la tua? Ansia?»

«Se lo è, di certo non proviene dai miei pensieri» le rispose convinto. «Questi sono tranquilli da quando mi ami

«Avrei preferito che fossero inquieti.» Ella ricacciò un afflato intenso, elevò gli occhi alla volta celeste resasi una valle stellata e aderì alla ciclopica luna lì incisa, premendo un po' di più il volante contro il suo ventre.

«Stasera ho paura. Nascondimi, Layla
Inabissò il viso nell'ombelico con il naso e con la bocca, e con il mento e con la mente, senza avere il coraggio di issare lo sguardo per rimirarla. Si augurava di non diventare una lenta seccatura per gli altri, tutti esperti velocisti, e di non esserlo anche per lei.

Fu la baltica a catturargli le larghe mandibole tra i palmi, le mosse sino a che le scie siderali non gli diamantarono le gote infreddolite. Su queste lei planò, baciandole entrambe con quiete solenne: era affetto imitativo.
«Ti rimetto a nuovo, amore mio. Ti riporto le ali che hai perduto.»

«Non si tratta solo delle volate. Ho un desiderio immenso, adesso.»

«E qual è?»

«Voglio invecchiare con te. E farlo bene.»

Pretese che posizionasse ancora le pupille negli nelle sue iridi chiare, augurandosi che Bass potesse cogliere da esse la calura della sua determinazione. Gli donò un sorriso in cui parvero intravedersi le briciole di quell'agognato futuro che volle assicurargli, e lui se ne cibò, esprimendo l'atto di affidamento tramite il soppesato annuire del capo.

In fatto di avversità, il loro era un amore pregno di continui passaggi di testimone: dopo anni passati a perdersi nella balia della sua nebbia funerea, a Layla fu chiesto di irraggiare come un faro il cammino di chi, per amore, aveva combattuto da Lione per portarla fuori dalla coltre. Acclarò il ribaltamento, accettò il ruolo: «Bisogna agire, ora. Al tuo presente ci penso io».

Quando Melinda fuoriuscì dalla soglia del tendone e li sorprese in teneri atteggiamenti, si espresse in un grugno disgustato e andò oltre, con il suo solito portamento sculettante.

Si alimentarono, allora, le vampe della collera che ustionavano le viscere della ventiseienne da ore, poiché aveva appreso che ella fosse stata la causa delle lacerazioni rosseggianti le giunture articolari del compagno.

Quello le sembrò il momento propizio per ripagarla con la stessa moneta. Benché il ragazzo le avesse sconsigliato di darsi a scene riprovevoli, si avventurò fino a che non le stette distante dal posteriore di poche orme.
Mentalmente, chiese perdono a Oliver per la becera figura, dacché era a pochi metri a interloquire con Jonathan, ma poi, sicura, caricò di potenza gli arti superiori per dar vita al buio degenero: aggressiva fu la spinta esercitata, e Melinda perse l'equilibrio, commettendo barcollanti passetti in avanti. Non resistette e cascò assieme alla mercanzia, con le mani a raschiarsi sulla breccia.

Il figliastro, a esigua distanza, si grattò un sopracciglio con vergogna e un insolente pizzico di goduria.

«Tu sei una pazza scatenata, Urbonienė! Ma che volevi fare? Ammazzarmi?» strepitò la donna, ricacciando aria condensata dalla bocca carnosa e fucilandola con lo sguardo.

«Alzati, troia! Non ho ancora finito!» ringhiò a denti stretti. «Toccalo ancora e, lo giuro, in pista non ci salirai più. Nel concreto, non avrai più nulla da contorcere. Ti avrò fatta a pezzi.»

«E queste cosa sono? Le minacce di una formica maleducata?» Rise spocchiosa, drizzandosi agilmente in piedi e scrollandosi il pietrame dalle ginocchia coperte dal leggins acetato.

Layla rise crocchiante per beffeggiarla, prima di tornare mefistofelica e tirarle un inaspettato ceffone sul viso. Fu un colpo violento, e Sebastian sobbalzò incredulo. Le rifilò un secondo schiaffo, poi, per non ingelosire la gemella, con tanto di cospicue stride imitanti una pluralità di animali dello zoo. Appurata la piena decadenza, il compagno le impose di tornare da lui.

«Ho già puntato un coltello in faccia a qualcuno, direttrice. La prossima volta non mi farò trovare a mani vuote» la minacciò ancora, quell'angioletto dalle lunghe trecce intarsiate di perline, intanto che la rossa, arresa, accusava il bruciore guanciale al passaggio delle dita. «Ah, e già che ci sei, vattene in pensione. Non hai più l'età per fare le acrobazie. Posso sostituirti. Saprei destreggiarmi molto meglio.»

«Forse in pista, ma non a letto, sgualdrina! Bastian è abituato a numeri esagerati e selvatici» ebbe il coraggio di dire la sfidante, non prima di essersi guardata bene intorno.

«Dio mio, ma perché finisce sempre così!» fu ciò che il volante ruminò sottovoce, non troppo contento di essere il fulcro centrale di quella sciocca contesa sessuale. «Layla! Qui. Ora»: continuò a essere la sua soluzione.

«Con tuo figlio sono solo fiamme esagerate, garantisco. Parcheggiamo il camper lontano dai vostri proprio per non disturbarvi con il nostro piacere indomabile» ribatté pungente. «Ti tengo d'occhio. Attenta.»

Un giro rapido sulle sue ballerine di scena, passo altresì sculettante, e la pellerossa tornò a baciarsi il suo uomo davanti alle fisse occhiatacce della quarantaseienne.

Dall'esterno, sembrava una impavida vittoria.
Dall'interno: «Ahia, mi fanno male le mani. Ha la faccia dura, quella latrina!» Si era persino accomodata sulle sue gambe, stritolandoselo con eccentrica euforia e dimenticandosi del suo dolore lombare.

«Ma cos'hai assunto, si può sapere? Anfetamine? Stavi facendo il verso della gallina. La tua carriera di difensora inizia e finisce qui. Se dovessi peggiorare e puntarle una lama alla gola, le darai il pretesto per gridare al tentato omicidio. Basto io, perché dopo Brindisi, Barcellona e chissà che altro, stai pur certa che un giorno con Lorenzo ci finirò in tribunale» fu il gracidio dell'inglese, il quale millantava un sorriso splendente per non far comprendere alla matrigna che la stesse sgridando. «Qui non siamo al Fleurs, qui non tutto rimane impunito, non con Melinda. Distruggiamo il circo così! Finisce! Crolla!»

«Non-mi-interessa. Scelgo l'ergastolo, perché ho intenzione di tagliarla a fette come un cocomero, cazzo! Che puttana!» gli infilò il sobillato borbottio in un orecchio. «Neanche lei deve permettersi di aggredirti.»

Le baciò il collo in maniera ostentata facendosi spazio tra le collane etniche e, al contempo, tornò a intimarla: «Tu non tagli proprio nessuno. Non-mi-interessa».

«Ma stai zitto!» Anche lei sbaciucchiò qualcosa a caso, ovvero una tempia e parte del ciuffo scalato che lì ricadeva, per poi alzare il tono vocale e irridere l'antagonista: «Andiamo a fare i selvatici? Stanotte voglio mugghiare come una bufala».

La direttrice, su tutte le furie, cominciò ad avviarsi verso la sua roulotte, e poco dopo anche Layla si congedò, dicendogli che sarebbe passata dal camper a riscaldarlo per la notte.
Aveva nuovamente invitato l'acrobata a seguirla, ma lui le confermò che sarebbe rimasto a cinquecento metri dal pagliaccio, fino alla fine.





«Se mi sono distratto, è perché dietro, fino a pochi secondi fa, c'era un pollaio» ci tenne a precisare Oliver, che facilmente aveva posato lo sguardo oltre i burleschi orizzonti. Pareva cosa da niente lo sketch che Layla imbastì, ma gli fu utile per depotenziare le fitte cardiache che lo avevano colpito a seguito della collisione con il suo vecchio.

Si torturava i soffici orecchini pendenti dai lobi, mentre Jonathan passava i polpastrelli sulle lenti degli occhiali appannati dalle gelide umidità. «La ragazzina che mi ha telefonato, chi è? Una tua amica?» domandò pacato, auspicando di non sbagliare neppure una delle sue virgole. Ollie avrebbe colto ogni paterno errore ortografico, mandandolo via.

«È la figlia della proprietaria.» Schiacciò la pianta di un piede contro il suolo e ci riverberò le sue mogie occhiate.

«Mi ha detto che le hai parlato di me.»

«Non avrei dovuto farlo, forse» replicò in un sussurro, rammentando il lungo racconto con il quale deliberò i validi assunti che permisero a Scarlett di plasmargli l'insospettabile incontro. Era per giunta esterrefatto da tale slancio.

«Non sei felice di vedermi, è così?» dedusse il genitore, incastrando le stecche di osso sugli elici.

«Mi sconvolge: sette ore di volo per me. Da solo, poi. Tu, che il muso fuori dall'arcidiocesi di Milwaukee non l'hai mai messo» rispose livoroso, acconsentendo, però, all'inspiegabile impulso di scrutare un volto a lungo pensato con sofferenza. Le palpebre invetriate e il gobbuto pendio nasale segnarono per lui un tau francescano, tanto chiaro che ne attinse l'avitico Colpevole della discordia che li aveva posseduti.

Era così che Oliver Davis la pensava: sui legnami della Croce era stato fissato per mezzo della disapprovazione paterna e da lì non vi era mai sceso. Tutto a causa di chi, sul Golgota, vi era salito duemila anni prima.

«Come sta Dio?» allora apostrofò, con un breve ghigno di scherno. Nei palmi portava le vive ferite dei chiodi.

«Non ho preso un aereo per lottare contro la tua blasfemia. Sono qui perché, in questi dieci anni, non ho fatto che pentirmi per quel comandamento trasgredito, il più importante, il fondamento di ciò in cui io e la tua famiglia crediamo: ama il prossimo tuo come te stesso. E io, forse, non ti ho amato abbastanza.»

I fori al centro dei piedi stillavano il plasma. «Dieci anni, papà. Dieci anni a pentirti! È un lasso di tempo infinito, quasi insostenibile. E come hai vissuto con questo peso nel cuore? Come alleggerivi la compunzione? Recitando il Padre Nostro? Tramite lunghe sessioni confessorie? Come? Perché io, francamente, non me lo spiego. Perché io ho imparato che se amo, non devo far passare il tempo senza fare niente!» secernette invettiva, traforando le vesciche del suo sieroso patire. «Hai davvero avuto bisogno del sollecito di una bambina per ricordarti di rivolere tuo figlio indietro?»

«Ho sempre creduto che tu mi odiassi!»

Una lancia, ancora, fendeva il suo costato; da esso sgorgavano misture di acqua e sangue.
«Neanche una telefonata! Neppure una. Niente!»

«Neanche tu!» rimbeccò il sessantenne.

«Ero ferito!» gridò, spalancando le braccia.

«Anche io! Ed ero affranto, disperato!»

Una spugna d'aceto ad abbeverarlo, esso colò lungo l'esofago sino a corrodergli lo stomaco.
«Anche io, cazzo!» E le repliche si fecero ancor più aspre e acute, tanto che Sebastian, comprendendone il rafforzativo, ebbe l'invadente idea di avvicinarsi all'ospite per fargli evincere che non fosse benvoluto neppure dal padrone della baracca.

«Mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho offeso te, Ollie, e il Signore che è nell'alto dei cieli» proclamò la timida supplica, strizzandogli le mani sui bicipiti per fortificarsi quantomeno grazie alla gestualità. «Io ho accettato ciò che sei. C'è voluto tempo, ma potevo fare solo questo in attesa di rivederti. Capirti!»

«E cosa sono, lo sai? Credi davvero di saperlo?» lo sbranò, a suon di spolmonati quesiti e occhi fuori dalle orbite.

«Sei omosessuale

E rise con un acido gorgoglio, acclarando quanto l'uomo che lo aveva generato non lo conoscesse affatto. In breve, fattosi serio, i riguardi andarono a posarsi sull'unica persona che lì, oltre loro, si animava e attendeva: Oliver puntò Sebastian, tirò su con il naso e circumnavigò suo padre, prima di porsi di spalle allo stesso inglese. Jonathan si voltò per contemplargli ancora il viso, e, facendolo, assorbì su di sé anche lo sguardo di quell'estraneo accomodato a una sedia di plastica.

«Ho un concetto troppo ampio di amore.» Una sottile lacrima asperse il solco nasale dell' inceronato, essa espresse l'illimitata affezione che compattavano il volante e la mimatrice in una unica essenza, e si zittì.

«Ho incontrato Brian, una volta. È successo un anno fa. Ti ricordi di lui? È stata la tua prima cotta» riprese, angustiato dalla caducità che in lui cominciò a riscontrare. «Ha un compagno, ora. Vivono sulla Clybourn Street, proprio sopra la cartoleria di Maggie Holmes. Ci ho parlato e so che sono felici. Mi ha raccontato della sua convivenza con un uomo. Un uomo, ragazzo mio. E io ho desiderato per te la stessa felicità. Mi ha chiesto come te la passassi e mi è dispiaciuto non potergli dare informazioni.»

«Eccole, le informazioni: sai in cosa ero impelagato un anno fa? Piangevo come un dannato. A morire era il mio tesoro più grande, una donna dall'aurea divina che mi è stata portata via da una malattia che l'ha devastata! L'amavo!» sbottò prorompente, tamponandosi il pianto con le falangi incerte. Poi stridulò «E sai in cos'altro mi stavo per imbattere, un anno fa? Nella conoscenza di un nuovo tesoro grande. Un uomo dall'aurea divina che non posso rendere mio.»

«Mi dispiace, Oliver. Mi dispiace!» E l'uomo, commosso, avanzò sino a impattargli contro il torace, tentando di circondargli il busto muscoloso con i suoi avambracci inconsistenti. «Mi dispiace di non esserci stato! Perdonami

E schiodò mani e piedi dalla croce solo per stringerlo a sua volta.
«Papà» lo richiamò, singhiozzando il dolore nei pressi di un suo padiglione auricolare.
«Io sono innamoratissimo, ma non mi ama nessuno! Mai come vorrei. Mai!»

«Significa che non ti meritano. È questo che significa! Hai capito? Non sei tu. Sono gli altri a essere mediocri. Gli altri

Negò energicamente con il capo, riprendendo a mugugnare «Lui è tutto fuorché mediocre».

«E chi è?»

«Chi c'è qui fuori oltre noi? Descrivimela, la mediocrità.»

Allungò la veduta, esaminando chi, sentendosi osservato, fu comunque temerario a non divergere lo sguardo altrove. «È un ragazzo, forse tuo coetaneo, con un giubbotto di Jeans. Ha un bastone dal manico curvo fissato tra i piedi, e lì ci poggia la faccia.»

«È un altro dei proprietari.»

«E perché non puoi renderlo tuo? Lui non è come te?»

Ollie sbrogliò l'abbraccio e frenò le ultime eccedenze del suo lamento, avendo cura di rimanergli vicino. Decise di sottoporre il genitore, attraverso la confessione spinta, alla fatidica prova del nove: «Ho la certezza che lui, in qualche modo, potrebbe ricambiare il mio sentimento. Se la vita non avesse giocato a mio sfavore, ora starebbe con me, nel mio letto, a concretizzare il sogno che ho da sempre, ovvero quello di essere inondato dall'affetto di un'indole nobile. E sarebbe stupendo perché saprei come amarlo, saprei esattamente quali punti del suo corpo e del suo cuore toccare per soddisfarlo. Ma non lo faccio, papà, perché amo anche la sua compagna. È la mia migliore amica ed è fantastica. Se mi mettessi tra loro, getterei un velo sulla sola coppia che mi spinge a credere che in questo mondo vi siano delle piccole somministrazioni di gioia. Non potrei mai perdonarmelo.»

«È uno strazio, Oliver. Come fai a vivere così? Non si può. Non puoi» ribatté allarmato, agguantandogli la nuca per scuoterla e destarlo. «Toglitelo dalla testa. Troverai la persona giusta per te. Uomo, o donna, o chi preferisci tu. Forse non è quiProva superata: con ogni probabilità, aveva compreso persino il suo profondo varco sentimentale e non ne sembrava impressionato.

«È Sebastian la persona giusta, papà» affermò, portando nell'auge del sorriso striminzito tutta la sua triste rassegnazione. «E allora benedico la vita carovaniera perché, grazie a essa, potrò fiancheggiarlo finché non saremo stanchi di migrare. Con un po' di fortuna, invecchieremo insieme e solo a questo posso aggrapparmi, all'auspicio di avere un lungo futuro che mi permetterà di godere di quel poco che può darmi: la sua amicizia. Lo amo così tanto che mi basta respirare la sua stessa aria per ripartire ogni giorno. Io, con lui, macino chilometri e fremiti.»

Oliver appurò l'inedita indole comprensiva di Jonathan e quasi reputò d'aver vissuto, per i tempi della narrazione esplicativa, in una assurda realtà onirica. L'uomo s'era mostrato empatico, persino rattristato da ciò che avesse vissuto per il tempo di permanenza al Fleurs e al Carovana. Gli consigliò, oltretutto, di prendersi un periodo di pausa dalle attività circensi, anche solo breve, per fare ritorno in America e godere della famiglia e dei sedici nipoti nati dalle tante sorelle. Giusto per cambiare aria e vedere se la trovasse migliorata.

Il pagliaccio sapeva di ogni pargoletto che affollava le domeniche di nonno Davis, giacché di rado, negli anni, aveva intrattenuto delle piccole conversazioni proprio con le figlie.
Era stata Evelina, l'esperta dei social, ad avergli inviato qualche foto dei bambini.
A tal proposito, zio Ollie gli raccontò che per un po' aveva cresciuto e amato un altro nipotino. Gli disse che si chiamava Andrius.

«Mamma? Come sta?»
Tale domanda vidimò l'origine di un perdono omesso. Chiese a suo padre di parlargli di lei, delle ragazze, dei loro mariti, dei marmocchi e gli propose di dormire con lui al camper.

Intanto, grazie agli abbracci del genitore, Sebastian intese il buon esito del loro confronto e visse la fisica riconciliazione che con Xavier mai si rese possibile. Fu beante.


Prima di darsi alle cronache e al riposo, il pagliaccio accompagnò il volante da Layla e gli comunicò, lungo il percorso, che con il vecchio suo non fosse andata così male; lo ringraziò per essergli rimasto di pattuglia e aggiunse che se sentiva ancora la voglia di diventare padre di cento figli, avrebbe potuto, in un futuro pienissimo e ipotetico, andare con lui in Wisconsin per conoscere una mandria di fanciullini. «Ma continuo a mantenere piccoli spazi di cuore per accogliere i nipotini che mi darai tu» aggiunse sicuro, quando i due si trattennero, l'uno di fronte all'altro, dinanzi al camper della lituana. «E sai che penso? Che saranno simili ai chihuahua.»

«Dici che i miei figli abbaieranno come cagnolini indiavolati?» Increspò la fronte, il rigido Powell, iniziando a schiacciagli le punte degli stivaloni sfrangiati con la terminazione del bastone.

«La differenza è che ce li ritroveremo negli spot delle merendine per la tv. Il motivo? Le belle facce. Le copie stampate di papà» disse spontaneo, saltellando di poco per schivare l'arma con cui il proprietario tentava di indispettirlo. Poi riuscì a bloccargli il braccio molesto ed entrambi si acquietarono. «Ce la fai a salire a letto? O vuoi una mano?»

«Hai appena insinuato quello che vorrei evitare come la peste, lo sai?»

«No, no, frena. Non volevo farti sentire un sacco di pat...» Fu interrotto e smentito.

«Quando sorrido mi si storce la bocca; il mio occhio destro è più chiuso di quello sinistro.» E, mentre cercava di far valere la sua tesi, si indicava le anatomie difettose. «Non dirlo. Sarebbero degli sgorbi.»

«Che dico, io? Non dico niente.» Oliver si tracciò un sorriso sfrontato e parallelizzò le mani al viso in segno di non colpevolezza. In contrapposizione, gli occhi assottigliati con i quali in quell'attimo lo contemplò cantavano tutta la sua estrema attrazione, pertanto li veicolò sulla breccia per non essere scoperto. «Notte, patron. Se hai bisogno, chiamami.»

«Ti chiamo se sogno i chihuahua.»

Allontanandosi, l'innamoratissimo trascinò via con sé l'eco di un piacevole ridacchio.
Quando si rese conto che la sua fosse una contentezza persistente, era già al camper con suo padre, e si contestò affibbiandosi una moltitudine di parolacce.

Nessun contrappasso. Era solo un maledetto tracotante che non vedeva l'ora di rivedere l'amato il mattino successivo.





Il giorno dopo, attraverso gli intrallazzi madrileni di Melinda, il Carovana ottenne di effettuare le prove nel palazzetto più grande della città, sito a pochi chilometri dai rinomati quartierini del centro. Quindicimila posti a sedere contornavano un rettangolo in parquet, solitamente occupati dai tifosi di pallacanestro. 

Il WiZink Center si gremì di sfavillanti attrezzi e operatori circensi, e mai questi ebbero la sensazione di percepirsi così larghi. Rimbombavano le musicalità dello spettacolo, si spargevano le avvisaglie per coordinarsi nei lanci acrobatici dalle alte impalcature.
Furono concessi loro anche dei palloni da basket per dilettarsi nei momenti di pausa.

Sulle sue gambe sottili, Lorenzo correva lesto, palleggiando con la pesante sfera in cuoio sintetico. Dribblò Adrian e Oliver e sollevò il pallone in una mano, roteandolo sull'indice da sapiente giocoliere. Un lancio da tre punti nel canestro e Ernst si precipitò ad abbracciarlo per esultare insieme.

Davis, sotto di sei punti, calciò una bottiglietta posata nel perimetro dell'arena e questa per poco non sfiorò la testa di Layla, la quale, poco distante, stava provando una nuova coreografia con Scarlett e le ragazze del contorsionismo.

Jonathan godeva del clima distensivo che si respirava tra gli acari e i sedili. Un sorriso spontaneo gli sollevò gli zigomi nel constatare quanto Ollie fosse ben integrato all'interno della famiglia.

Voltandosi verso il parterre, ove il padre sostava retto sulle gambe, il pagliaccio gli rivolse un cenno lieto e annuì assieme al ballonzolare del ciuffo biondiccio e sudato. Il maturo assentì alla stessa benevola maniera e tali acconsentimenti valsero più di mille parole.

Era un sì a ripartire da zero.

A riprendere le prodezze della partita, con la compatta di Fabbri, vi era stata Corinna, che poi consegnò l'aggeggio a Bob, che poi finì nelle mani di Claudine, che poi toccò i palmi di Morgan e anche di Nathan. Che poi si disperse, tanto da doverla cercare per minuti.

«Vado a comprarmi un panino. Volete qualcosa?» domandò il bolognese ai ragazzi, quando, chetato ormai il fervore da NBA, seguì l'alzata ai tessuti della sua bambina con la coda dell'occhio. «Dov'è la mia Canon?»




Intanto, dinanzi all'uscio degli spogliatoi maschili, Sebastian e Melinda furono trattenuti da una pomposa telefonata.

A parlare, la buddista; a distrarsi, l'uomo con il tutore legnoso sempre vicino. La chiamata che cagionava rivoli di sudore lungo la schiena della donna durava da fin troppo minuti, ma quando il padrone comprese che tutto stesse andando a buon fine, pensò di fare ingresso nella grande stanza e prelevare dal suo armadietto la felpa che lì aveva appeso a una gruccia.

La Powell lo seguitò, senza mai abbassare la telefonica attenzione interlocutoria: «Per noi è motivo di onore e orgoglio portare l'incanto circense in un Regno così magico. Personalmente, realizzerei il sogno del mio defunto marito, ovvero quello di deliziare una piccola parte di mondo non ancora intaccata dalla purulenza dei tempi moderni».
L'occhio di Melinda si posò sul borsone aperto di Oliver, ove, tra le cerniere, distinse la presenza di un libro dalla mole importante. Se ne impossessò, mentre la chiamata sfumava, e ne lesse il titolo.

Bass la osservò di sbieco, valutando che fosse opportuno tagliare la corda. La pratica di sostare presso luoghi a lei non consentiti per genere cominciava a diventare parecchio consueta: il palazzetto di Madrid come la toilette della caffetteria di Liverpool.

«Il signor Scott Hansaxel pare una persona eclettica. Fin troppo, per essere il servitore di un anonimo monarca panciuto» prese a dire, avvicinandosi al ragazzo che, sedutosi alla panca, cercava di rivestirsi in tutta fretta. «È fatta, accordi presi: a gennaio ce ne andiamo poco sopra la Scozia, a nobilitarci tra giri di valzer e castelli. Il Re di Comendeen vuole portare Ohiye tra i sudditi e noi ci compriamo l'abito bello» dichiarò con fierezza, cominciando a sfogliare in velocità le mille pagine di Shantaram.

«Bene» rispose senza troppa esaltazione, sbucando con la testa spettinata oltre la fessura del collo.

Ella si sedette al suo fianco, ricacciando nei sospiri le incertezze di tutti i suoi stati d'animo: il vanto di sentirsi concludente per il circo si sovrapponeva ai malesseri originati dal violento attacco della lituana alle sue guance e da una frase su cui rimuginò senza darsi pace. Ne rese esplicito il contrito assillo, ponendogli una domanda: «È così, quindi. Nelle tue intenzioni c'è quella di sposarla, non è vero?»

«Non deve importarti troppo. Ed evito persino di continuare a parlarne. Ho il sentore che tu sia esperta in strane macumbe che impediscano i lieti eventi. Da te certe cose me le aspetto.» Si drizzò sui talloni con una smorfia di dolore e si impadronì del bastone.

«Sei più furbo di quanto si possa pensare, Bastian. Tu sai cosa significherebbe renderla una Powell. L'hai studiata a tavolino.»

«Io, sui tavolini, ci mangio soltanto» rimbeccò, intuendo che si fosse alzata per tampinarlo.
Ce l'aveva poco dietro i lombi indisposti.

«Vuoi che metta il suo becco da gallina al Carovana, vero?» blaterò. «Vuoi renderla una specie di co-proprietaria perché ti piace mettermi i bastoni tra le ruote!»

«Ruote, tavoli e becchi: che noia, Melinda. Che noia!» E tornò a guardarla con espressione truce. «Ma lo sai che esiste anche l'amore?»

«Lo conosco, l'amore, ed è quello che nutro per te da anni. Lo facevamo noi, l'amore! Tu, dentro di me, lo espandevi fino a crollarmi sui seni, e non so che darei per tornare indietro nel tempo.» Gli giunse a un passo dal cipiglio.

«Quel librone: penso che tra poco me lo darai in testa» rispose sicuro, indietreggiando. Con un colpo d'occhio, inquadrò la porta aperta ed era lì che avrebbe voluto indirizzarsi, se Melinda non avesse lasciato cadere in terra il volume per afferrargli l'unica mano libera e baciarsela devotamente.

«Lo scaraventerò sulla testa della Urbonienė se ancora mi impedirà di starti vicino. Mi manca fare l'amore con te» guaì, per poi tentare di cingergli con gli artigli il trapezio ove posava il cappuccio dell'indumento. Ma lui fu celere a recidere il contatto e a distanziarla grazie al bastone. A seguito, glielo puntò persino contro. «Ti prego, Bastian, un bacio, uno solo, e sarò appagata.»

«Piuttosto, preferirei essere granaglia per le galline, ma quelle vere» ribatté, senza abbassare la guardia. «La tua ferocia: mi chiedo cosa ne trarrai. Malato piacere, forse? Non ti rimarrà addosso. È il bene che resta.»



Troppa piacevolezza.

Sorreggeva la videocamera tra le falangi, con un piede ad angolarsi appena fuori lo stipite della porta e gli occhi scuri a inquadrare i Powell dal suo display girevole.

Rec lampeggiante, e una gradevole indecisione a campargli in testa a seguito della bella scoperta che in quegli attimi fece. Tramite le affermazioni udite, Lorenzo comprese i motivi che resero acerrimo lo scontro tra la direttrice e il maestrino a Manchester, quando ella epitetò Layla come una maledetta puttana: Melinda non voleva proteggere il figliastro da una nuora che non le andava a genio, ma salvare una relazione andata in frantumi.

Troppa piacevolezza.

I due padroni avevano avuto una relazione: le conferme in un video ad alta risoluzione.
Scarlett ne era all'oscuro, così come ipotizzò potesse esserlo l'intera compagnia.

A saperlo, da quel giorno di ottobre, lui.

Pertanto, gli piovvero dal cielo due scenari assai goderecci: ricattare il padrone affinché non più potesse cacciarlo? O far scoppiare il pandemonio comunicando la perversione direttamente alla meravigliosa?

Troppa piacevolezza.

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