Il diario di Avice

By Allyson_thecoldgirl

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Sarebbe bello non avere alcun bisogno di etichette, probabilmente tutto sarebbe perfetto se queste non esiste... More

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CAPITOLO 13

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By Allyson_thecoldgirl

Riley

Riley si sedette sul suo letto pesantemente, buttando fuori un enorme sospiro. Sentiva la testa pulsare e i piedi pesanti in seguito alle tante ore trascorse a servire gente che sprizzava lusso da tutti i pori. Aveva visto Avice andare al secondo piano con lo stesso ragazzo dell'ultima volta che l'aveva incontrata a casa dei signori Mason. L'aveva notata subito quando aveva varcato il cancello di quell'enorme villa. Riley non era riuscita a trattenersi ed aveva preso a squadrarla da capo a piedi. Le aveva praticamente fatto una radiografia. Perlomeno era quello che le aveva detto Patrick, il suo migliore amico che lavorava con lei in casa dei Mason.

"Le persone vanno servite e non squadrate, Riley. Ricordati di tua mamma"

Quelle parole l'avevano scossa dallo stato di trance in cui era convinta d'esser caduta per qualche minuto, facendola ritornare con i piedi per terra.

Quella sera aveva lavorato per nove ore di fila: non appena aveva terminato il suo turno al bar subito si era infilata la divisa, pronta ad affrontare l'ennesima festa da ricconi che davano i Mason quasi ogni fine settimana. Per un attimo pensò che se avesse visto Avice tutte le volte, a lei sarebbe andato bene persino fare ore extra pur di vederla con quegli abiti fantastici che sfoggiava e che le stavano divinamente. Tuttavia quel pensiero era stato scacciato malamente, non volendo nemmeno pensare alla minima possibilità che ci potesse essere anche solo... accidenti, non voleva pensarci e basta.

Quando la sua testa si poggiò sul morbido guanciale, sospirò contenta di essere a casa, sul suo letto, al caldo. Chiuse gli occhi, volendo solo che le sue tempie smettessero di pulsare così violentemente. La stanchezza era tanta ed il sonno stava per vincere la battaglia contro le sue palpebre, facendole chiudere.

Quella notte sognò dei ricci vaporosi, un sorriso contagioso e un fisico da urlo. Sognò quella presenza fastidiosa capace di coinvolgere seppur involontariamente. Sognò un'innocenza mischiata ad una consapevolezza che rendevano l'insieme di cui era fatto quella ragazza un pò più speciale. Nei suoi sogni comparve semplicemente Avice.

***

La mattina seguente, Riley aveva voglia di prendersi a pugni da sola. Era risaputo che i sogni non si potessero comandare o in qualche modo decidere, ma Freud sosteneva che il sogno fosse una realizzazione velata di desideri inibiti, cioè espressione di desideri che la coscienza disapprovava e non voleva rivelare.

Ciò significava che desiderava Avice? Beh, era assurdo.

Quella mattina tutto sembrava andare a rallentatore, persino i suoi movimenti. Naomi compariva ai suoi occhi come un'automa. Si sentiva come se dovesse affrontare uno strano post-sbronza.

"Buongiorno, raggio di sole" la salutò ironicamente la madre.

"Sento che sarà una giornata di merda"

"Il linguaggio, Riley Marianne!"

Non le importava del linguaggio, voleva rimettersi a letto e dormire come non faceva da quando aveva dovuto mettersi a lavorare per aiutare con le bollette la madre e il fratello. Voleva chiudere gli occhi e perdersi nel mondo in cui si era inoltrata quella sera. L'immagine di Avice era ancora vivida nella sua mente come un ricordo che non voleva svanire per tormentarla. Si ritrovò a pensare che l'arrivo di quella ragazza era comparso nella sua vita come qualcosa che avesse l'intento di liberarla dalla gabbia in cui si era rinchiusa, ma lei non voleva uscire.

Fece un sorriso di scuse a Naomi e non si curò nemmeno di fare colazione, uscì da casa perchè necessitava un pò di fresco. E chi meglio dell'Alaska poteva darglielo? Proprio come pensava, quando varcò la porta di casa sua pronta ad affrontare l'ennesima giornata monotona della sua vita, la neve cadde su di lei. Quel manto bianco ricopriva tutte le strade di Fairbanks e le macchine sembravano esser diventate di un unico colore. Riley sentiva di appartenere a Fairbanks. Tutto era freddo e ghiacciato. Adorava queste caratteristiche del suo paesino, sentiva che la rappresentassero a pieno. Allo stesso tempo, però, aspettava quel raggio di sole che fosse capace di scioglierla un pò. Ne aveva bisogno. Ma quel giorno, riteneva che la neve fosse attecchita dentro di lei più gelida di prima.

Era martedì e il suo appuntamento fisso al bar del college non poteva mica saltare e riusciva a percepire dentro di sè la solita ansia che l'attanagliava quando doveva vederla. Si godette il gelo che le scendeva sotto pelle e ignorò la sua macchina parcheggiata non avendo alcuna voglia di guidarla e volendo godersi per una volta l'asfalto bianco. Ad ogni passo che la conduceva sempre più vicina a quel maledetto bar, sentiva le orecchie fischiare e quasi le ginocchia cedere. Odiava il modo in cui l'avesse fatta diventare, sentiva la sua debolezza raffiorare e se c'era una cosa che Riley Stone odiava era proprio quella sensazione.

Quando arrivò davanti al bar, non entrò subito, ma rimase per qualche secondo fuori, sotto i fiocchi di neve, ad osservarla pulire il bancone e scherzare con una sua collega. Adorava il suo sorriso e la fossetta che si formava sulla sua guancia sinistra quando questo compariva.

"Alle volte la vittima tende ad inseguire il carnefice poichè quest'ultimo è stato capace di entrare al suo interno"

Le parole di Izzie, la sua psicologa, rimbombarono tra le pareti della zona ferita del suo cervello e provocarono per l'ennesima volta un macigno nel suo petto. Una smorfia di risentimento incorniciò il viso pallido di Riley. Quel martedì, a differenza degli altri, non avrebbe resisitito tanto a lungo davanti alla vista di lei che rideva. Proprio come aveva detto a sua madre: prevedeva una giornata di merda. La sua stanchezza non le permise di stare al passo con le lezioni, di fatti ne saltò un paio temendo che la testa le scoppiasse da un momento all'altro. E quando arrivò la pausa pranzo, desiderava solo che Julia e le sue domande sulla giornata di ieri sparissero improvvisamente.

"Amore, ti vedo stanca. Va tutto bene?" le chiese la sua ragazza.

Riley si sforzò di sorriderle, ma si ritrovò semplicemente ad annuire.

Aveva davanti a sè la stessa persona che quella notte era stata protagonista dei suoi sogni e temeva di fare la figura dell'idiota che la fissava troppo quando al suo fianco aveva Julia. Era lei che doveva guardare, era lei che doveva bramare, era lei che doveva desiderare. Non altre. Lei.

Riley si ritrovò a combattere con i sensi di colpa per quasi tutto il giorno, ma tentò di soffocarli con la musica. Quest'ultima, la maggior parte delle volte, si rivelava essere il miglior metodo di distrazione, ma non fu così. A quel punto provò a guardare un film, ma nemmeno quello servì ad un granché.

Era stanca di dover combattere contro qualcosa che nemmeno lei sapeva definire. Odiava non capire, odiava essere all'oscuro dei suoi sentimenti, odiava mentire a se stessa. Forse proprio quest'ultimo punto andava chiarito. Per quanto fosse possibile, lei lo stava facendo: stava mentendo a se stessa.

Sbuffò sonoramente e colpì il materasso del suo letto. Erano quei rari pomeriggi in cui non aveva alcun turno da svolgere. Avrebbe potuto chiamare qualcuno per stare in compagnia, ma Riley amava passare del tempo da sola. Andò verso lo scaffale in cui vi erano tutti i suoi libri e ne prese uno. Tra le mani si ritrovò "piccole donne" e sorrise ricordando quei momenti in cui leggeva delle scene con la madre. Avrebbe voluta chiamarla, ma era a lavoro.

Non appena aprì il libro e pescò una pagina qualsiasi, subito le parole la trascinarono nel mondo delle sorelle March. L'Alaska era lontana, il gelo scomparve, ma soprattutto non vi era nessuna ragazza di nome Avice. Non vi era alcun sorriso, non vi era un corpo da urlo, non vi era alcuna tentazione, non vi erano i sensi di colpa. Non c'era nulla della sua vita. Riley per un attimo si osservò esternamente. Si vide tenere tra le mani il libro, gli occhi che slittavano da una parola all'altra, i denti mordicchiare il labbro inferiore e un sorrisetto che spuntava di tanto in tanto.

Poco dopo il campanello destò tutto quanto e si ritrovò spinta nella realtà. Odiava quando capitava, ma col tempo si era abituata a ciò. Pensò che ogni lettore dovesse affrontare questo e si sentì meno sola. Quando aprì l'uscio, si ritrovò davanti quei ricci vaporosi che tanto avrebbe voluto dimenticare, quelle labbra che bramava screpolate dal freddo ed un naso piccolo e all'insù arrossato per la medesima causa.

Ma i suoi occhi presto scesero giù e notò il braccio insanguinato, le unghia rotte e le falangi scorticate.

"Cosa ti è successo?" le chiese e, senza rifletterci tanto, la tirò dentro casa.

Avice, prima di rispondere, deglutì e tirò sul con il naso.

"Mi hanno aggredita"

Riley aggrottò le sopracciglia sentendo la bile salire sempre di più e si ripetè di stare calma, perlomeno ascoltare ciò che fosse successo.

"Chi?"

Avice fece spallucce seppur impercettibilmente.

"Erano due ragazzi ubriachi, hanno tentato di rubarmi il cellulare e l'orologio, ma non ci sono riusciti fortunatamente. Casa tua era la più vicina che conoscessi, scusa se sono piombata qui così improvvisamente"

Riley era ancora ferma ad ascoltare interdetta il racconto di Avice.

Non era per niente stupita del fatto che quest'ultima, già alle sei di sera, trovò dei ragazzi ubriachi. Fairbanks era un paesino dell'Alaska e quest'ultima era davvero gelida così molti abitanti, per riuscire a sopportare il freddo glaciale, bevevano. E anche tanto.

Si affrettò ad andare in cucina, pronta a prendere qualcosa per medicarla e magari darle anche dell'acqua così da calmare il suo nervosismo. Le fece cenno di raggiungerla ed Avice non perse tempo. Riley disinfettò il suo braccio ed usò tutta la delicatezza che aveva. Lei stessa fu sorpresa di questo, quasi si trattenne dallo spalancare gli occhi e sbattersi una mano in fronte. Si trattenne sì, tuttavia non riuscì a fare lo stesso con i suoi pensieri.

Di sottecchi osservò Avice e non potè notare quanto fosse meravigliosa anche in quelle condizioni. Non riusciva a capire cosa le stesse facendo quella ragazza, ma non era sicura di volerlo sapere.

"Grazie, Riley..."

La voce della riccia le provocò una scossa al petto, ma decise di ignorarla.

"Ho una coscienza"

"Cosa intendi?"

"Se ti avessi lasciata perdere mi saresti rimasta sulla coscienza e per quanto mi riguarda non ti voglio lì"

Questa affermazione provocò una risatina alla ragazza che non appena vide una ciocca dei capelli rossi di Riley scivolare dalla coda di cavallo che era solita farsi, allungò una mano e la mise dietro il suo orecchio con un gesto dolce.

Gli occhi di Riley subito si alzarono e si indirizzarono verso quelli di Avice. Le labbra della rossa si schiusero ed inevitabilmente si ritrovò a voler assaggiare quelle della ragazza che aveva di fronte. Le ferite della riccia in poco tempo ebbero un aspetto migliore, ma non voleva che se ne andasse.

Si ritrovò a darsi della stupida subito dopo aver pensato ciò.

"Non farlo" disse senza pensare.

Avice aggrottò le sopracciglia non capendo cosa volesse intendere.

"Di che parli?"

"Non provocarmi"

"Io ho solo..."

"Sta zitta, idiota"

Avice schiuse la bocca, sorpresa dal tono di Riley diventato improvvisamente alterato.

"Che ti prende?"

"Non fai altro che provocarmi da quando sei arrivata qui a Fairbanks"

"Io..."

"È così, e lo sai perfettamente. Io non posso, Avice. Non posso e basta"

La ragazza era frastornata. Non riusciva a capire di cosa stesse parlando Riley e stentava a seguire i suoi movimenti frenetici per tutta la cucina.

"Non puoi cosa?"

La rossa si passò una mano sulla faccia, sbuffando. Poco dopo buttò un'occhiata ad Avice e la sentì. Sentì la voglia che aveva di lei, la passione che la travolse e l'impulso di baciarla.

Lo fece.

Andò a grandi passi verso di lei e le afferrò le guance con entrambe le mani, tenendola ben stretta. Non aspettò ulteriormente e premette le labbra sulle sue.
Le loro bocche presero a muoversi all'unisono è presto le loro lingue fecero lo stesso, scontrandosi svariate volte. E non era mai abbastanza. Sembravano non voler smettere mai e forse era proprio così. Entrambe avevano bramato quel bacio per quelli che sembravano anni. Avevano fame dell'uno e dell'altro. Riley morse il labbro inferiore ad Avice facendola gemere. Si godette quel gemito, lo assaporò e lo fece suo. Voleva fare lo stesso con il suo corpo e glielo fece capire schiacciandolo contro il suo. Assaggiò ogni centimetro delle sue labbra, si immerse nel suo sapore e si dissetò con i suoi sospiri.

Poi un nome lampeggiò nella testa come un richiamo che non potè ignorare. I sensi di colpa riaffiorarono portandola ad interrompere quel bacio fantastico.

E Julia?

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