Let Me Get Lost In You [TaeKo...

Por Hananami77

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''«Taehyung non può sposare il figlio di Jeon. Ho sentito troppe cose poco rassicuranti sul suo conto, non po... Mais

Personaggi+Introduzione
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#Special: [Biscotti in incognito]
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[Special 3#] Buon compleanno, hyung!
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~Epilogo~
LMGLIY - FAQ

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Por Hananami77

Si mordicchiò nervosamente l'indice e lasciò vagare lo sguardo ancora per qualche attimo, incerto su come agire o su cosa fare. Sicuramente non stava riuscendo a capacitarsi del perché fosse ancora nella sua stanza da letto, seduto su uno dei divanetti e intento ad arrovellarsi sulle motivazioni possibili per cui Yoongi non si era ancora fatto vedere senza agire.

Non se ne capacitava, non riusciva ad accettare che Yoongi, il suo Yoongi -avendo sicuramente saputo del suo arrivo a palazzo- non fosse ancora andato a bussare alla sua porta o come non fosse ancora al suo fianco, magari raggomitolato al centro del letto con i capelli arruffati e le labbra rosse e gonfie di tutti i baci che avrebbe voluto dargli. 

Cosa poteva essergli successo di così tanto improrogabile da impedirgli perfino di mostrarsi a palazzo? 

Le parole di Taehyung continuavano a tartassarlo con la stessa intensità di un tarlo, corrodendogli i pensieri ed ingabbiandogli il petto, ma non sapeva per quanto ancora avrebbe resistito all'impulso di agire. 

Non era disposto ad attendere passivamente che gli eventi scorressero -permettendo loro di lasciarlo indietro ed avvelenarlo dall'incertezza. Ad aleggiargli dentro, infatti, vi era una strana inquietudine che solleticava la sua ansia ed il suo nervosismo. 

Si issò di scatto e prese a camminare nervosamente per la stanza, gli occhi fissi sui preziosi tappeti che si diramavano lungo il pavimento abbellendo l'ambiente non soddisfacevano la sua voglia immane di evadere e andare alla ricerca del suo consigliere. Quei pensieri lo avevano tenuto sveglio per tutta la notte e solcavano il suo viso con profondi crucci insoddisfatti e guardinghi, non intenzionati ad andarsene ma, al contrario, a persistere nel fare compagnia agli aloni bluastri sotto gli occhi. 

Guardò il suo orologio da polso e strinse le labbra, sbuffando sonoramente fino a che non gli sembrò quasi di impazzire; Taehyung gli aveva detto di stare attento e gli aveva fatto riferire di non potersi recare presso la sua stanza quella mattina ma che "sarebbe stato a sua disposizione solo per le emergenze", mettendo a dura prova la sua pazienza e la sua capacità di gestione della frustrazione. 

Cosa diavolo stava a significare "solo per le emergenze"?! 

Aveva trattenuto a stento l'imprecazione piuttosto colorita che aveva minacciato per tutto il tempo di sgusciare dalle sue labbra perennemente corrucciate, ed aveva dapprima atteso il tempo scorrere disteso sul divano e poi, quando i suoi pensieri avevano iniziato a diventare mostri asfissianti ed invisibili da cui era impossibile sottrarsi, aveva sentito un moto di inverosimile irritazione corrodergli le viscere e penetrargli nelle ossa. 

Non era mai stato un tipo piuttosto paziente né tantomeno tollerante, soprattutto quando si trattava di faccende che intaccavano sé stesso e le persone che amava. E Yoongi, facendo parte della seconda categoria, era l'unico motivo per cui non aveva ancora dato di matto e, al contrario, se ne era stato nel proprio in attesa che il fato avesse pietà di lui e li facesse incontrare. Tuttavia, il suo animo lo spingeva ad agire e a muoversi, e visto che il consigliere non sembrava essere disposto a mostrarsi, allora avrebbe fatto sì che a trovarlo sarebbe stato lui.

Esasperato, grugnì passandosi una mano tra i capelli non ancora acconciati e si guardò allo specchio per un lungo istante, trovando il vigore necessario ad uscire dallo stato di laconico torpore per ridarsi un tono; quella mattina era libero da qualsiasi impegno reale perché il re era occupato in faccende a cui nessuno aveva prestato ascolto, e quale migliore occasione se non andare alla ricerca di Yoongi?

Avanzò verso la porta e fece appena in tempo ad afferrare la maniglia che un dubbio lo assalì e lo bloccò sul posto. Abbassò lo sguardo sui suoi vestiti e li guardò con fare dubbioso ed incerto, studiandosi per un lungo istante perché forse, se avesse indossato degli abiti più comodi e meno formali, avrebbe avuto la possibilità di allontanarsi dal castello insieme al consigliere. 

Desiderava parlargli e desiderava farlo lontano da quelle mura, da quel palazzo, da quell'atmosfera tetra ed asfissiante; in un luogo in cui anche i mobili sembravano avere occhi ed orecchie, lui aveva bisogno di allontanarsi per perdersi -anche solamente per qualche ora- nelle dolci e lievi sensazioni che lo invadevano ogni volta che le loro mani si toccavano ed i loro respiri si fondevano. 

Andò verso l'armadio e spalancò le ante con poca grazia, afferrando con impellenza e furia i vestiti che solitamente utilizzava per andare a cavallo; li indossò con velocità, chinandosi per assicurarsi gli stivali al ginocchio e sperando che la leggera disperazione che smuoveva le sue viscere non si mostrasse troppo palesemente nei suoi gesti.

Si fissò con fare critico allo specchio e passò le dita tra i capelli diverse volte, cercando di dargli una forma solo apparentemente sistemata ma informale abbastanza da non destare troppi sospetti. Infatti, aveva intenzione di andare alla ricerca di Yoongi nelle stalle o nelle cucine, ambienti poco avvezzi alla presenza dei reali ma da dove si potevano estrapolare fin troppe informazioni -più di quanto apprezzasse ammettere. Sapeva della tendenza del consigliere di controllare che, anche nelle sezioni meno prestigiose del palazzo, andasse tutto secondo le regole e che non mancasse nulla; ricordava di come gliene aveva parlato in una delle tante lettere scambiatesi in quei mesi. 

Li aveva definiti come "luoghi tranquilli e lontani dalla presunzione" completando che, oramai, era suo compito assicurarsi che a Taehyung venissero proposte pietanze di suo gradimento. Era rimasto sinceramente sorpreso dell'attenzione di Yoongi verso suo fratello, in particolare perché aveva erroneamente creduto che gli importasse così tanto di Taehyung per il profondo affetto che nutriva Jungkook nei suoi confronti. Invece, contro ogni aspettativa, Yoongi si era davvero affezionato a suo fratello, gli importava sinceramente che l'altro stesse bene ed era seriamente felice di prendersene cura come possibile.

Jimin, tuttavia, non si era stupito più di tanto nell'apprendere la preoccupazione che era aleggiata tra i vari membri della servitù o tra i sarti di corte. Era a conoscenza dell'abitudine di suo fratello di smettere di mangiare quando era nervoso, pensieroso o stressato; Jimin ricordava con estrema precisione tutti i momenti in cui, insieme a Jin, dovevano inventarsi mille storie inverosimili ma sognanti abbastanza da dargli la soddisfazione di vedere un piccolo Taehyung mangiare. 

«Se non lo trovo neanche oggi sento che farò fuori qualcuno...» mugugnò tra sé Jimin, prendendo un profondo sospiro. Senza esitazione, si diresse verso i piani più bassi del palazzo, quelli che ospitavano le cucine e le camere della servitù; non si era mai aggirato per quei corridoi, e per questo riuscì a perdersi per due volte prima di vedere svettare la pesante porta in legno, la stessa che lo separava da un vociare alto ed allegro misto ad uno sfrigolio interessante ed uno spadellare piuttosto acuto. 

Rumori di ciotole, padelle e mortai riempievano l'ambiente, odori intensi di verdure cotte al vapore, soffritto e kimchi gli arrivarono alle narici in potenti zaffate -così forti da portarlo ad arricciare il naso e fare una smorfia. Ignorò il pensiero che l'odore della frittura e dell'olio avrebbero preso il posto della sua colonia preferita e si schiarì la voce, aprendo la porta ed affacciandosi da dietro questa. 

La grande e gremita cucina reale era illuminata da quattro grandi finestre poste alle estremità della stanza; figure -principalmente femminili- attorniavano il bancone da cucina, le maniche delle vesti erano issate oltre il gomito mentre c'era chi si adoperava nel pestare l'impasto dei mochi con velocità; chi, invece, era intento a spalmare la pasta di peperoncino sulle foglie di cavolo e chi, infine, si dedicava ad aiutare il cuoco nella preparazione delle pietanze.

Il quel frastuono indaffarato nessuno sembrò accorgersi della sua presenza fino a quando una delle aiutanti del cuoco non si voltò verso l'ingresso con l'intento di portare il decotto di erbe chiesto dal re presso la camera dello stesso. 

Come si accorse della sua presenza, il singulto alto e sorpreso fu così acuto che attirò l'attenzione di tutta la servitù che venne, a sua volta, dirottata verso Jimin. Il chiacchiericcio allegro sfumò fino a diventare un sottile brusio che fece da sottofondo alla palese confusione e sorpresa che animò gli sguardi dei presenti. 

«Vostra altezza!» esclamò la donna, facendo un mezzo passo indietro mentre stringeva la presa sulle maniglie del vassoio, stupita nel vedere un principe in quell'ambiente così tanto diverso da quelli dove solitamente orbitavano personaggi di spicco come lo era il principe Park. 

La consapevolezza di chi fosse Jimin piombò improvvisamente nella stanza, zittendo l'ultimo rimasuglio di brusio rimasto in vita dopo il suo ingresso; occhi sorpresi ed increduli si puntarono sulla sua persona e Jimin si trattenne dal roteare gli occhi al cielo, facendo solamente un mezzo sorriso. 

«Non fate caso a me, ve ne prego. Continuate pure con le vostre mansioni.» disse con una leggera scrollata di spalle, a voce alta in modo da essere udito. Sperava che Yoongi fosse da qualche parte lì nei dintorni perché, se così fosse stato, avrebbe potuto sentire la sua voce e mostrarsi -finalmente. Scandagliò lo spazio con occhi attenti e speranzosi, ignorando le occhiate interrogative scambiate dai domestici ma sobbalzò appena nell'udire un affannarsi sonoro e quasi comico.

Riportò lo sguardo sulla servitù e vide il cuoco asciugarsi con velocità le mani sul grembiule, sistemarsi lo stesso per lisciarne le pieghe e avvicinarglisi velocemente. «Principe! Cosa ci fate qui? Avete bisogno di qualcosa? La colazione non è stata di vostro gradimento?» domandò facendo un lento e profondo inchino, alzando lo sguardo timoroso su Jimin che, con il capo piegato di lato, ne notò immediatamente la giovane età. 

Non sembrava avere più di trent'anni ed un ciuffo ondulato dalle striature dorate gli ricadeva mollemente sulla fronte; un accenno di barba ispida punteggiava le gote ed il mento, mettendo il risalto la mascella pronunciata ed il labbro vagamente sporgente. Lo vide tirare fuori dalla tasca un fazzoletto con cui si tamponò la fronte, come se fosse ansioso che qualcosa non fosse andato per il verso giusto, e gli occhi scandagliarono la sua figura per intero.

Intuendo che potesse trattarsi di apprensione o mancato apprezzamento delle pietanze preparate, Jimin si apprestò a negare con un leggero scuotere del capo. 

«No, la colazione è stata di mio gradimento, proprio come la cena servita ieri sera. Non preoccupatevi per me, continuate pure come se non fossi qui, sono venuto solamente a—uhm, sincerarmi di qualcosa.» si affrettò a precisare, sollevato che la servitù avesse abbandonato la posizione riguardosa a capo chino e, seppur con titubanza, fosse tornata a prodigarsi nelle attività quotidiane. 

Il tutto, però, in religioso silenzio. 

Questo, infatti, era interrotto solamente dallo scoppiettio del fuoco, dallo sfregare della lama del coltello contro qualche ingrediente e dal lieve grattare della semola sul bancone da lavoro. 

Lasciò nuovamente vagare gli occhi in giro, non curandosi di risultare di troppo, e rimase in silenzio fino a che uno schiarire leggero della gola non lo riportò alla realtà, attirando nuovamente la sua attenzione.

Si voltò con un sopracciglio arcuato verso il giovane cuoco reale e lo vide rivolgergli un lieve sorriso; rizzò le spalle già rigide ed assunse una posa così tanto tesa da apparire quasi caricaturale. 

«Vostra altezza, posso fare qualcosa per voi? Se non siete qui per confutare la scelta del menu, cosa vi porta nelle cucine reali?» domandò con fare incerto ed esitate, alzando le sopracciglia all'arricciare delle labbra carnose del principe. 

Lo guardò passarsi nervosamente una mano tra i capelli e fare un mezzo ed incerto sorriso, tanto tirato da indurre il cuoco a pensare che il motivo della sua presenza fosse dovuto ad un qualche malessere. «Avete forse male allo stomaco? Gradite avere una tazza di decotto di erbe?», domandò allora, voltandosi per schioccare le dita verso una delle cameriere per farne preparare immediatamente una tazza. 

«Oh, no! No, vi prego, non disturbatevi, sto benissimo!», esclamò Jimin, bloccando sul nascere qualsiasi azione con un cenno della mano, «Non ho nulla che non va, potete tornare alle vostre mansioni, non occorre prestarmi attenzione. Stavo per andare via.» annunciò con voce tranquilla, non riuscendo però a trattenersi dal sospirare profondamente e con fare vagamente sconfitto. 

Mugugnò tra sé una mezza imprecazione e si massaggiò il collo con una mano, roteando il capo e rivolgendo al soffitto un'occhiata di irritazione. 

«Forse cercate qualcuno in particolare?» 

Il tono basso e più raccolto del cuoco lo portò a rivolgergli un'occhiata di traverso che, tra le righe, nascondeva una piccola arresa. «Si vede così tanto?»

Era stato detto senza allegria ma il cuoco iniziò a ridacchiare, annuendo vigorosamente -con così tanta enfasi che il ciuffo ondulato rimbalzò sulla fronte e gli ricadde sugli occhi, costringendolo a portarselo indietro con un gesto secco del capo. 

Quello gli sorrise con fare amichevole e fece spallucce. «Non proprio, ma se non siete qui per parlare di cibo, allora deve essere per forza perché siete alla ricerca di qualcuno», spiegò con naturalezza, scandagliando a sua volta la servitù come se da quel gesto avrebbe potuto cogliere lo scopo della sua presenza, «Ma, sapete, di solito gli abitanti di corte, a meno che non siano della servitù, non arrivano fin dentro le cucine. Se pensate possa esservi di aiuto sarei lieto di farlo.» asserì infine con un tono che trasudava curiosità, non trattenendo lo stupore nel notare che il principe -anziché intimargli di starsene al suo posto- stesse soppesando l'idea di rivelargli il reale motivo per cui si trovasse in un luogo così poco...regale. 

Jimin era estremamente combattuto. 

Taehyung era stato chiaro quando gli aveva riferito di non fidarsi, di dosare sempre le parole, di non mostrare alcuna tipologia di sentimento non solamente verso il re, ma anche verso il resto della corte. Era restio nel parlarne ma non era riuscito a trovare nessun'altra alternativa in quel lasso di tempo passato a rimuginare chi fosse la persona più indicata a cui chiedere di Yoongi. 

La servitù era stata sempre fin troppo vaga e silenziosa, ma magari il cuoco...

Magari il cuoco era più disposto a parlargliene visto che, a primo impatto, gli era parsa una persona simpatica ed affabile; non era stato eccessivamente invadente o formale, non era scaduto nel confidenziale e non lo aveva interrogato su qualcosa di scomodo o di sospetto. Era certo che Yoongi fosse da qualche parte, e vista la tendenza del consigliere a starsene in compagnia della servitù, forse non erano tutti così tanto malevoli da non rivelargli nulla. 

Studiò appena il discorso da fare e le sopracciglia si distesero sugli occhi attenti ed affusolati, voltandosi completamente verso il cuoco con un lieve sorriso di cortesia. «A dire il vero, ero alla ricerca del consigliere Min. Avrei urgenza di parlargli su una questione lasciata in sospeso durante le trattative politiche. Mi è stato detto che avrei potuto trovarlo qui, mi sono forse sbagliato?» chiese con fare dubbioso ma cortese, non mostrando il leggero nervosismo che, invece, gli stava mettendo in subbuglio le viscere. 

Studiò l'espressione del cuoco e rimase colpito dal mutare di quest'ultima con lo scorrere dei secondi; da tranquilla ed allegra, iniziò a cambiare drasticamente, diventando via via sempre più seria e dubbiosa. Gli occhi ambra si velarono appena, si abbassarono sul pavimento ed una sorta di smorfia -che, a quanto sembrava, doveva essere un sorriso- gli incurvò le labbra.

 Il volto adombrato instillò in Jimin un istantaneo panico; la gola sembrò prosciugarsi e un brivido gelato gli scivolò lungo la schiena finché non si annidò nel suo stomaco. 

Batté le palpebre e sentì il sudore freddo palesarsi sulle sue tempie, ma non distolse lo sguardo, rimase solamente in attesa. 

Perché aveva fatto quell'espressione?

Perché non gli stava dicendo nulla?

Perché non sembrava contento della domanda postagli? 

Perché la sua voglia di prendere a schiaffi qualcuno stava toccando livelli sempre più alti?

Strinse le mani in due pugni per il loro formicolio e l'espressione rilassata di poco prima venne rimpiazzata da una molto più seriosa e ferma, perdendo ogni traccia di cordialità o di brio. «Allora?» sbottò Jimin, con tono secco e senza alcun tentennamento.

Il cuoco dondolò sui talloni e passò le mani aperte sul grembiule con l'intento di smorzare la tensione; lanciò un'occhiata verso Jimin, il cui atteggiamento era rigido e poco incline al dialogo, e prese un profondo respiro.

«Non so se potrei dirvelo, mi è parso di capire che non—»

«No, non credo tu abbia compreso», sibilò, le sopracciglia calate sugli occhi seri e scrutatori bucavano quelli sgrananti del cuoco, che fece un mezzo passo indietro per la sorpresa, «Forse non è chiaro che non ti sto dando possibilità di scelta. Cosa diamine sta succedendo? Dov'è il consigliere?» si trattenne dal ringhiarlo solo in nome della compostezza, ma strinse i pugni stesi lungo i fianchi e li sentì tremare per il nervoso. 

Non era solito porsi in una posizione di vantaggio sugli altri ma in quel caso, dopo aver avuto conferma che un qualcosa di non troppo piacevole era accaduto a Yoongi, non gli importò di sembrare impertinente o sgarbato.

Per scusarsi del suo atteggiamento ci sarebbe stato tempo e si sarebbe assicurato di farlo, ma non in quel momento. Non dopo stava rischiando il collasso per quanto si stesse sentendo soffocare, non dopo aver capito che tutto ciò a cui teneva e a cui si era appigliato gli stava sfumando via, dissipandosi come vapore e lasciandogli sulle dita solo un lieve pizzicore. 

Per evitare che la sua apprensione si tramutasse in un pianto isterico e poco razionale, preferiva alimentare la rabbia del non sapere, perché solo il nervosismo era in grado di farlo rimanere presente a sé stesso -ed impedirgli di afferrare per il colletto il suo interlocutore per obbligarlo a parlare secondo metodi poco ortodossi.

Il cuoco allargò gli occhi e deglutì sonoramente, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe.

«Il consigliere è stato condannato a morte. Verrà giustiziato in pubblica piazza tra tre giorni.»


....................


«Andrà tutto bene, d'accordo?», gli sussurrò Taehyung prendendogli il viso tra le mani, «Io sarò nello studio adiacente al tuo. A portata di voce.» terminò, con una punta di umorismo a tinteggiargli la voce pacata.

Il principe annuì lentamente e chiuse un attimo gli occhi, prendendo un profondo respiro; le membra erano molli e rilassate, fastidiosamente fluide e formicolanti mentre il mondo intorno a lui sembrava avesse iniziato a girare a rallentatore, in un fare torbido e fastidioso. 

Avvolse un braccio attorno alla vita di Taehyung e gli posò il capo sulla spalla, insinuando il volto nell'incavo del suo collo. «Quando finirà questa merda?» mugugnò poco dopo, rimanendo con le palpebre strette in due fessure perché la calda luce del mattino gli feriva gli occhi a causa delle pupille troppo dilatate. Nell'odore vagamente floreale ma incredibilmente dolciastro di Taehyung vi era un qualcosa di rilassante che gli attutiva quegli strani sintomi e lo faceva sentire...confortato.

Quest'ultimo gli lasciò un bacio sulla tempia e nonostante non lo stesse guardando, ne percepì il sorriso leggero. «Presto. Il tempo scorre veloce, vedrai.» confidò infine, guardando JK mettersi dritto. Dopo essersi massaggiato le palpebre con la punta delle dita, gli rivolse uno sguardo intenso e profondo, di quelli capaci di farlo sentire perso. 

Lo fissò per un lungo istante e, a sorpresa, alzò una mano per sfiorargli prima lo zigomo e poi le labbra con fare lento e delicato, così leggero che Taehyung percepì a stento il contatto con la sua pelle. Tuttavia, un rossore per lui abbastanza raro gli riscaldò le guance e si riflesse sul polpastrello di JK; quest'ultimo piegò il capo di lato ed arricciò appena le labbra nel percepire come un vuoto nei suoi pensieri e nei suoi ricordi. 

«Hai mangiato stamattina?», gli chiese, arcuando leggermente il sopracciglio. 

Taehyung si impose un'espressione tranquilla ed annuì vigorosamente, sorridendogli. Si ravvide dall'informare JK che, infatti, la colazione l'avevano consumata insieme appena dopo che Jungkook si era dissociato nuovamente con lui.

«Sì, non preoccuparti per me», prese la mano tra le proprie ed intrecciò le loro dita, guardandole per qualche attimo senza perdere la serenità, «Per l'ora di pranzo non sarò con te ed il re; non posso ancora consumare allo stesso tavolo di sua Maestà, ma sarò comunque a palazzo.» informò. 

JK annuì lentamente e spinse la lingua contro la guancia, adocchiando i flaconi sul comodino; la sua mascella scattò e lo sguardo si indurì, scrutandoli per un intenso minuto. 

«Devo prendere anche quelle?» domandò, la calma forzata dell'iniezione mattutina gli impedì di agitarsi o di sperimentare il solito nervosismo; difatti, solo un lieve sentore di quello che era il reale sentimento che la conteneva riuscì a sbocciargli nell'animo, irritandolo inverosimilmente tanto.

Taehyung gli posò la mano sulla guancia e lo costrinse a voltare lo sguardo verso di lui, guardandolo negli occhi con espressione seria ed imperturbabile. Nessuna ombra, nessuna paura, nessuna tristezza viaggiarono in quel cielo stellato che rappresentavano le sue iridi; come la dolce risacca della marea, JK si lasciò lambire dalle acque pacate ed amorevoli che, lentamente, assopirono le fiamme che minacciavano di divampargli dentro allo scemare degli effetti dei farmaci.

«Non devi prendere nulla, le ha già prese Jungkook stamattina.» gli rivelò con tono basso e soffuso, notando come JK non ne fosse troppo rincuorato. 

Anzi. 

Spinse nuovamente la lingua contro il palato e scosse leggermente la testa con fare amareggiato. «Che razza di protettore sono se a prendere le fottute pillole deve essere Jungkook? Io sono colui che dovrebbe prenderle, non lui», s'irrigidì JK, stringendo la mano libera in un pugno, «Ne ha passate così tante che non può farsi di carico di ciò di cui dovrei farmi carico io.» sibilò, la frustrazione crescente nel tono artificiosamente pacato colpì Taehyung direttamente allo stomaco. 

Un  pugno invisibile si era abbattuto sulla sua persona e lo portò a rimanersene in silenzio a guardare JK corrucciarsi visibilmente come possibile, combattendo quella fasulla pacatezza che non gli apparteneva e che, come una ragnatela, lo teneva stretto e ne limitava i movimenti. Ma JK era così provato da ciò che gli era successo che la preoccupazione strisciò tra le viscere di Taehyung e lo convinse che le parole non erano ciò di cui l'altro aveva bisogno. 

Portò le mani sul suo viso scarno e lo trattenne tra i palmi, carezzandolo con movimenti lenti e gentili mentre allungava il collo e chiudeva gli occhi appena un attimo prima che le loro labbra si incontrassero. Morbide, quelle di JK si fusero alle sue in un sospirato e dolce contatto, così semplice nella sua sublime perfezione che lasciò che il calore gli si irradiasse dentro e lo avvolgesse stretto, cullandolo nel dolce abbraccio del suo sentimento. 

Il sospiro leggero di JK scivolò in carezze invisibili sul volto di Taehyung, mantenendo gli occhi chiusi e lasciando che le braccia del principe gli si avvolgessero attorno alla vita, in una stretta le cui note erano stranamente fragili. Non era uno dei suoi soliti abbracci, di quelli sicuri e fermi, di chi ha il controllo della propria persona e della propria vita; al contrario, sembrava che JK si stesse aggrappando a quelle gocce di verità capaci di mantenerlo ancorato al presente, a ciò che rimaneva della sua vita dopo che squarci dolorosamente invisibili frammentavano la sua anima fioca e tormentata. 

Taehyung fu il primo a dividersi per discostarsi appena ad occhi socchiusi; lo sguardo cristallino vagò sul viso adesso più rilassato di JK ed attese a cuore palpitante e labbra schiuse che l'altro si decidesse a socchiuderli a sua volta per guardarlo come se, in un manto notturno, Taehyung fosse l'unica stella verso cui valesse la pena volgere lo sguardo. 

«JK, non pensare questo di te», gli bisbigliò con voce bassa e roca, «Non vi state invertendo, vi state solamente completando. Rimarrai sempre il suo protettore, a prescindere da chi prenda le pillole. Questo non fa di te un qualcuno di sbagliato, fa di te una persona.» finì, il fiato leggero carezzò le labbra di JK e questo lo guardò intensamente negli occhi, scrutandolo così tanto che Taehyung sentì le iridi scure carezzargli l'anima. 

Le mani di JK si allargarono sulla parte bassa della schiena di Taehyung e lo avvicinarono a sé; sfiorò la punta del naso di Taehyung con la propria in una lenta ed accennata carezza. «Principessa, io sono nato per fare questo. Se Jungkook avesse avuto questa forza, non avrebbe avuto bisogno di me», soffiò contro le sue labbra, sospirando appena, «Per questo credo che io e lui ci st—»

Il bussare concitato contro la porta fece esplodere la piccola bolla privata che li aveva avvolti; Taehyung si voltò di scatto per guardare alle sue spalle neanche si aspettasse che qualcuno facesse irruzione nella loro stanza. Infatti, non erano più nella camera di JK; l'avevano lasciata per farsi trovare nella camera matrimoniale dal momento stesso in cui Jungkook si era risvegliato alle prime luci dell'alba -urlando e madido di sudore a causa di un incubo di cui non era riuscito a parlargli ma che lo aveva scosso così tanto da mandarlo in iperventilazione. 

«È ora di andare.» fu la laconica risposta di JK, che strizzò appena i suoi fianchi prima di lasciarlo e ritornare ad assumere l'espressione rigida e tesa che, oramai, era diventata parte della sua persona. 

Taehyung annuì e gli lasciò un bacio nell'angolo della bocca, facendo poco dopo un passo indietro. Lasciò scorrere le mani sulle pieghe perfette della giacca e gli aggiustò il colletto della sfarzosa camicia indossata, sorridendogli apertamente. 

«Stai attento, d'accordo?» gli sussurrò con fare gentile, ricevendo da JK un cenno d'assenso. 

«Anche tu, principessa.» gli fece un sorrisetto sghembo capace di far perdere un battito a Taehyung e tuonò un "Avanti" che autorizzò l'ingresso al consigliere del re che, fatto un piccolo inchino rivolto a Taehyung, si era poi fatto da parte per lasciare passare il principe. 

Taehyung aveva notato come quest'ultimo non mostrasse alcun tentennamento nel passo o nella postura, ma solo perché JK non esibiva il suo dolore, non significava che ne fosse privo. Niente di tutto quello che gli era successo poteva svanire, niente di tutto quello che aveva subìto poteva essere dimenticato in così poco tempo. Taehyung percepì le gambe rischiare di cedere al pensiero di tutte le conseguenze di quelle azioni e deglutì a vuoto, lasciando crollare la maschera di serenità per potersi mostrare sinceramente spezzato. 

Non si era mai sentito una persona tanto debole quanto si sentiva in quegli istanti in cui guardava JK sfiorire e Jungkook lottare per la propria sopravvivenza; in quei momenti, tutta la forza di cui pensava il suo animo fosse forgiato veniva meno, facendolo sentire spezzato oltre ogni possibile rigenerazione fino a lasciargli nel petto un dolore così profondo da sentirlo fino al cuore della sua essenza. 

Si portò una mano sul petto e si morse il labbro inferiore, cercando di acquisire la compostezza necessaria ad affrontare la giornata, obbligandosi a rimettersi in piedi nonostante tutto minacciasse di crollare e diventare un cimitero di attimi allegri e spensierati che -per il momento- percepiva così strani da dubitare li avesse mai vissuti. 

Decise, quindi, di annegare tutti quei pensieri nelle sue mansioni quotidiane che sicuramente lo avrebbero tenuto impegnato abbastanza da non pensare alle condizioni in cui suo marito verteva. 

«Taehyung!»

Sobbalzò sulla poltrona e scollò gli occhi dalle pagine ingiallite su cui aveva speso la prima ora della sua lenta e monotona giornata; alto quanto i tacchi delle scarpe indossate dalle principesse, il tomo che stava studiando da tempo riguardante tutte le terapie delle persone affette da disturbi mentali era divenuto il suo nuovo compagno di solitudine; posò la piuma d'anatra vicino il contenitore dell'inchiostro e spalancò gli occhi alla vista di suo fratello fare irruzione nel suo studio correndogli -letteralmente- incontro.

Notò immediatamente gli occhi sbarrati e arrossati, i vestiti informali e le tracce saline condensate sulle sue guance rossastre. Scattò in piedi, allarmato, e sentì un'ondata di panico investirlo alla vista di ciò che poteva definire come terrore svolazzare nelle iridi cristalline di suo fratello. 

Il riecheggiare dei suoi passi divenne uno scalpitio simile a quello di una mandria di cavalli impazziti fino a che la corsa non si arrestò bruscamente di fronte la sua scrivania, su cui le mani di Jimin sbatterono con veemenza. Suo fratello tossì per qualche attimo cercando di riprendere il fiato, incavando il collo tra le spalle a testa ciondolante mentre arrancava e cercava di dirgli qualcosa.

«Jimin! Che ti è successo?!» esclamò con preoccupazione. Scrutò con ansia crescente il volto paonazzo e sudato di suo fratello, adombrato dalle sopracciglia inarcate profondamente verso l'alto ed il labbro tremulo adesso tenuto stretto tra i denti; il cuore di Jimin batteva così velocemente da rombargli nelle orecchie come una bassa ed assordante sinfonia mentre deglutiva sonoramente saliva inesistente e si schiariva rumorosamente la gola.

«Yoongi!», annaspò con voce tirata e graffiante, «Taehyung—Yoongi è—» un singhiozzo improvviso troncò la sua frase e lacrime pesanti come macigni rotolarono sulle sue guance con velocità disarmante.

Taehyung aggirò la scrivania per andargli incontro e Jimin si aggrappò alle sue spalle, scuotendolo appena e confabulando qualcosa che l'altro non capì.

Voltò lo sguardo e lo rivolse alla porta, dove uno dei consiglieri affidatogli dal re sostava ed osservava la scena con confusione ed un pizzico di curiosità; con un cenno della mano lo mandò via e solo quando rimasero soli afferrò il viso di Jimin e lo trattenne tra le mani. Nel momento stesso in cui lo toccò, ne percepì lo spasmo nervoso.

«Jimin, prendi respiri profondi e calmati. Non riesco a capire ciò che dici se non lo fai.» gli disse con una calma ed una concentrazione tali da costringere suo fratello a chiudere gli occhi per qualche istante e lasciare che altre lacrime gli inumidissero le ciglia, scivolandogli sulle gote chiazzate dallo sforzo del pianto. 

«Yoongi...si tratta di Yoongi.» mimò senza voce, riuscendo quasi a percepire l'irrigidirsi di Taehyung; un attimo di silenzio denso e soffocante sembrò piombare nello studio di Taehyung ed il senso di nausea tornò a ripresentarsi con costernante tempestività. La ricacciò indietro, increspando la fronte ed avvicinando il suo viso a quello di Jimin con fare serio. 

«Jimin, cosa gli è successo? Sai dove si trova per adesso?» domandò con metodicità, anche se gli occhi di Jimin erano così tanto allargati, così tanto terrorizzati e martoriati che non credeva di riuscire a mantenere ancora per molto l'atteggiamento razionale.

Quel sentore che gli suggeriva di stare per ricevere un'altra di quelle stoccate capaci di farlo crollare in ginocchio era fin troppo grande e reale per essere completamente ignorato.

Atterrì alla paura cruda e violenta che velò gli occhi cristallini di suo fratello e le mani di quest'ultimo strinsero la presa sulle sue spalle.

«Stamattina sono andato a cercarlo perché non mi sembrava p-possibile non averlo ancora visto—Sono andato nelle cucine ed ho parlato con il cuoco—», la voce di Jimin si incrinò e gli sembrò che quasi le gambe non lo reggessero all'abbraccio improvviso in cui si sentì coinvolto; Taehyung sentì il cuore stringersi come pronto ad implodere e distruggersi -ancora una volta- in frammenti invisibili e spinosi e lo abbracciò a sua volta.

«Jimin, ti prego, finisci il discorso.» fu il sussurro supplicante di Taehyung, la cui nuca si era velata di sudore per l'ansia e l'angoscia. Infatti, sentiva le mani gelate, fredde e rigide mentre le lasciava scorrere sulla schiena di Jimin, cercando di placarne i tremori violenti.

«È stato condannato a morte, Tae. Yoongi—è stato condannato a morte!» esclamò Jimin con un rinnovato slancio di vigore e disperazione così tanto costernanti da portare Taehyung a sentire il mondo fermarsi ed il cuore seppellirsi in un nuovo ed angusto abisso di dolorosa incredulità.  

I suoni divennero ovattati, i piedi divennero improvvisamente pesanti come macigni -ma non furono tanto le reazioni fisiche ad essere distruttive. Come trivelle, le parole di Jimin tarparono il suo animo già provato dagli eventi e lo trafissero come lame sottili ed appuntite, così affilate da provocargli fitte intense e profonde. 

Condannato a morte.

Yoongi era stato condannato a morte.

«Condannato a morte?» ripeté con fare assente e quasi intontito. La sua domanda riecheggiò come se la frase pronunciata non avesse avuto alcun significato, come se fossero parole vuote e prive di qualsivoglia valore o valenza -perché rifiutava di crederci. 

La sua mente rigettava l'idea, rifiutava di crederci. No, aveva sicuramente capito male.

Percependo l'immobilità di Taehyung -che sembrava perfino aver smesso di respirare- Jimin rialzò il viso tenuto posato contro la sua spalla e nonostante gli occhi fossero sciolti in lacrime che non credeva avrebbe mai gettato con così tanto dolore, annuì velocemente ed alcuni ciuffi cinerei si incollarono alla fronte. 

Le piccole narici si allargarono per lo sforzo di trattenere i singulti del pianto e Taehyung schiuse le labbra, smosso da così tante emozioni di appiattirlo totalmente. 

«Quando?», domandò in un soffio, riportando l'attenzione su Jimin, «Tra quanto verrà giustiziato?» specificò, inspirando aria gelata. 

Jimin si strofinò la manica della camicia sul viso e strinse i denti. 

«Tra tre giorni. È troppo tardi, siamo arrivati tardi—»

Taehyung scosse lentamente la testa. «No, non è possibile. Non è possibile, non—non può essere.» 

Continuò a scuotere la testa con fare lento e cadenzato, sentendo sulle labbra l'inspiegabile desiderio di lasciarsi andare ad una risata isterica atta a scaricare lo stress e l'amara ironia della sua vita.

Cos'altro doveva succedere prima che i suoi nervi cedessero e la sua forza si consumasse? Perché il destino gli si stava rivoltando contro in quel modo? Cosa aveva fatto di così sconcertante nella vita da doversi meritare quei fendenti annichilenti? 

Come se già non avesse avuto altro contro cui lottare, il nuovo e doloroso pensiero della morte di Yoongi prese posto tra le piaghe della sua mente, annidandosi insieme a tutte le altre che, lentamente, lo stavano consumando a velocità disarmante. Non bastava il dover lottare per rimanere forte abbastanza da aiutare Jungkook, non bastava il dover ricucire i resti di ciò che rimaneva di JK, non bastava doversi trattenere dal cedere per essere presenti. 

Non bastava mai, perché altri carichi si erano aggiunti ai suoi macigni -già difficili da sopportare. 

«Tae», lo richiamò Jimin, vedendolo tremare per il nervoso, «Tae, ti prego, devi aiutarmi a salvarlo», lo pregò, nascondendo il viso nei palmi dove i singulti del pianto si scontrarono e si infransero, «Ti prego.» continuò a sussurrarlo in un mantra devastante e continuo, e fu proprio questo che riuscì a tirare fuori Taehyung dai suoi turbini mentali. 

Lo afferrò per le spalle e lo scosse appena fin quando Jimin non alzò gli occhi su di lui. «Non morirà. Non morirà, te lo prometto.» gli disse con tono serio e sguardo deciso, in netto contrasto con il tumulto interiore che sentiva dentro al pensiero di dover porre un rimedio veloce a quella che era appena diventata una questione di vita e di morte. 

Letteralmente.

Jimin avvertiva un disperato bisogno di credergli, per cui annuì debolmente e cercò di fare profondi respiri per ritrovare un po' della sua compostezza. «Il cuoco non mi ha saputo dire dove fosse, mi ha solo detto che è stato condannato prima del nostro arrivo per alto tradimento verso la corona.» rivelò Jimin con sguardo così spezzato che Taehyung si sentì morire.

Morire lentamente, preda di quella velata agonia data dall'impossibilità di abbassare la guardia.

E data dal timore di non sapere se fosse davvero troppo tardi per salvare il consigliere dalla condanna. 

Taehyung si passò nervosamente una mano tra i capelli scompigliandoli appena al passaggio ed imprecò tra sé. «Se è stato condannato per alto tradimento alla corona è possibile sia nelle segrete. Non sono sicuro possa essere lì ma è sicuramente il primo luogo da controllare», ragionò infine dopo qualche secondo di riflessione, «Vieni, dobbiamo muoverci.»

Senza attendere lo scorrere di altro tempo indubbiamente prezioso, Taehyung afferrò il braccio di Jimin e lo tirò via, trascinando sé stesso e suo fratello per il palazzo Jeon con in mente un solo obiettivo. I loro passi veloci erano l'unico suono che faceva compagnia ai battiti erranti dei loro cuori ed ai respiri profondi che stava prendendo Jimin per calmarsi, lasciandosi guidare senza esitazione ma senza riuscire ad orientarsi. 

Infatti, dopo appena dieci minuti di stanze, corridoi, scalinate e porte nascoste, Jimin si ritrovò a guardarsi intorno con occhi confusi, studiando il cammino tortuoso e delineato da alte e strette pareti rocciose. Tuttavia, Taehyung era certo del percorso intrapreso, si muoveva senza esitazione e non si era arrestato per un solo istante -nemmeno quando aveva incontrato un piccolo gruppo di cameriere che, confuse, li avevano guardati correre via senza nemmeno accennare alla loro presenza. 

L'umidità dell'ambiente e la rigidità della temperatura portarono Jimin a stringere maggiormente la mano di Taehyung e a farsi più vicino, cercando di abituare la vista al drastico cambiamento di luminosità dei corridoi bui e tetri, il cui odore pungente e freddo gli scuoteva le viscere e lo rendeva inquieto ed incerto. 

L'ala più remota e sotterranea del palazzo gli ricordava quelle illustrazioni antiche che, per anni, aveva ammirato tramite le pagine dei libri, tramite le cartine del suo palazzo e tramite racconti di qualche tutore dal vissuto curioso. Per potervi arrivare avevano sceso gradini alti e scoscesi composti da roccia fredda e cruda che, insieme all'odore roccioso e terroso -così pregnante da fargli quasi venire il mal di testa- contribuivano a rendere l'ambiente ancora più ostile e spoglio di quanto non fosse già. 

Erano luoghi angusti, malinconici quelli che gli si stagliavano davanti gli occhi sgranati; le piccole fiaccole alimentate ad olio avevano l'incredibile capacità di gettare ombre dure, sinistre e grottesche sulle pareti poco regolari, tanto da creare importanti sgranature color antracite in rivoli di oblio pronti ad inghiottirli. La sensazione che gli lasciavano addosso era quasi un cammino volto alla morte, come se tutto portasse ad un luogo senza speranza, senza vita e senza umanità -ed era, sotto certi punti di vista, davvero così.

Infatti, chi aveva la sfortuna di solcare quei corridoi come prigioniero, raramente riusciva a rivedere la luce del nuovo giorno -se non quella che precedeva la sua esecuzione- e chi entrava con le proprie gambe, non era sicuro potesse uscirci con altrettanta forza. 

I denti di Jimin batterono per la rigidità dell'ambiente e Taehyung strinse la presa sulla sua mano, lanciandogli un'occhiata preoccupata e scrutatrice.

«Hai freddo?»

Il bisbiglio sembrò invece rimbalzare lungo le pareti rocciose in un echeggiare così tanto sinistro da fare sentire a Jimin la pelle d'oca lungo la schiena. Scosse leggermente la testa e gli si fece più vicino, gettando un'occhiata all'oscurità alle sue spalle. 

«Non proprio...», ammise infine, mordendosi il labbro inferiore, «Ma sono più preoccupato per Yoongi. Ha attraversato questi corridoi da solo—» sussurrò, arricciando appena la fronte. 

Taehyung annuì solamente, riprendendo a camminare. «Yoongi si salverà. Ce la faremo.» asserì infine, ma sembrava più una promessa fatta a sé stesso che un vero intento di consolare suo fratello. 

Un altro tremito attraversò Jimin da parte a parte che lo spinse a rimanersene a capo chino e fermare il nodo alla gola che si faceva sempre più persistente almeno tanto quanto il vuoto della sua mente -era incapace di accettare quel momento così assurdamente irreale da fare quasi male.

Jimin non credeva potessero esistere parole per descrivere i suoi sentimenti in quel preciso istante. Inerme, si stava facendo trascinare passivamente senza riuscire a fare altro, senza neanche prestare attenzione al suo cuore dolorosamente pulsante e sanguinante, senza considerare il sudore freddo che stava ricoprendo la sua fronte e la sua nuca; l'unica cosa per cui si stava seriamente impegnando, era nell'impedire ai suoi occhi di sciogliersi in lacrime ai ricordi che, violenti, continuavano a scorrergli nella memoria con l'intento di rendere tutto solo più difficile. 

Avrebbe ancora avuto la possibilità di stringere la mano di Yoongi? Avrebbe ancora avuto la gioia di sentire le dita dell'altro carezzargli il polso prima di attirarlo a sé e baciarlo? Avrebbe ancora avuto la possibilità di specchiarsi negli occhi dolci ed affusolati della persona senza cui non era possibile tirare avanti?

La consapevolezza di poterlo perdere e di non poterlo più vivere lo aveva fatto sentire fragile, gli aveva mostrato quanto Yoongi fosse la ragione per cui attendere il nuovo giorno.

I ricordi erano ciò che gli rimaneva, erano importanti, preziosi, ma i sentimenti erano quanto di più sublime fosse mai esistito solo fin quando se ne aveva la possibilità. 

Ma lui non voleva rinunciarvi, non poteva farlo.

Voleva ancora vivere quei giorni di incantevole poesia e sorridere, trascorrere il tempo insieme ed unire loro fragilità per diventare l'uno la forza dell'altro.

«Ci siamo quasi.» annunciò in un mormorio roco Taehyung, portandolo a deglutire il vuoto e respirare il nulla perché...come avrebbe dovuto reagire? Perché nessuno gli aveva insegnato come riuscire a reagire quando tutto sembrava propendere verso la distruzione?

Ciò che gli si agitò dentro era così tanto, così troppo.

Avuto l'accesso all'ultimo cunicolo che li divideva da Yoongi, Taehyung attirò a sé Jimin in modo che gli fosse immediatamente dietro ed adocchiò le guardie ferme davanti alle grate che dividevano le celle dall'uscita principale -nonché l'ultima. Entrambi gli elmetti scattarono al riecheggiare dei loro passi e si misero entrambi sull'attenti, non mancando di sgranare gli occhi e mostrare tutto lo stupore nel vedere arrivare due reali dove, solitamente, non si recava mai neanche il re. 

Le segrete del palazzo non ospitavano nient'altro che la feccia della società, la parte più marcia che doveva essere estirpata affinché smettesse di infettare gli altri.

Non appena sostarono a pochi passi dalle due guardie, queste si batterono un pugno guantato contro il petto e si chinarono in un profondo inchino, ergendosi poi nella loro austera postura e guardare i due reali con attenzione ed incertezza.

«Vostra altezza! Cosa ci fate qui?» si permise di domandare uno dei due, non mancando di scambiarsi però un breve sguardo con l'altro soldato -che scosse impercettibilmente la testa perché no, non dovevano essere lì. 

Taehyung ignorò la domanda e spostò lo sguardo sul suo interlocutore con risolutezza ed austerità, non lasciandosi sopraffare dal senso di frustrazione nel dover dar conto delle sue azioni nonostante fosse il consorte del futuro re. 

«Cosa ci faccio qui non è di vostro interesse né competenza. Devo parlare con il consigliere Min Yoongi.» secca, la sua risposta era stata ermetica abbastanza da fare intendere che non era disposto a fornire ulteriori dettagli. La guardia alzò le sopracciglia e guardò dubbiosamente alle sue spalle dove Jimin sembrava sostare con espressione imperscrutabile. Era difficile comprendere se i suoi occhi gonfi fossero dovuti alla scarsa luminosità o una reazione allergica a qualcosa. 

O a causa di un pianto disperato. 

«Sono desolato, vostra maestà, ma abbiamo ricevuto chiari ordini di non permettere a nessuno l'accesso alle segrete.» obiettò quindi la guardia, con un coraggio che Taehyung ammirò -non abbastanza da apprezzarlo, però. Infatti, il sopracciglio scuro scattò verso l'alto e gli occhi rimasero fissi sulla sua figura senza alcun tentennamento, continuando a mantenere un'espressione serafica e priva di qualsiasi emozione che non fosse fermezza ed enorme disappunto.

«La tua desolazione non è un motivo sufficiente per arrogarti il diritto di replica in un momento in cui ti sto dicendo che devo parlare con il consigliere. Non ho chiesto la tua approvazione né un tuo parere in merito. Devo parlare con Min Yoongi, ora.» sibilò, con tono così tagliente che non parve neanche appartenergli. 

La guardia strinse le labbra e fece un passo verso di lui. «Ma, vostra altezza—»

«Cosa non ti è chiaro che non ti sto chiedendo il permesso ma che ti ho dato un ordine, per due volte, che stai tardando ad eseguire?» pressò Taehyung a denti stretti. Lo sguardò gli si scurì e gli occhi sembrarono affusolarsi per quanto si assottigliarono; la sua autorità risuonò in un eco profondo ed assoluto, tale da renderlo quasi irriconoscibile. Jimin, infatti, portò gli occhi sulla nuca di suo fratello , momentaneamente sorpreso.

La pazienza di Taehyung si stava consumando veloce tanto quanto era impellente la necessità di vedere Yoongi, e Jimin non si accorse di aver trattenuto il fiato fino a che non vide la guardia battersi il pugno sul cuore e fare nuovamente un inchino, meno profondo del precedente ma ugualmente rispettoso. 

«Perdonatemi, vostra altezza. Seguitemi, non ricapiterà.» asserì con fare solenne. 

«Non stento a crederlo, perché se così fosse, lo spiacevole avvenimento verrà riferito al re in persona. Per entrambi.» chiuse la questione Taehyung, odiando l'implicita minaccia contenuta nelle sue parole. Non era da lui utilizzare quei mezzi vili e meschini per poter ottenere ciò che voleva o per assicurarsi che qualcun altro non rivelasse della loro incursione nelle prigioni, ma non gli era stata lasciata scelta. 

Se il re avesse saputo della loro presenza nelle segrete non avrebbe esitato un solo istante a condannarli a pari pena, per cui non gli era rimasto altro se non fare leva sul punto debole delle guardie. 

Disubbidire agli ordini della corona significava, implicitamente, imporsi contro il potere assoluto che avrebbe comportato spiacevoli ripercussioni sulle loro teste. Per questo annuirono silenziosamente e la seconda guardia sganciò il mazzo di chiavi dalla cintola per potergli permettere l'accesso. Le grate grattarono contro il pavimento come vennero aperte; lo scricchiolio fu acuto e stridente, così tanto stridulo da assordarli. 

Jimin si ritrovò, ancora una volta, a ringraziare che ci fosse Taehyung con lui pronto a trascinarlo perché era certo che, senza suo fratello a stringergli la mano, non sarebbe riuscito nemmeno a muoversi -i piedi sembravano tanto due zavorre impossibili da trasportare. 

Alcune urla sguaiate, colpi acuti e ridondanti contro le grate -insieme a fantasiose imprecazioni rivolte alla madre di chissà chi- accompagnarono il loro lungo e angusto tragitto volto ad addentrarsi tra le celle, scoprendo che Yoongi era stato imprigionato e rinchiuso in un'ala ancora più desolata ed estrema, lontana da qualsiasi fonte luminosa che non fosse la stessa fiaccola che la guardia aveva acceso per mostrargli il percorso.

«Consigliere, avete visite.» parlò il soldato a voce alta, dando un colpo assordante contro la grata che fece sobbalzare Jimin e quasi sussultare Taehyung. 

Alla mancata risposta, un secondo colpo venne dato alla grata grezza ed arrugginita, provocando una pioggia ferruginosa ed un grugnito da parte della guardia, che si apprestò a sistemare la fiaccola nel sostegno inchiodato alla parete al suo fianco. 

Non si udì alcun movimento, alcun suono o alcuna voce; né Jimin o Taehyung riuscirono a vedere nulla spuntare dalla cella avvolta dal buio tetro, così intenso da farla apparire immensa e vuota. I due fratelli si scambiarono un'occhiata guardinga e dopo qualche istante, Taehyung si rivolse nuovamente alla guardia, facendo solo un cenno per intimargli di andare via.

L'eco dei passi pesanti del soldato continuò fino a che non venne sostituito dal grattare acuto e lontano della grata centrale varcata poco prima. Rimasti finalmente da soli, Jimin lasciò la mano di Taehyung e si avvicinò velocemente alla cella, acquattandocisi vicino mentre si aggrappava con entrambe le mani alle barriere ferrose e strizzava gli occhi per cercare di distinguere qualcosa in quella massa oscura e angusta.

«Yoongi?»

Aveva sforzato le sue corde vocali, ma la voce gli era uscita rauca, tirata e risembrava a malapena il suo vero timbro di voce, da sempre piuttosto acuto ed allegro. La presa attorno alle grate si strinse e deglutì sonoramente per ripetere il nome del consigliere in modo più forte e chiaro, tanto da sentirlo rimbalzare da una parte all'altra della cella dalla quale, dopo qualche attimo, provenne un piccolo e sottile soffio. 

Era stato un fruscio così accennato che fu a malapena percepibile ma Jimin lo udì lo stesso e allargò gli occhi, aggrappandosi alla speranza che Yoongi avesse la possibilità di rispondergli. 

«Yoongi? Per favore—rispondimi. Sono—sono Jimin.» sussurrò quest'ultimo, ricacciando indietro le lacrime.

Taehyung gli si fece vicino e gli passò una mano tra le scapole, in un muto e silenzioso "Andrà tutto bene". Lasciò vagare lo sguardo nel buio e strinse appena le labbra perché la guardia non poteva essersi sbagliata. Aveva chiesto di parlare con il consigliere, se fosse già stato giustiziato lo avr—

«Jimin...?»

All'udire del suo nome, il cuore di Jimin perse un battito e lo spinse ad inginocchiarsi davanti alla grata, annuendo come se l'altro potesse vederlo. «Sì! Sono io, Yoongi puoi avvicinarti?» chiese, allungando una mano verso il nulla assoluto, in attesa.

Dopo un frusciare più intenso che sembrò fendere l'aria, Taehyung afferrò il braccio di Jimin per reggerlo come, dall'oscurità della sua cella, una figura strisciò carponi fino alle grate. Il consigliere fece la sua comparsa sibilando appena come la prima luce dopo giorni di buio gli ferì le pupille e lo costrinse a portarsi una mano davanti agli occhi socchiusi; un singulto spezzato si levò da Jimin e gli occhi si sgranarono così tanto da sentirli ad un passo dal rotolare ai suoi piedi. 

Il volto di Yoongi era smunto, pallido e ricoperto da polvere, gli occhi erano gonfi e le occhiaie marcate, i capelli erano spettinati ed incollati alle tempie, le labbra avevano assunto una colorazione molto simile alla porpora ed un profondo taglio attraversava il labbro inferiore su cui Jimin riuscì a scorgere del sangue secco. L'ombra di un ematoma si estendeva lungo la tempia e in parte della guancia ed il suo tremore continuo lasciava intendere che la salute fosse l'ultima delle cose che Yoongi avesse in quel momento.

Yoongi sembrò non credere ai propri occhi come, non appena la luce smise di accecarlo, si specchiò in uno sguardo cristallino come il cielo e dello stesso colore che costellava la sua esistenza. Gli occhi affusolati si allargarono, sgranandosi all'inverosimile prima di riempirsi di lacrime che non caddero sulle sue gote ceree ma rimasero a navigare lungo le ciglia, rendendo le iridi scure due specchi. Strisciò più vicino alle grate e le mani si avvolsero attorno a quelle delicate di Jimin, guardandole con incredulità.

«Jimin! Non ci posso credere...sei davvero qui?», confabulò tra sé, scuotendo appena la testa prima di rialzare lo sguardo su quello dell'altro, sciolto in lacrime salate e pesanti, «Non può essere un sogno— non posso essere già morto, non staresti piangendo altrimenti. Non sopporto vederti piangere, Diminie. Sei...sei davvero qui?» mormorò con un fare stupito ma soffuso, così tanto che il labbro di Jimin tremò e le mani strinsero strette le grate. 

«Sono davvero qui, sono arrivato ieri», gli rispose in un sussurro, desiderando solamente poter far sparire qualsiasi ostacolo che gli stava impedendo di abbracciarlo e sentire che sì, Yoongi era ancora vivo, che c'era ancora speranza, «Quando ti hanno rinchiuso qui?» domandò in un brusio così intimo che Taehyung si sentì di troppo. 

Si alzò silenziosamente e si discostò da loro il tanto che bastava per potergli lasciare il loro personale spazio, lasciandosi scivolare contro una delle pareti fredde e rocciose fino a che non toccò il pavimento. Ad occhi chiusi, posò i gomiti sulle ginocchia e prese a massaggiarsi le tempie circolarmente, cercando di incanalare la tensione verso qualcosa di meno distruttivo da una crisi d'ansia. 

Era sicuramente più facile a dirsi che a farsi, ma c'erano così tanti problemi da attenzionare che non poteva aggiungerne altri solo perché si sentiva schiacciato. Però gli era impossibile non attenzionare la singolarità della situazione che si vedeva costretto a fronteggiare senza neanche capirne il principio. L'ultima cosa che si aspettava, ritornando a palazzo Jeon, era trovare un Jungkook completamente stravolto ed un Yoongi imprigionato nelle segrete con una condanna a morte a pendere sulla sua testa. 

Poteva, una situazione apparentemente perfetta, cambiare totalmente e prendere quella piega totalmente inaspettata e negativa? Poteva, il caos in cui vivevano giornalmente, mettere così tanto a soqquadro la loro vita da essere impossibile da assecondare?

Se prima tutto era gestibile perché ad esserne coinvolti erano solo lui e Jungkook -anche se quest'ultimo ne aveva il triste primato- adesso, in quel preciso istante, la cerchia di persone contenute e diventate parte di un qualcosa più grande di lui era aumentato esponenzialmente. Troppo. 

E gli doleva l'animo ammettere che tutta la loro vita ruotava attorno alla violenza. 

Violenza fisica, violenza verbale, violenza psicologica. Ed il fulcro ultimo di tutto, colui al quale imputare tutte le scelte dolorose era re Jeon; la sua presenza era così malevola da riuscire ad infettare qualsiasi cosa entrasse nel mirino delle sue malate convinzioni. 

Taehyung si sentiva...svuotato. 

Il cuore sanguinava ancora per le condizioni di Jungkook, e gli doleva ancor di più al pensiero che mentre loro erano lì, JK era costretto a fingere che nulla fosse successo e mostrarsi imperscrutabile nonostante si stesse sgretolando come un castello di sabbia. 

Si coprì la testa con le braccia e seppellì il volto tra le ginocchia, chiudendosi su sé stesso mentre il singhiozzare accennato di Jimin faceva da straziante colonna sonora al suo umore completamente disfatto e sfaldato. Ma se Taehyung si stava preoccupando di come dire a Jungkook che Yoongi sarebbe stato giustiziato senza innescare una crisi o una qualsiasi altra reazione di disperazione, Yoongi era intento a stringere le mani di Jimin tra le proprie, sussurrandogli di non piangere. 

«Per favore, Diminie. Non posso vederti piangere, non per me.» il tono era appena diventato una sorta di sussurro accennato e preoccupato; le sopracciglia arcuate erano appena visibili a causa della scarsa illuminazione e Jimin non riuscì a fare altro se non annuire appena e strofinare il volto contro la spalla per asciugarsi le lacrime.

Tirò su con il naso e si sedette per terra, guardandolo con espressione contrita. «Yoongi come è potuto accadere? Perché ti hanno condannato a morte?» riuscì a chiedergli con voce strozzata. 

Yoongi avvicinò ancora di più il viso alle grate fino a quasi poterlo incastrare tra queste e tese le braccia, portandogli le mani sulle spalle e non sul volto -come invece avrebbe voluto, ma erano sporche ed i palmi erano graffiati-; lo strinse appena e ricambiò lo sguardo supplicante di Jimin con occhi seri ma terribilmente malinconici.

Tristi come potevano essere solo quelli che ti stanno per rivelare una verità che non vorrebbe.

«Jimin...Il re è impazzito», confidò Yoongi con tono così serio che Jimin giurò di non averlo mai visto così tanto convinto come in quel momento, «Ha sottoposto Jungkook ad una sorta di terapia che è stata solo una continua violenza fisica e psicologica per lui e per l'intero sistema. Si è affidato ad un presunto metodo secondo cui con il dolore fisico è possibile riequilibrare i processi mentali dei malati di mente e—io non ho mai visto nulla del genere.» 

Alla rivelazione, le labbra di Jimin si schiusero e gli venne istintivo lanciare un'occhiata verso Taehyung, chiedendosi a cosa avesse assistito suo fratello -da solo- la sera del loro arrivo e come facesse ad essere lì senza essere crollato. 

Tornò con lo sguardo su Yoongi, che aveva guardato nella sua stessa direzione. «Taehyung lo saprà sicuramente o avrà avuto sicuramente modo di intuirlo. Io sono stato allontanato da palazzo per due settimane e al mio ritorno ho trovato il principe quasi privo di sensi in una delle dispense ormai in disuso. Sono stato condannato perché ho liberato Jungkook e—mi dispiace», mormorò Yoongi, i cui occhi si riempirono di nuove lacrime, «Mi dispiace, Diminie, ma non sono riuscito a rimanere indifferente. Non potevo rimanerci, nessun essere umano avrebbe potuto.»

Jimin chiuse gli occhi e le piccole narici si allargarono per provare a prendere una boccata d'aria, bruciante quanto lingue di fuoco e dolente peggio della puntura di mille aghi. 

«Non potevi—» si bloccò perché no, sapeva com'era fatto Yoongi.

Sapeva che per Jungkook avrebbe dato la vita e che non si sarebbe mai trattenuto alla vista di cotanta cattiveria gratuitamente scatenata su qualcun altro, la cui unica colpa era solo quella di aver provato a sopravvivere. Sapeva quanto Yoongi tenesse a Jungkook, quanto fosse importante quest'ultimo per il consigliere e quanto fosse un uomo giusto. 

Lo sapeva, ed era proprio per le sue qualità che si era perdutamente innamorato di lui.

«Yoongi, io non posso—io necessito di te nella mia vita», la voce di Jimin era appena un soffio nonostante si stesse sforzando di fare un discorso senza che questo risultasse un mugugno indistinguibile, «Io ti amo, non posso lasciare che ti condannino solo perché hai fatto la cosa giusta. Dimmi che c'è un modo per tirarti fuori di qui; una legge, una nota, una postilla, un qualcosa che mi dia la speranza di poterti avere al mio fianco per sempre.» concluse, prendendogli il viso tra le mani. 

Lo sguardo contrito ed intenerito che gli rivolse Yoongi fu sufficiente a frantumare totalmente il suo cuore -già ricco di lesioni e crepe pericolosamente profonde. 

Yoongi socchiuse gli occhi al contatto delle mani di Jimin sulle sue guance e si cullò nell'aroma della colonia indossata dall'altro, sentendo il cuore lacerarsi al pensiero che quella fosse l'ultima volta in cui sarebbe stato in grado di percepirlo ma non di amarlo. Era certo che l'amore nutrito nei confronti del principe dal volto affusolato e dai capelli cinerini fosse troppo abbagliante per essere occultato dalla morte. 

«Nessuna regola mi può salvare dalla condanna a morte per cospirazione contro la corona. Non sarebbe la prima volta che qualcuno di giusto viene ucciso per questo. Hoseok è morto perché voleva fare la cosa giusta e, con il senno di poi, è questo il destino di coloro che provano a rendere il mondo migliore», gli mormorò Yoongi, lasciandogli un bacio sulla parte interna del polso, «Non mi pento di averci provato...ma rimpiango non averti potuto vivere ed amare quanto avrei voluto.»

«No!» esclamò all'improvviso Jimin, rifiutandosi di accettare quella condizione senza poter fare nulla. Strinse le mani in due pugni ed un'ondata di frustrazione e disperazione -mista a rabbia- lo portò a sbattere i pugni contro le grate con violenza, tanta da provocare un frastuono quasi assordante.

Taehyung sobbalzò sul suo posto al quasi urlo di suo fratello e gli corse vicino, acquattandosi al suo fianco per guardarlo con fare interrogativo -neanche fosse impazzito.

«Jimin!», chiamò con enfasi crescente, «Fai più piano, vuoi farci sbattere fuori?!» proruppe con tono allarmato, guardandosi alle spalle per sincerarsi che le guardie non li avessero sentiti. Jimin lo guardò con la furia a fiammeggiargli nel fondo degli occhi, la stessa che stava divorando ed avviluppando la sua anima.

«Fare più piano?!», ripeté, esagitato, «Come cazzo faccio a fare più piano quando Yoongi verrà giustiziato davanti ai miei occhi senza che io possa fare nulla per salvarlo? Come cazzo si fa, Taehyung?!» gli urlò contro, infuriato. 

Taehyung lo afferrò per le spalle e lo scrollò con forza, così tanto che per poco suo fratello non perse l'equilibrio sotto lo sguardo attonito di Yoongi. «Se urli ci farai sono sbattere fuori! Jimin, ragiona!» gli sbottò contro, stringendo gli occhi verso di lui fino a che non gli sembrò nuovamente in grado di ragionare. 

Jimin allontanò le sue mani con un gesto secco. «Non ho intenzione di andarmene da qui fin quando Yoongi non verrà liberato. E se mi imprigionano, quanto meglio. Quantomeno gli sarò vicino.» e dicendolo, l'espressione seria non fece altro che confermare che quelle parole le intendeva per davvero.

Yoongi trattenne il fiato ed iniziò a scuotere velocemente la testa. «Jimin! Non metterti nei guai, te ne prego. La mia condizione è questa e non si può cambiare, ma se la mia è immutabile, quella di Jungkook non lo è!»

Entrambi i fratelli si sporsero verso Yoongi e questo allungò una mano verso il braccio di Taehyung, stringendolo fermamente. Taehyung posò la mano sul dorso di quella del consigliere e rabbrividì per quanto fosse fredda; ma lo sguardo di Yoongi era così intenso che sembrò scavargli dentro, facendogli partire un brivido di inquietudine così profondo da scuotergli l'animo.

«Taehyung, sospetto che Jungkook abbia creato una nuova personalità», proferì, parlando a voce così bassa da essere a malapena udibile, «Se ancora il principe non l'ha fatto, sarà Jimin a raccontarti di cosa è avvenuto durante la vostra assenza ma...quando l'ho trovato quasi privo di sensi, ho dato per scontato che fosse JK fino a che non si è presentato come Gguk.»

Alla rivelazione, il cuore di Taehyung ebbe un tuffo e le labbra si strinsero. «Lo hai conosciuto anche tu? Sai chi è o com'è? Se avrò mai occasione di rivederlo?» sussurrò, ma Yoongi negò con la testa. 

«Non ho avuto modo di chiedergli molto ma non sembrava riuscire a dire altro se non il suo nome e poche altre informazioni. Il suo atteggiamento era vuoto e distaccato, sembrava quasi senza vita ed anche se ho provato a capirci qualcosa, il re è arrivato prima che potessi fare altro.»

Taehyung si irrigidì ed il volto perse il suo colore, mentre il ricordo di Gguk ritornava a tormentarlo senza dargli tregua. Aveva trascorso l'intera notte a domandarsi chi fosse, perché fosse spuntato solo in quel momento e perché né Jungkook né JK gliene avessero parlato prima. 

«Ma...in che occasione lo avete conosciuto?» rifletté Yoongi, preoccupato.

Taehyung si schiarì la voce e si spostò qualche ciocca di capelli dal viso. «JK si è dissociato mentre lo aiutavo a togliersi i vestiti per fargli un bagno caldo; inizialmente ho creduto fosse Jungkook, ma poi si è presentato come Gguk e mi ha parlato di bagni gelati, cinghie e pillole.» 

A quelle parole, la presa di Yoongi sul suo braccio si strinse.

«Taehyung, parlatene con JK. Jungkook non è sicuro che sappia chi sia, ma JK è il protettore del sistema, lui deve sapere. Hoseok mi ha sempre confermato che è lui quello che lega e gestisce le memorie di Jungkook, lui è l'unico che potrà darvi delle risposte. Non lasciate che gli succeda qualcosa, Taehyung. Ve ne prego», la voce di Yoongi si incrinò e si perse, ritornando solo dopo attimi di intensi ed assordante silenzio, «Non lasciate che i miei sforzi e la mia vita vadano perduti. Salvatelo dalla follia del re.» 

Jimin soffocò un singhiozzo contro il palmo della mano e Taehyung annuì, non prima di avergli sussurrato una promessa.

«Salveremo anche te, Yoongi», asserì con tono fermo, «È una promessa.»












✁✁✁✁✁✁

NDA: Bentrovati♡

Taehyung glielo ha promesso ed ogni promessa è debito ma...quanto è alto il prezzo da pagare? Chi lo sa ¯\_(ツ)_/¯

Capitolo "tranquillo" dopotutto.

Spero abbiate colto il riferimento di JK delle stelle -lo so che sono tutti piccoli dettagli insignificanti, ma è così piccoletto sto patatone che se le merita, un po' di attenzioni (*꒦ິ꒳꒦ີ )

Tra l'altro, avevo la necessità di un po' di Yoonmin (una coppia che in questa storia amo -anche se non si direbbe). Ecco spiegato il motivo per cui Jimin doveva esserci: 

Se non ci fosse stato, Taehyung avrebbe saputo della condanna di Yoongi direttamente il giorno dell'esecuzione; non possiamo biasimarlo, comunque. Non so se è chiaro, ma Jungkook versa in uno stato davvero critico, e non è facile fronteggiare questo tipo di situazioni. Ognuno si occupa della propria parte di cuore, praticamente. 

Ma Yoongi si salverà? EH. 

PS: Ho letto tutte le vostre teorie riguardo Gguk e vi dirò: mi sorprende -in modo del tutto ed assolutamente positivo- notare che molti di voi, chi più chi meno, abbiano creato delle teorie accurate e molto molto molto vicine alla realtà. Ne sono colpita ed affascinata, mi sento onorata di avere dei lettori così attenti, seriamente. (e per chi non dovesse avere alcuna teoria al riguardo, sono comunque felicissima di potervi aprire un altro spiraglio sul DID ♡).

Aish, quanto mi mancherà scrivere le note autore 。>﹏<。 

BTW ci leggiamo al prossimo capitolo (spero!). 

A presto ♡

Word count: 10565


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