Let Me Get Lost In You [TaeKo...

Oleh Hananami77

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''«Taehyung non può sposare il figlio di Jeon. Ho sentito troppe cose poco rassicuranti sul suo conto, non po... Lebih Banyak

Personaggi+Introduzione
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#Special: [Biscotti in incognito]
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[Special 3#] Buon compleanno, hyung!
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~Epilogo~
LMGLIY - FAQ

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Oleh Hananami77

Il commento tagliente arrivò dritto al suo cuore pulsante come uno stiletto dalla precisione impeccabile, che portò Taehyung a sgranare inconsapevolmente gli occhi e a deglutire sonoramente della saliva inesistente. Sentì la bocca farsi secca, la lingua annodarsi e la voce mancargli, mentre boccheggiava a labbra schiuse alla ricerca di parole adatte alla situazione surreale che stava vivendo. 

L'ostilità emanata dalla voce del principe fu così manifesta, così tanto dolorosamente lampante, da farlo sentire quasi fuori posto, inducendolo a credersi uno stupido per aver insistito nel vedere a tutti i costi suo marito - o per aver perseverato nell'ammonire il consigliere Sun per rivedere Jungkook. Eppure, nonostante il suo cuore fosse ferito ed intento a stringersi per rimanere integro, la sua mente -la parte più razionale di sé- si stava concentrando su un qualcos'altro di ben più doloroso della frase infelice che si era sentito rivolgere. 

Infatti, con gli occhi di chi sta stentando a comprendere la realtà, Taehyung lasciò che il suo sguardo scivolasse sulla figura intera di Jungkook, solo parzialmente nascosta dalla porta e dal consigliere -ma non abbastanza da poter celare ciò che rimaneva di suo marito. Esattamente, ciò che rimaneva della persona che amava, perché non poteva affermare che quello fosse lo stesso Jungkook che aveva salutato prima della loro separazione; non era lo stesso che lo aveva baciato la sera prima della partenza, non era lo stesso che gli aveva sorriso e stretto la mano prima di andare via. 

Non vi era traccia di un sorriso, non vi era segno di gioia né alcuna vita in quegli occhi spenti dalle pupille grandi e dilatate. 

No, quella persona che lo stava guardando non aveva nulla a che vedere con il ricordo in cui si era crogiolato, sera dopo sera, sperando che il giorno del suo ritorno arrivasse con la stessa velocità con cui la partenza era arrivata; non poteva essere lui, non riconosceva quella figura che non conteneva nulla se non severità e...tormento?

I suoi occhi erano muti, ma riuscivano a dar voce a parole che Taehyung non sapeva decodificare ma di cui percepiva lo strazio ed il malessere. Lo sentiva scivolargli sulla pelle, lo percepiva ancorarsi al suo animo, lo avvertiva stringergli la gola e mozzargli il respiro. 

Era agonia quella che animava lo sguardo scuro e diluito da sentimenti da cui Taehyung si stava sentendo sovrastare? Era dolore quello che stava provando l'altro ostentando una fermezza fiera e rigida che non sembrava appartenergli?

Era voglia di piangere quella che Taehyung sentiva bruciargli la gola ed infuocargli gli occhi?

«Allora?» tuonò ancora una volta suo marito, facendolo trasalire improvvisamente. 

Il suono secco e graffiante della sua voce gli fece piombare addosso la veridicità del momento, costringendolo ad avere una qualunque tipologia di reazione che non fosse dolorosa sorpresa. Richiuse le labbra che non si era accorto di aver tenuto spalancate e provò a racimolare un po' della sicurezza che lo caratterizzava; ci provò, ci provò con tutto sé stesso, con ogni brandello di cuore rimastogli nel petto, ma l'unica cosa che riuscì a fare, fu semplicemente sussurrare un "Volevo solo salutarti..." che si era perso nel vuoto dello sguardo dell'altro. 

Guardò il volto di Jungkook come se stesse guardando la pietà personificata, sentendo lo stomaco arrovellarsi ed il cuore inabissarsi nei meandri più profondi dell'agonia nel constatare quanto il volto dell'altro fosse scarno e pallido; quanto, quel colorito sempre rosato e chiaro, avesse invece assunto una colorazione spenta e quasi grigiastra; quanto dolore nascondevano quelle cicatrici invisibili che sembravano intagliare l'anima di Jungkook. 

Osservò con apprensione le profonde e violacee occhiaie cerchiare prepotentemente i suoi occhi, aggravandone la percezione della loro incavatura e l'opacità del loro brillio. Languidi e scossi, mostravano palpebre arrossate e bulbi percorsi da venature rosse -sottili come capelli ma prospere come edere. 

Nonostante i capelli fossero perfettamente acconciati -in modo quasi maniacale-, nonostante l'abito fosse perfettamente abbottonato e le fasce attorno alle mani fossero sparite, Taehyung indugiò per lunghi ed intensi istanti sugli zigomi più ossuti e sporgenti, nettamente in contrasto con i lineamenti solitamente dolci del volto di Jungkook. Le labbra piene dalle soavi sfumature color ciliegia erano, adesso, di una sfumatura pallida e smorta, screpolate in più punti, incise da impronte di denti nell'angolo dentro e tenute piegate in una smorfia così dura ed inespressiva che Taehyung giurò di non averla mai vista prima.

Sembrava che le luci del mondo di Jungkook si fossero spente senza che avesse potuto fare nulla per tenerle in vita; sembrava che la fiamma ardente del suo animo fosse stata messa a tacere, soffocata fino a spegnersi, fino a morire. 

«Posso—», Taehyung si morse la lingua al tremore della sua voce, schiarendosi subito dopo la gola per darsi più tono, «Posso parlarti per qualche istante...?» domandò infine, con esitazione così percepibile che fu quasi scontato vedere la testa di Jungkook muoversi con fare oscillatorio in senso di diniego. 

Già, quasi.

«Non è il momento. Sono impegnato ed ho cose più importanti da fare anziché parlare.» gli rispose l'altro senza alcuna esitazione, in un tono così monocorde e atono da sembrare che non fosse lui a parlare. 

Il nodo che Taehyung sentiva chiudergli la gola si strinse totalmente, serrandola. Una vampata di sensazioni negative e soffocanti -così tante da non riuscire nemmeno ad essere distinguibili- si abbatté sulla sua persona e percepì i suoi occhi venire punzecchiati da mille aghi. Questi pizzicarono pericolosamente e lo indussero a digrignare i denti per soffocare un singulto; non poteva mostrarsi debole, non davanti quel consigliere, che continuava a rimanere tra loro come se quella conversazione gli appartenesse. 

Taehyung irrigidì la postura e fece un passo verso Jungkook, ma si arrestò bruscamente nel constatare che l'altro avesse appena fatto un passo indietro, ponendo tra loro una distanza che non stava riuscendo ad interpretare. La mano che aveva teso con fare inconsapevole rimase a mezz'aria per un minuto buono, carezzata dal nulla se non dalla sua stessa solitudine; per questo, rendendosi conto che il contatto non fosse cosa gradita, la lasciò ricadere lentamente al suo fianco. 

Quasi non la sentì corrodersi per quanto fosse vuota; la strinse in un pugno per non permettergli di avvertire una solitudine che, invece, sentiva posarsi sul suo animo confuso e silenziosamente urlante. Non era arrabbiato con Jungkook, non poteva esserlo, ma stava facendo fatica nel processare quel cambiamento così tanto radicale e quasi surreale che aveva colpito l'altro in appena un mese di lontananza. 

Avrebbe voluto abbracciarlo, avrebbe voluto stringerlo, avrebbe voluto dirgli "Mi sei mancato" e avrebbe voluto mormorargli "Ti amo" tra un bacio e l'altro, avrebbe—

«Per favore.» mimò con le labbra, abbassando gli occhi sulle mani di Jungkook, adesso chiuse in due pugni. Ne notò il leggero tremore, rivide quell'aspetto ritrovandovi una familiarità devastante che gli fece accelerare il battito -così tanto da sentirlo pulsare nelle orecchie ed infiammargli le vene. 

Jungkook spostò lo sguardo sul consigliere Sun e gli fece cenno con il capo, a cui il servitore rispose con un breve inchino -non mancando, però, di lanciare una lunga quanto sottile occhiata verso Taehyung, la cui speranza tornò a sbocciare nel suo animo tale da permettergli una leggera boccata d'aria. 

Rimasti quasi da soli -visto che la porta dello studio di Jungkook era rimasta aperta- Taehyung notò come quello si passò una mano tra i capelli con fare instabile e nervoso. Di nuovo, il cuore perse un battito e le labbra si piegarono leggermente all'ingiù per la familiarità del gesto; le lacrime tornarono prepotenti a bussare agli angoli dei suoi occhi mentre il labbro inferiore venne catturato tra i denti, notando un altro, doloroso dettaglio. 

Jungkook non indossava la fede.

Erano tanti piccoli particolari che, come lapilli infuocati, andavano a minare la sua facciata di infrangibile consorte del principe e foravano il suo animo con squarci dolorosi e brucianti. Con il resto della corte era semplice riuscire a nascondere le sue emozioni, i suoi pensieri ed i suoi turbamenti, ma non con Jungkook. Con il principe era sempre stato abituato a non avere filtri -e diamine se gli veniva complicato gestire le sue emozioni. 

«Adesso siamo da soli. Dimmi cosa devi e torna nelle tue stanze.»

Quella frase lo colpì più forte di quanto avrebbe fatto uno schiaffo; un sobbalzo incontenibile lo scosse, la testa -che non ricordava di aver abbassato- scattò nuovamente verso l'alto e stavolta le sopracciglia si arcuarono profondamente. 

Con occhi persi, cercò il motivo di quell'ostilità, scontrandosi con la chiusura ermetica dell'animo del principe e fece un passo in avanti, non curandosi di risultare indisponente o insistente. Quella distanza non era voluta da nessuno dei due, ne era certo, e non avrebbe assecondato una qualunque forza invisibile e superiore che lo stava annientando lentamente.

«Nelle mie stanze? Jungkook, noi abbiamo sempre condiviso la stanza», cercò di dire, deglutendo silenziosamente come la mascella dell'altro scattò a quelle parole, «La mia stanza non è più adibita a camera da letto e—», prese un profondo respiro e guardò l'altro dritto negli occhi, «Ho bisogno di parlarti, ho sinceramente bisogno di trascorrere del tempo con te. Per favore, potremmo andar—».

In due falcate, Jungkook azzerò la distanza tra loro e Taehyung trasalì vistosamente, emettendo un singulto sorpreso e colpito. La mano del principe si arpionò saldamente al suo avambraccio; le dita lo avvolsero stretto, le nocche impallidirono per la pressione e venne strattonato appena, tanto da fargli mozzare il fiato. 

Aveva il volto del principe ad un mero soffio; nonostante lo scossone datogli non ci fu paura nel suo sguardo, ma solo ferita incredulità. Puntò gli occhi cerulei nei suoi, in quelli che, da sempre, erano contornati da sfumature allegre, dolci ed amorevoli e che adesso erano avviluppate da malinconica cupidigia trasvestita da severità.

«Non insistere.» sibilò a denti stretti l'altro, aumentando la presa sul suo avambraccio. 

Taehyung strinse le labbra in una linea dura e assottigliò gli occhi. «Se stai cercando di intimidirmi dovresti rivedere i tuoi piani. Sai che con me queste cose con funzionano, soprattutto tra me e te.»

Da dove riuscì a cacciare la forza di pronunciare quelle parole con tono così secco e sicuro non lo seppe neanche lui, ma sembrarono smuovere un qualcosa dentro l'altro; infatti, gli occhi del principe si scurirono ed un grugnito frustrato lasciò le sue labbra secche e screpolate. 

«Cosa non ti è chiaro di tutto il mio discorso, Taehyung? Cosa non ti è chiaro che devi startene al tuo posto? Vai nella stanza e rimanici. Non farmelo ripetere una terza volta.» gli sibilò quindi, stringendo la presa per ancora qualche secondo prima di lasciarlo andare come se si fosse scottato e mettesse una nuova distanza tra loro. 

Taehyung non cercò nemmeno di nascondere il suo stupore ed il suo più sincero sgomento per l'atteggiamento e quel tono utilizzato, ma non si arrese così facilmente. I suoi occhi azzurri erano animati dalla voglia e dal bisogno di sapere cosa fosse successo di così grave da portare Jungkook a reagire in quel modo alla sua presenza, affondarono dentro quelli solo apparentemente ermetici del principe, trovandovi un sentore di qualcosa che lo inquietò. 

La certezza che Jungkook volesse dirgli altro lo colpì in pieno volto; sapeva di non starsi sbagliando, sapeva che stava leggendo correttamente tra righe della persona che conosceva di più in assoluto, ma prima che potesse articolare un discorso di senso compiuto e pertinente, una figura dietro Jungkook fece la sua comparsa. 

Una mano riccamente adornata da anelli dalle pietre preziose si posò sulla spalla già tesa del principe, facendolo trasalire impercettibilmente. Se possibile, la rigidità della schiena aumentò drasticamente e le labbra si serrarono strette. 

«Torna dentro, figliolo. Tra poco dovrai continuare senza di me, ho degli ospiti da accogliere...ma sono sicuro che farai un ottimo lavoro. Sapevo che non mi avresti deluso.» 

La voce gonfia di orgoglio, melliflua e fluida del re arrivò dritta alle orecchie di Taehyung come una minaccia velata; seppur non avesse alcun motivo apparente per sentire lo stomaco rivoltarsi e il desiderio di scollare quella mano dalla spalla di Jungkook con la stessa furia di come si estirpano le radici secche dal terreno, bastò lanciare un'ultima occhiata al viso di Jungkook per convincerlo a non intervenire. 

Quindi, come era accaduto per larga parte della sua vita, si arrese all'idea di non poter dire la sua e, di conseguenza, non gli rimase altro da fare se non abbassare il capo e puntare lo sguardo sulle sue scarpe. Si morse la lingua così forte da sentire il gusto sanguigno infettargli le papille gustative e soffocò la sua voglia di obiettare con il silenzio. 

«Come desiderate, vostra altezza. Vi attenderò nelle mie stanze.» asserì quindi, facendo un breve inchino. 

Sapeva che quello non fosse Jungkook, sapeva che era JK colui che gli aveva rivolto la parola; lo sapeva perché aveva notato tanti piccoli dettagli che appartenevano solamente a quest'ultimo: Jungkook non amava i ferma polsi, non portava i capelli divisi in modo da scoprire la fronte, non indossava camicie semplici ma dai bottoni con pietre preziose e, soprattutto, Jungkook non avrebbe sopportato un contatto con suo padre senza mostrare il suo disagio.

Oltre i motivi più ovvi, naturalmente.

Si diede mentalmente dello stupido per aver ingenuamente pensato che quel mese di distanza non avrebbe cambiato nulla. Il timore che tutto potesse tornare come prima serpeggiò nel suo animo e nelle sue budella come una viscida e tetra sensazione che ricacciò indietro e imbottigliò perché no, JK non si era dimenticato ciò che erano stati. 

Non poteva.

E neanche Taehyung si era dimenticato cosa stesse a significare quella graduale stretta al petto che gli stava iniziando a bloccare dolorosamente il respiro, la stessa che stava portando i suoi polmoni a chiudersi, la sua gola a stringersi, il sudore ad imperlargli la fronte, la vista ad annebbiarsi e le mani a tremare vistosamente. 

Il respiro si fece corto e veloce, i suoi occhi si strizzarono ed una mano andò direttamente al colletto della camicia, provando ad allargarla perché era tutto troppo stretto, era tutto dannatamente asfissiante.

Tutto opprimente.  

Deglutì a vuoto e rialzò lo sguardo lucido ed acquoso sul principe, i cui occhi allargati e la bocca leggermente schiusa lasciarono intendere che anche lui avesse capito cosa gli stesse succedendo. 

Taehyung stava cercando di sopprimere il suo attacco di panico, ci stava tentando nonostante quella sensazione a metà tra il mancamento e lo svenimento lo portasse ad annaspare silenziosamente; il controllo gli scivolò via dalle dita, il suo corpo smise di rispondere ai suoi comandi, i suoi polmoni ignorarono la richiesta di aria. 

Lottare contro le sue emozioni era letteralmente impossibile, ma gli sembrò che tutta l'ansia, la preoccupazione e la paranoia provate in quelle settimane avessero improvvisamente preso forma, iniziandogli a ronzare nelle orecchie. Paure ed ansie esplosero nella sua mente, tartassandolo di nuovi dubbi ed incertezze così opprimenti da schiacciarlo. 

«Torniamo dentro. Ci aspetta ancora molto.» asserì il re con risolutezza, tirando leggermente il principe per una spalla per porre fine al loro incontro. Le mani di JK tremarono, stavolta più visibilmente, mentre gli occhi erano fissi su Taehyung che, annaspando, lo stava supplicando di aiutarlo a respirare, a contenersi, di aiutarlo a raccogliere i pezzi di sé che si stavano sfaldando e perdendo. 

Taehyung vide solamente un lampo di agonia passare nelle iridi scure del principe, gli occhi fare un leggerissimo movimento che lui conosceva e le palpebre battere lentamente prima di venire sospinto dentro la stanza. 

L'eco dello scalpitio, attutito dal tonfo secco della porta che gli veniva richiusa in faccia bastò perché Taehyung sentisse la bolla di panico risalire lungo la gola e le gambe farsi molli; avanzò ciondolando verso il muro a cui si resse serrando gli occhi. 

Tutto sparì, i rumori sfumarono ed il cuore andò in fibrillazione. Il suo corpo smise di rispondere alla sua volontà, la sua mente si annebbiò e lo stomaco gli si strinse, colpi di tosse dovuti alla mancanza d'aria gli perforarono il petto e lo costrinsero a piegarsi in due per lo sforzo.

Sentiva come se il suo mondo fosse stato capovolto, colpito da un tornado che aveva provveduto a strappare via ogni brandello di tutto ciò che avevano costruito con fatica e pazienza; tutto stava crollando e lui non ne aveva il controllo perché non sapeva neanche perché fosse accaduto. 

Quelli che sembrarono secoli -anche se, forse, erano stati solamente minuti- passarono con mortale lentezza con Taehyung che cercava di riprendere a respirare e le lacrime che scivolavano lungo le sue guance e che, copiose, si infrangevano sul pavimento su cui era crollato come le ginocchia gli avevano ceduto. 

Le spalle continuarono a tremargli anche quando gli sembrò che il fischiare delle sue orecchie avesse smesso di assordarlo ed il cuore di scoppiare. Aria gelata riprese a circolare nei suoi polmoni con piccole e veloci boccate in vani tentativi di riprendere a respirare correttamente, e non appena riuscì a mettersi in piedi, si rese conto di essere tornato -almeno temporaneamente- da solo. 

La gola asciutta bruciava, la sensazione di stare per perdere i sensi fu pressante e lo costrinse ad appoggiarsi al muro ad occhi chiusi e fiato corto. Udì il vociare dello studio e la voglia di urlare venne trattenuta a stento. 

Era certo che Jungkook avesse delle ragioni per agire in quel modo, ed era altrettanto certo che il re fosse il principale motivo del suo trattamento, per cui si aggrappò alla piccola quanto flebile certezza che ce l'avrebbe fatta e fece leva sulla sua tenacia. 

Doveva resistere, se non per sé stesso, almeno per Jungkook. 

Rilasciò un respiro tremulo ed instabile mentre socchiudeva gli occhi asciugandosi le lacrime con la manica della giacca in un movimento secco e rude.

Cercò di convincere, invece, i suoi piedi a muoversi ed il suo corpo a collaborare nuovamente; per farlo, non poteva lasciarsi trascinare nell'oblio delle sue paure, ma doveva reggersi alle sue certezze. 

E lui aveva la certezza che Jungkook, così come JK, lo amassero; era certo che non fosse colpa loro l'atteggiamento scostante e rigido con cui era stato accolto, per cui l'unica cosa che gli rimaneva da fare era quella di giocare secondo le stesse regole con cui la vita si divertiva a metterlo alla prova. 

Ciondolò per il palazzo con la costante sensazione di essere osservato, di essere nel posto sbagliato, con la persistente e fastidiosa voglia di voler correre via ed allontanare sé stesso, Jungook e Jimin da quel regno sorto direttamente dagli inferi e diventato il suo inferno personale. 

Però...

Se il re era con Jungkook, significava che con Jimin non si era ancora visto, e che quest'ultimo fosse da qualche parte ad attendere di essere accolto dal sovrano per discutere su superflui contratti politici. 

Guardò il suo orologio da polso ed accelerò il passo, approfittando della possibilità di chiedere di Jimin ad una delle governanti. Ricevette indicazioni vaghe ma puntuali abbastanza da fargli intendere che suo fratello fosse stato accompagnato nelle sue stanze in attesa di prendere parte al colloquio con il re e gli venne automatico, quindi, chiedere anche del consigliere. 

Si era accorto della sua assenza e stentava a comprenderne il motivo, ma un campanello di allarme iniziò a tintinnare nella sua mente perché, alla menzione di Yoongi, la governante aveva abbassato gli occhi e fatto un piccolo inchino, mormorando parole come "non sappiamo cosa gli sia successo" e "non sappiamo dove sia, vostra altezza" così poco rassicuranti e così ostentatamente veritiere che Taehyung represse una risata isterica e senza allegria.

Sperava fosse tutto uno scherzo di cattivo gusto atto a farlo ammattire -perché se quella era la realtà, non stava fottutamente capendo e perché nessuno si stava prendendo la briga di spiegargli qualcosa.

Tutte le sensazioni, tutte le emozioni, tutte le paure contro cui aveva lottato giorno dopo giorno in quel mese di assenza avevano improvvisamente preso forma ed erano diventate qualcosa di peggiore perfino dei suoi scenari peggiori. Erano diventati i mostri contro cui doveva combattere per tirare fuori Jungkook dalla macchia scura dell'oblio in cui era stato spinto a sguazzare; avevano nuovamente imbrattato la sua anima con quelle che sembravano molto più che semplici ferite da ammonimenti verbali, ed era tutto così tanto grave che, adesso, non era solo Jungkook ad esserne stato colpito. 

Era certo, infatti, che fosse successo qualcosa anche a Yoongi. 

Accelerò il passo fino a quasi iniziare a correre mentre si addentrava nell'ala del palazzo destinata alle stanze degli ospiti; gli alloggi erano ubicati in una parte del castello più tranquilla e raccolta, che sembrava quasi un distaccamento dalla realtà aberrante di palazzo Jeon. Non era molto ampia né particolarmente estesa -ma non per questo meno sfarzosa o degna di nota. 

Bussò contro ognuna delle porte che incontrò camminando, colpendo il legno con il pugno chiuso in modo frenetico, sperando di trovare suo fratello quanto prima. 

«Jimin, dove diamine sei...» sussurrò tra sé, passandosi una mano tra i capelli. 

Ma mentre Taehyung si disperava per trovare la sua stanza, Jimin, in quel preciso istante, stava attendendo l'arrivo dei consiglieri e della servitù che lo avrebbero accompagnato direttamente all'incontro con il re. Con ancora addosso i vestiti indossati durante il viaggio e l'espressione contorta in una piccola smorfia di disappunto, se ne stava disteso di schiena sull'ampio letto. 

Mille dubbi gli offuscavano l'anima e lo rendevano noncurante del resto. 

Si passò un mano sul viso con un grugnito esasperato e si massaggiò circolarmente le palpebre, sibilando per il dolore pulsante sugli occhi dovuto alla stanchezza...e non solo. C'era un'indecifrabile inquietudine ad agitarlo e togliergli la serenità, tutta dovuta al pensiero di Yoongi. Non era possibile che Yoongi, quel Yoongi, non li avesse accolti a palazzo. 

L'aveva conosciuto proprio in una di quelle occasioni, come era possibile che adesso avesse smesso di scrivergli e di mostrarsi?

Che diamine, non poteva essersi dimenticato di quella data! 

Si era immaginato centinaia di volte il loro incontro, ma non si era mai immaginato che sarebbe stato attorniato da membri della servitù mai visti prima per essere scortato verso le sue stanze come se fosse pronto a scorrazzare in giro come un bambino.

Ad aggravare il suo stato di nervosismo e poca tolleranza verso il prossimo vi era il mutismo in cui tutti sembravano essere caduti non appena aveva dato voce ad alcune delle centinaia di domande che gli arrovellavano l'animo, riuscendo ad ottenere mezze risposte solo su questioni strettamente collegate alla sua presenza a palazzo. 

Sbuffò sonoramente e grugnì dalla frustrazione; avrebbe voluto strapparsi i capelli per quel grumo di nervosismo che sentiva alla bocca dello stomaco. E dire che erano arrivati da appena un quarto d'ora!

Un bussare concitato ed urgente contro la porta della sua stanza lo fece scattare seduto, sorprendendolo. Il cuore accelerò improvvisamente i suoi battiti e gli occhi si riempirono di speranza. 

Forse era Yoongi?

Era andato a trovarlo non appena saputo del suo arrivo?

Già dimentico di tutte le parole poco cortesi che gli avrebbe voluto rivolgere per la sua assenza, corse verso la porta con il cuore in gola e la spalancò senza neanche pensarci, aspettandosi di tutto fuorché una versione allarmata ed emotivamente provata di Taehyung, i cui occhi allargati e l'espressione contrita bloccarono sul nascere qualsiasi sua frase. 

«Taehyung?!» esclamò, con voce più acuta di quanto si aspettasse. 

Come candele consumate, la speranza del suo sguardo scemò fino a spegnersi del tutto.  Tuttavia, emise un singulto sorpreso non appena Taehyung lo sospinse dentro la stanza e si richiuse la porta alle spalle, girando la chiave un paio di volte prima di voltarsi verso di lui ed allungare una mano nella sua direzione. 

Jimin arcuò le sopracciglia dalla preoccupazione e lo afferrò per un braccio, alzandogli il viso innaturalmente pallido, studiando lo sguardo simile a chi ha assistito ad un omicidio sanguinario. L'espressione urgente dell'altro lo mise in allarme e lo afferrò per le spalle, scuotendolo. 

«Tae, cosa diamine ti è successo?» domandò con apprensione, spostandogli i capelli dalla fronte per scoprirgli un po' il viso. 

Sembrava tanto che Taehyung avesse bisogno di aria. 

«Jimin, sta succedendo qualcosa», iniziò Taehyung, deglutendo sonoramente per spingere sé stesso a parlare, «Anzi, è già successo qualcosa, ne sono certo e non so cosa fare.» si corresse poi, rizzando le spalle ma sbottonandosi la giacca. 

Sentiva ancora addosso quel senso di soffocamento comprimergli il petto e schiacciarlo; si scrollò di dosso i rimasugli del suo attacco di panico come meglio poté, sperando che Jimin scambiasse la sua spossatezza per preoccupazione e non desse troppo peso al suo stato.

Suo fratello lo guardò attonito ed interdetto e batté velocemente le palpebre, arcuando un sopracciglio. «Come?», domandò, incerto, «Tae, siamo letteralmente appena arrivati, come puoi già esserne certo? Ti è successo qualcosa?» 

Jimin non si stava spiegando quell'agitazione di Taehyung, né si capacitò di come quest'ultimo apparisse così tanto convinto mentre scuoteva fermamente la testa.

«Lo so che siamo qui da appena venti minuti, ma ho trovato Jungkook», rivelò, sentendo il cuore sanguinare alla menzione di suo marito, «E, Jimin...Jungkook non è Jungkook. Non ha nulla a che vedere con l'uomo che ho salutato prima che ci separassimo; è dimagrito, sembra essere l'ombra di colui che ho conosciuto e non ha nemmeno voluto parlarmi in privato. Mentre parlava, sembrava quasi non essere nemmeno presente a sé stesso; un po' come se stesse recitando una parte, ho stentato a riconoscerlo.» spiegò Taehyung con tono che, via via, divenne solamente un accennato e flebile sussurro roco velato da profonda angoscia. 

Jimin spalancò la bocca, non aspettandosi quella rivelazione, e boccheggiò un paio di volte -incerto su cosa dire. A colmare quel silenzio assordante creatosi tra loro fu nuovamente Taehyung che alzò gli occhi e strinse le labbra. 

«Con lui non c'era Yoongi, ma solo il re ed i suoi consiglieri. Mentre ti cercavo ho chiesto a qualcuno della servitù di lui e non mi è stato detto nulla di concreto, solo mezze frasi senza senso. Quando succede, significa che è successo qualcosa di serio e vedere Jungkook me lo ha confermato. È successo qualcosa», Taehyung fece una breve pausa a labbra strette prima di concludere il discorso, «Ad entrambi.» 

Ad entrambi.

Quelle parole ebbero il potere di rimbalzare da una parte all'altra della mente di Jimin che, come assimilò il significato ultimo di ciò che Taehyung gli aveva appena riferito, allargò gli occhi a dismisura e giurò di aver sentito il cuore fermarsi per qualche istante, solo per poter poi riprendere a battere sempre più velocemente. Una paura sempre più presente e strisciante lo portò ad afferrare le spalle di Taehyung e a stringerle convulsamente; lo scosse appena con fare impellente e brividi freddi gli scivolarono lungo la schiena.

«Stai dicendo che è in pericolo? Mi stai dicendo che a Yoongi è successo qualcosa di grave per cui potrebbe rischiare la vita?!» si agitò, riuscendo quasi a percepire il volto perdere quasi tutto il suo colore. Taehyung gli coprì la bocca con la mano e sibilò per intimargli di tenere un tono di voce basso, guardandolo con fare consapevole ma ferreo. 

Jimin scosse la testa e lo scrollò per le spalle; le narici gli si allargarono per l'agitazione e gli sembrò di morire per l'impatto con quell'ondata di preoccupazione nel vedere tutti i suoi sospetti prendere orrendamente vita. «Jimin, fa' piano!» gli sibilò Taehyung, ma Jimin grugnì e fece un verso sconvolto. 

«Taehyung, cazzo! Cosa gli è successo?! Dov'è? Non intimarmi alla dannata calma perché non sono nelle condizioni di poterlo essere!» sibilò-urlò, in modo quasi isterico e totalmente incontrollato. 

Come poteva controllarsi quando, probabilmente, a Yoongi era successo qualcosa senza che lui ne sapesse niente? Senza che potesse fare nulla per aiutarlo?!

Taehyung ebbe l'impulso di urlare la sua frustrazione ma, invece, si limitò ad imprecare sottovoce. «È questo il punto, non lo so! Ho provato a chiedere informazioni ma nessuno mi ha saputo dire nulla! Non è con Jungkook, so che non è con lui perché non avrebbe mai permesso che si riducesse in quel modo. Tu non l'hai visto, Minnie, ma Jungkook è un'ombra... è completamente distrutto ed è sotto la costante osservazione del re ed uno dei suoi stupidi e pomposi consiglieri! Non so dove sia, ho cercato in tutte le stanze che ho incontrato e non è da nessuna parte.»

Jimin imprecò coloritamente e si scompigliò i capelli, guardandosi intorno con occhi sempre più allargati ed attoniti. Stava cercando, in modo quasi disperato, un appiglio o un qualcosa che gli suggerisse che ciò che stava vivendo fosse solamente un incubo. Solo un fottutissimo ed orribile incubo da cui si sarebbe svegliato e di cui avrebbe riso per la sua fantasia.

Doveva esserlo, non poteva essere la realtà. 

Si rifiutava di credere che il destino si divertisse così tanto con le loro vite, che gli avesse permesso di toccare il cielo con un dito per poi sottrargli tutto e lasciarli da soli a vagare nel buio alla disperata ricerca di chi si ama. 

«Devo trovarlo», proruppe Jimin senza alcuna esitazione, «Devo trovarlo. Non posso starmene seduto qui come un emerito coglione sapendo che è in pericolo...non ci riesco, devo vederlo, devo—» sbottò, stringendo poi forte i pugni per come la voce gli tremò e si tirò. 

Taehyung vide gli occhi di Jimin velarsi di lacrime; cristallini, mantennero la stessa austerità e la stessa tenacia nonostante agonizzassero dalla preoccupazione. Taehyung gli afferrò il volto e lo guardò dritto negli occhi, ignorando il tremore leggero delle sue mani e quello più prepotente del labbro inferiore di Jimin.

Gocce di pioggia scivolarono sulle guance pallide di suo fratello e si infransero sui suoi polpastrelli, seguiti da un singulto ed un piccolo tremore delle sue spalle che Jimin cercò di sopprimere.

«Jimin, ascoltami attentamente», sussurrò Taehyung, guardandolo dritto negli occhi, «So quanto sei preoccupato, lo sono inverosimilmente tanto anche io ma non sappiamo ancora cosa sia successo. E per venirne a conoscenza, dobbiamo fingere di non sapere; devi reggermi il gioco e non devi parlare di niente con nessuno. Qui anche i muri hanno le orecchie, non hai idea di cosa sia capace di fare Jeon quindi, ti supplico, fingi che vada tutto bene.»

Parlò scandendo le parole e come Jimin le assimilò, per poco non cedette all'impulso di dargli una testata. Non gli stava intimando di fare finta di niente, vero? Non gli stava dicendo di dover vivere tranquillamente come se Yoongi non fosse in pericolo, giusto? 

Non gli stava fottutamente dicendo di starsene in compagnia del re quando era quest'ultimo la causa di quella dolorosa tristezza, no?

No, non glielo stava chiedendo seriamente.

Eppure, lo sguardo fermo ed imperscrutabile di Taehyung gli diceva esattamente il contrario.

«Taehyung, ma cosa cazzo stai dicendo?», esclamò ad alta voce, schiaffando via le sue mani per, invece, grugnire dalla frustrazione, «Come faccio a fingere che vada tutto bene quando non so neanche cosa sia successo a Yoongi? Dovrei guardare negli occhi il motivo per cui mi sento morire ad ogni secondo che passa e sorridergli come se nulla fosse?!» urlò, passandosi rabbiosamente il dorso della mano sul viso per scacciare via le lacrime.

Gli bagnavano il viso, gli rendevano la vista acquosa e poco nitida, lo rendevano debole e vulnerabile come non voleva esserlo; rendevano reali quei momenti che aveva temuto e che aveva cercato di ignorare, rendevano reale la possibilità di non poter rivedere Yoongi. 

«Se tu riesci a farlo, io no!», esclamò, ma la voce gli si spezzò ed il panico gli si dipinse sul volto distorto in una maschera di terrore, angoscia, paura e sgomento. In quel preciso istante, vedendo la stessa paura aleggiare nelle iridi cerulee di suo fratello, si chiese come l'altro avesse fatto a vivere lì dentro e non temere per la propria incolumità; erano arrivati da neanche un'ora ed aveva avuto la conferma a tutti i suoi dubbi -con l'aggravante di non poter esternare nessun sentimento, neanche il più opprimente. 

Taehyung azzerò la distanza tra loro e lo strinse in abbraccio contro cui Jimin si lasciò andare senza neanche pensarci, stringendolo stretto a sua volta mentre affondava il naso nella sua spalla e si mordeva il labbro inferiore ad occhi strizzati. Sentì le mani di suo fratello passare delicatamente sulla sua schiena per dargli conforto ed un bacio venne lasciato sulla sua testa nello stesso momento in cui i suoi singhiozzi divennero più alti ed angosciati. 

Taehyung, a differenza sua, sembrava quasi abituato a quel tipo di sensazioni perché, a parte una compita agonia ed una visibile preoccupazione ad incurvargli le sopracciglia e adombrargli lo sguardo, era comunque più integro di quanto si sentisse lui in quel momento.

«Lo so, Minnie», mormorò contro il suo orecchio, sentendo la tristezza stringergli la gola, «So che ti sto chiedendo tanto ma, ti prego, provaci. Io vedrò di capirci qualcosa ma segui le mie indicazioni; l'ultima persona che ha provato a mettersi in mezzo è finita con una corda al collo per cui—Jimin devi farlo. Mostrati indifferente, non mostrare le tue paure o le tue angosce. Qualsiasi cosa ti dica il re rimani impassibile; anche se ti dovesse confidare che mi farà giustiziare, anche se ti rivelasse che Jungkook sta per morire...ti prego, non mostrargli nulla se non compito compatimento. Siamo intesi?»

Jimin lo strinse maggiormente, quasi non volendolo lasciare andare. 

«Taehyung, stai attento», gli soffiò contro l'orecchio, distaccandosi appena per guardarlo con occhi supplicanti, «Ti prego, Tae. Trova Yoongi, io non posso vivere senza di lui.» continuò poi, con tono così flebile ed accennato che Taehyung lo capì a stento.

Tuttavia, era bastato sentire il nome del consigliere per sapere già cosa gli stesse richiedendo -comprensibilmente, tra l'altro- per cui annuì velocemente e asciugò le lacrime con dita delicate, lasciandogli un bacio sulla punta del naso. 

«Sì, te lo prometto. Hai ancora un po' di tempo prima che il re ti convochi, fa' come ti dico e torna nella tua stanza quanto prima. Io non mi presenterò stasera a cena, né mi farò vedere troppo in giro; devo parlare con Jungkook e devo farlo il prima possibile, per cui...stai attento anche tu.» gli sussurrò con fare serio, guardando intensamente Jimin fino a che questo non annuì lentamente e tirò su con il naso.

Si scambiarono un breve bacio sulle labbra e, poco dopo, Taehyung uscì cautamente dalla stanza di suo fratello -sincerandosi prima che non ci fosse nessuno in giro.

Adesso, non gli restava altro che attendere Jungkook. 


...................


Taehyung lanciò nuovamente un'occhiata all'orologio a pendolo posto sopra il camino e strinse le labbra in una linea sottile per l'apprensione. Per incontrare Jungkook doveva attendere che a cena volgesse al termine -ed era superfluo specificare che non si era minimamente sentito di presentarsi nella sala reale al cospetto del re, consumando un pasto davanti ad una strana e distorta copia di suo marito. 

Aveva quindi chiesto esplicitamente di essere indirizzato verso la stanza occupata da Jungkook perché la loro camera -quella che condividevano da ormai quasi un anno- era apparsa fin troppo immacolata ed intatta per essere stata utilizzata. Non che la camera che gli avessero indicato come quella utilizzata da Jungkook fosse migliore, comunque. 

Mancavano una serie infinita di dettagli che la rendevano vuota e priva di anima; non vi era nessuno svuotatasche contenente i gemelli che utilizzava di solito il principe, mancava la stampella su cui appendere l'abito utilizzato, non vi era alcun cuscino extra che occupava gran parte del letto e che sia Jungkook che Kookie avevano l'abitudine di abbracciare per colmare la sua assenza. 

Quel dettaglio gli era stato rivelato da Jungkook durante una delle loro tante chiacchierate notturne, convenendo che l'abitudine dei cuscini fosse anche di Kookie perché, da piccolo, soleva abbracciare questi quando si sentiva solo. 

Stentava a credere che quella fosse la sua stanza, e alla tentazione di andare in un'altra camera -in cui era certo avrebbe potuto trovare alcune risposte alle centinaia di domande che lo avevano continuato a colpire- cedette solo quando le lancette segnarono le nove e un quarto in punto. 

Stufo di starsene seduto ad attendere che il tempo facesse la sua mossa, afferrò una lampada ad olio e si incamminò silenziosamente verso quell'ala del palazzo riservata solamente alle camere di JK e Kookie -le uniche che avesse mai visto, tra l'altro. Jungkook gli aveva chiarito più e più volte che la sua vecchia stanza conteneva fin troppa violenza per poterla rivedere, per cui non aveva mai nemmeno considerato l'idea di entrarci. Aveva sempre avuto grande rispetto degli spazi altrui, soprattutto per quelli che riguardavano Jungkook, ma non poteva fare a meno di mettere da parte la sua morale ed andare, invece, a ricercare qualche indizio nella stanza di JK. 

Si mosse silenziosamente così da non fare rumore e non destare l'attenzione di nessuno, privandosi di accendere le luci dei corridoi e delle stanze che attraversava per evitare di essere scoperto mentre si domandava quante cose nascondessero quelle mura -servitù compresa. 

Si era accorto delle risposte evasive che gli venivano propinate a domande un po' più specifiche del "dove sono i miei abiti da notte", ed anche se aveva tentato di estorcere qualche informazione alla sua cameriera personale, a nulla erano valsi i suoi sforzi. Sembrava che tutti avessero le labbra cucite, nessuna parola veniva detta che non fosse necessaria e ciò lo gettava ancora di più nello sconforto, alimentando la sua immane quanto controllata preoccupazione per ciò che nascondessero quei volti di carta e quegli sguardi vuoti. 

Il dubbio di dove fosse finito Yoongi era, anch'esso, un qualcosa di così pressante che stentava a credere di riuscire ad uscire vivo da tutte quelle preoccupazioni. 

Scosse velocemente la testa e passò silenziosamente vicino le porte della sala da pranzo, sentendo il vociare allegro del re ed un suono di piatti e posate che tintinnavano acutamente.

Nonostante fosse letteralmente fuori orario, Taehyung pensò che forse, per la prima volta, la fortuna girava dalla sua parte, perché quel ritardo gli avrebbe fornito più tempo per poter vagare indisturbato per il palazzo. Corse letteralmente per i corridoi silenziosi e si aggrappò alla maniglia della porta della stanza di JK come se ne valesse della sua vita, anche se la mano tremava e tutta la sicurezza che aveva percepito appena un attimo prima venne rimpiazzata da velata ansia. 

Aveva dannatamente paura che, se solo avesse aperto quella porta, una verità di cui non sapeva se fosse pronto a venirne a conoscenza gli si sarebbe mostrata; temeva di non essere forte abbastanza da riuscire a fronteggiare qualsiasi cosa quelle mura celavano; temeva che avrebbe ceduto senza neanche poter combattere. 

Serrò la mascella e chiuse gli occhi per attimi interminabili. Bastò focalizzarsi sull'espressione del volto di Jungkook di quella mattina per poter raccogliere con sicurezza tutto il coraggio necessario ad aprire lentamente la porta e tastare il muro per trovare l'interruttore. 

Come la luce soffusa dei candelabri si irradiò per tutta la camera, Taehyung sentì quasi la presa sulla sua lanterna venire meno. Aggrottò la fronte e schiuse le labbra, facendo qualche passo in avanti per entrare e guardarsi intorno con stupore e disorientamento. 

La camera di JK non era come soleva ricordarla. 

Non era come l'aveva vista l'ultima volta, non era come la ricordava e non sembrava rispecchiare troppo JK e la sua personalità. 

La stanza era...disordinata.

Ma quello non era un disordine adolescenziale; non era un disordine dovuto alla svogliatezza di rimettere al loro posto abiti o fogli da disegno, era più un qualcosa di simile al caos. Se avesse dovuto definire le condizioni della camera di JK, avrebbe sicuramente scelto l'espressione caotico disordine perché rappresentava una confusione, un malessere ed uno stordimento che lo colpirono dritto al cuore. 

JK era sempre stato un tipo attento ed ordinato, e trovare la sua camera in quelle condizioni lo stupì e lo atterrì per qualche istante. Gli occhi vagarono in giro, notando come il letto apparisse disordinato e stropicciato -come se non venisse sistemato da giorni-; le coperte erano ammassate scompostamente negli angoli più remoti del baldacchino, una serie di cuscini erano malamente sparsi sul materasso ed altri erano abbandonati per terra, aggrovigliati a quelli che sembravano alcuni indumenti notturni. 

L'armadio era aperto ed i vestiti erano stati gettati per terra, riversi al suolo e mollemente afflosciati su loro stessi; alcune camicie -a cui JK teneva particolarmente e di cui Taehyung aveva riconosciuto i riporti dorati- erano ammassate ed appese agli angoli delle poltrone; ma ciò che più di ogni altra cosa attirò l'attenzione di Taehyung, fu il quantitativo di fogli che ricoprivano confusamente il pavimento.

Alcuni erano stati stropicciati, altri erano diventati carta straccia, altri erano in brandelli, mentre altri erano stati abbandonati ed impilati disordinatamente negli angoli. 

Taehyung si richiuse la porta alle spalle e boccheggiò, sentendo sotto il naso il leggero odore della colonia preferita di JK mista ad un odore di...pittura, forse? Arricciò il naso e si guardò intorno con fare scrutatore, deglutendo un paio di volte con l'intento di sciogliere il nodo che sentiva stringergli la gola e soffocarlo. 

Posò la lanterna su un mobile e si addentrò nella camera, cercando con gli occhi un qualcosa che potesse fare da filo conduttore a tutto quello che gli si stava mostrando con macabro silenzio; con l'inquietudine ed il timore a fare da padrone, si chino leggermente per raccogliere uno dei tanti fogli che tappezzava il pavimento ed il tavolino basso su cui JK soleva disegnare.

Un verso di puro stupore lasciò le sue labbra notando che, tra le mani, stringeva uno dei tanti schizzi ritraenti Furia; ma non era l'unico. Prese a collezionarne diversi per osservarli ed ebbe modo di scoprire che tutti quei disegni e quegli schizzi fossero tutti del cavallo preferito di JK e Jungkook. 

Schiuse la bocca per lo sgomento e gli occhi si posarono su una serie di disegni sparsi sul tavolino; il tratto di JK era sempre stato netto e veloce, minuzioso ed attento come solo quello di un artista come lui avrebbe potuto essere, ma la sua inquietudine crebbe nel vedere i soggetti dei suoi schizzi ed il modo in cui questi erano stati tratteggiati. 

Delle mani le cui dita sembravano diventare artigli si stagliavano per interi fogli; dai tratti tremolanti e poco definiti, le ditate di carboncino lasciavano intravedere il chiaroscuro atto a dare tridimensionalità a quelle figure scure ed inquietanti. Le mani erano tante, erano terrificanti per quanto fossero dettagliate, ed erano tutte diverse. 

Alcune erano più affusolate, altre erano più corte e tozze, altre erano nodose ed altre ancora erano ossute. 

Sembrava che JK avesse tratto spunto dalla realtà, ma erano tutte accomunate da un tratto poco definito, tremolante, instabile e calcato; in alcuni punti, infatti, si poteva notare il punto in cui il carboncino aveva ceduto alla pressione esercitata -o dove il foglio si fosse bucato e poi stracciato a metà. 

Un dubbio improvviso lo assalì e sentì un brivido freddo scivolargli lungo la schiena smuovendogli le viscere e bloccando i suoi movimenti. Il cuore gli balzò in gola e sentì le orecchie iniziare a fischiare mentre la bocca gli si prosciugava ed il respiro gli si mozzava. 

Se quelli riversi al suolo erano i disegni che un tempo avevano tappezzato la parete alle sue spalle...adesso, con cosa erano stati sostituiti?

Deglutì a vuoto e strinse la presa su un foglio, prendendo una boccata d'aria gelida per darsi la forza di scrollare le spalle e voltarsi lentamente. Come gli fu chiara la visione di tutta la parete su cui JK soleva appendere i propri disegni, i brividi che aveva percepito poco prima si moltiplicarono e divennero gelati; si irradiarono lungo le braccia e gli si arrampicarono sulla nuca. Era certo che, se avesse avuto la coscienza di guardarsi le braccia, avrebbe visto la pelle accapponarsi perché quei brividi li stava percependo fin dentro le ossa. 

In una narrazione poco chiara e scoordinata, Taehyung fece un passo indietro, rischiando di inciampare nei suoi stessi passi.

Occhi.

Abbozzati, schizzati, tratteggiati o minuziosamente rappresentati; un quantitativo indefinito di occhi costellavano l'intero spazio sfumando poi verso una serie di macchie scure e poco definite che, ad un primo sguardo, sembravano essere spettri. Dal centro, quegli sguardi congelati in momenti sporadici si irradiavano diventando via via sempre meno definiti, meno articolati, meno tratteggiati ed anche meno chiari, sfumando via via in macchie sempre più scure che si irradiavano con velocità disarmante e mani artigliate prendevano il loro posto.

In quel turbinare, Taehyung si perse, notando solo successivamente un altro particolare. 

Tutti quegli occhi erano di un chiaro e brillante azzurro.

Tutte le iridi di quegli occhi sorridenti, tristi, allegri, spensierati, inquisitori, arrabbiati, sgomenti, sorpresi o increduli, erano statti tutti campiti con tocchi di azzurro e di blu. Sotto l'occhio destro, un piccolo neo era stato disegnato con perfezione quasi inverosimile ed una delle due palpebre era doppia. 

Taehyung si portò istintivamente la mano sul viso e sfiorò le sue ciglia perché quegli occhi...

Erano i suoi. 

Quegli occhi erano i suoi e tappezzavano quello che sembrava il fulcro di un pensiero, ma il suo sguardo non ricopriva solamente la parete. La narrazione continuava in alcuni disegni accatastati a ridosso dell'angolo della parete, alcuni erano stati appesi perfino sul cavalletto delle tele ed altri giacevano sul piccolo sgabello in legno. 

Il foglio che stringeva tra le mani gli sfuggì perché era impossibile rimanere impassibili di fronte a quello spettacolo malinconico ed infelice che lo stava annichilendo; un tumulto interiore a cui non riusciva a dare voce né nome gli agitò l'animo e le gambe quasi non cedettero. 

Tutti i sentimenti negativi che un tempo avevano fatto parte della sua quotidianità erano tornati, centuplicati e marcati da una forte apprensione per la salute mentale di Jungkook. Quei disegni erano molto più che semplici rappresentazioni, quelle immagini parlavano e raccontavano agonizzanti tormenti che lo portarono ad inciampare sui suoi stessi passi.

«Ma cosa...» sussurrò tra sé, reggendosi ad una delle colonne del baldacchino perché sentiva la necessità di stringere qualcosa, di appigliarsi e di reggersi perché si rifiutava di comprendere. Non stava capendo, non stava dannatamente capendo. 

Un bisogno urgente ed indomabile di trovare Jungkook lo scosse fin dentro il midollo, tirandolo fuori dal suo panico interiore per andare velocemente verso la porta e spalancarla con l'intento di correre fuori e trovare il principe. 

Doveva trovarlo, non poteva attendere oltre. Doveva trovarlo e doveva sincerarsi che stesse b—

Era giusto uscito dall'ala d'ingresso quando un frusciare ed un tonfo sordo non gli arrivarono alle orecchie, atterrendolo. Smise perfino di respirare e si voltò con occhi sgranati alla sua destra, pregando con tutto sé stesso che non fosse qualcuno della servitù. Ringraziò il suo spirito pragmatico per avergli dato la prontezza di portarsi con sé la lanterna e la allungò in avanti per poter illuminare parte dell'atrio lasciato in ombra. 

Un singulto lasciò le sue labbra e gli occhi si spalancarono, spaventati.

Riverso al suolo, piegato su di un fianco e che rantolava affannosamente, se ne stava Jungkook; issato su un avambraccio e con la testa ciondolante, le spalle erano ricurve mentre al suo fianco si allargava una macchia che Taehyung considerò essere il contenuto del suo stomaco -sospetto che gli venne confermato non appena gli corse incontro e gli si inginocchiò di fianco.

Il cuore gli balzò nel petto, arrestandosi per qualche istante, e sgranò gli occhi -così tanto da farsi sfocare la vista. Le sue supposizioni circa cosa fosse ciò che giaceva poco lontano da dove Jungkook era strisciato via si dimostrarono corrette nel momento in cui l'odore acidulo e pungente dei succhi gastrici gli arrivò alle narici.

Lo stomaco gli si rivoltò ma ignorò il movimento delle sue budella perché, attualmente, ciò che gli importava era sapere cosa avesse Jungkook. Puntò la flebile luce della candela sul volto del principe e, come lo fece, un'ondata di angoscia lo investì e rischiò -per la seconda volta- di far crollare l'unica fonte luminosa in quello spazio buio e angusto. 

Il volto di Jungkook era una maschera scarna, cerea e sudata; lo sentiva rantolare affannosamente, vedeva le narici allargarsi, gli occhi erano sgranati e le pupille dilatate -anche se non tanto quanto le aveva viste al mattino. Le labbra erano violacee e tremanti, i capelli gli si erano incollati alla fronte imperlata di sudore e notò come il suo corpo fosse scosso da potenti tremori. 

«Jungkook!», esclamò, quasi senza voce, sentendosi morire ad ogni rantolio affannato dell'altro, «Oh cielo, che ti sta succedendo? Cos'hai?» sussurrò, non provando nemmeno a nascondere il panico che stava velando ogni frase, ogni parola, ogni lettera ed ogni battito doloroso del suo cuore pulsante e fremente. 

Jungkook tossì; i colpi di tosse secca divennero ben presto dei singulti più profondi prima che un altro conato lo investisse, costringendolo a rimettere il poco che rimaneva nel suo stomaco. Taehyung si accorse come l'altro stentasse perfino a reggersi sulle braccia e agì velocemente, mollando la presa sulla lanterna e scattando in piedi. Una mano si posò sulla sua fronte ed un braccio si avvolse attorno al busto di Jungkook per poterlo sorreggere, sentendosi morire ad ogni singulto e ad ogni colpo di tosse emesso. 

Sentì la paura ed il terrore avvilupparlo stretto e stroncargli il respiro, ma niente riusciva ad avere su di lui una presa così tanto salda come la visione di Jungkook stare così tanto male da sembrare essere sul punto di perdere i sensi. 

Il corpo di Jungkook venne scosso nuovamente e le braccia di quest'ultimo tremarono prima di cedere; Taehyung si accorse con terrore che l'altro non sembrava avere nemmeno le forze necessarie a sorreggersi sulle mani, per cui si spostò e gli avvolse entrambe le braccia attorno alle spalle, facendole passare sotto le ascelle in modo da fare leva con gli avambracci e trascinarlo lontano dai residui del suo stomaco.

Adagiò Jungkook per terra facendogli poggiare la schiena contro la parete e gli si accovacciò di fianco, passandogli una mano tra i capelli madidi per scoprirgli la fronte. 

«Jungkook, amore mio.», sussurrò con apprensione, prendendogli il viso tra le mani per potergli alzare il capo e guardarlo. Lo sguardo vagò con orrore crescente sul viso del principe e costrinse le sue mani a rimanersene ferme sul suo volto mentre quello sembrava riuscire a stento a metterlo a fuoco. Gli occhi del principe erano vuoti ed infossati, marchiati da segni evidenti sotto le palpebre arrossate; le guance erano incavate ed escluse la possibilità che la drammaticità dei tratti somatici fosse dovuta alla proiezione della luce fioca della lampada. 

L'espressione dell'altro era martoriata, era contrita, era agonizzante mentre lo guardava con occhi spenti ma consapevoli, come se lo vedesse ma non riuscisse a capire se fosse lui o meno. Quel tipo di reazione Taehyung l'aveva già vista, aveva già vissuto quei momenti in cui Jungkook faticava a mettere a fuoco la realtà, a focalizzarsi sul presente o su ciò che lo circondava. Lo aveva già vissuto e l'idea che tutto potesse ripetersi lo terrorizzò come forse niente riusciva a fare, perché Jungkook era molto più di un marito. 

Lui era l'amore della sua vita, era la persona per cui avrebbe sacrificato anche la sua stessa esistenza, ed erano queste scintille di consapevolezza ad alimentare la fiamma del suo animo e la sua determinazione nel non lasciarsi colpire dalle intemperie che volevano annientarli.

Non lo avrebbe permesso.

Non avrebbe permesso che qualcuno lo facesse con Jungkook. 

«Jungkook?» chiamò nuovamente Taehyung con l'apprensione nella voce, passando i pollici sugli zigomi un po' più ossuti di quanto ricordasse. Di nuovo, l'espressione distrutta e provata di Jungkook si tese e le labbra si schiusero per lasciare andare un piccolo respiro tremulo mentre uno spasmo lo colpiva nuovamente, scuotendolo.

«Amore, sono io. Sono Tae.» soffiò poco dopo, deglutendo a vuoto per attimi interminabili scanditi solo dal battito furioso del suo cuore. Vide Jungkook alzare una mano con esitazione fino a che non gli sfiorò appena il braccio; al contatto delle dita pallide e fredde contro la sua pelle, gli occhi del principe si allargano e le dita scorsero con poca fermezza sul suo avambraccio.

Jungkook schiuse le labbra ma, anziché dire qualcosa, agì d'istinto; strisciò sul pavimento fino a che non riuscì ad essere abbastanza vicino a Taehyung da potercisi rannicchiare contro, infossò la testa tra le ginocchia strette al petto e si sbilanciò su di un lato in modo che la testa fosse perfettamente sotto il mento dell'altro. 

I capelli corvini gli solleticarono la pelle e Taehyung sentì il cuore stringersi per la posizione vulnerabile assunta. Come un porto sicuro, le braccia di Taehyung si avvolsero immediatamente attorno alle sue spalle e lo strinsero delicatamente; posò il capo sulla sua testa e cercò di mantenere un atteggiamento calmo ed equilibrato nel mentre che lasciava che Jungkook gli si accoccolasse vicino. 

Che poi dentro di sé avvertisse un tumulto così grande ed indefinito da essere praticamente insormontabile, simile ad un tornado atto a mettere alla prova la sua -la loro- stabilità, fu un qualcosa che si tenne per sé e che evitò di palesare.

Il corpo del principe tremò violentemente, colpito da un altro tremito indefinito e caduto vittima di sferzate di vento gelido e doloroso; Taehyung socchiuse gli occhi e gli lasciò un bacio tra i capelli, avvolgendolo più stretto mentre Jungkook gli si stringeva contro. 

«Va tutto bene, Koo. Va tutto bene...» gli mormorò con tono calmo e soffuso, dalle profonde note affettuose ed amorevoli -tali da riuscire a toccare i tasti giusti dell'anima dell'altro. Lo sentì annuire appena e chiuse gli occhi per imporsi lucidità, prendendo a disegnare piccoli e delicati cerchi concentrici sulla sua schiena. 

«Adesso passa, non sei da solo, Koo. Ci sono io, va tutto bene.» gli ripeté come un piccolo mantra; il timbro di voce basso, pacato e carezzevole scivolò nello spazio inesistente tra loro e Taehyung lo cullò per momenti interminabili, in attesa che l'altro si riprendesse e riuscisse a non tremare ad ogni minimo respiro più rumoroso. 

Le parole affettuose e soavi di Taehyung continuarono ad essere un brusio soffuso e dolce, riempiendo il fischiare delle sue orecchie ed il tremore delle sue viscere; quella nenia era gentile, era familiare, sapeva di casa e sapeva di amore. In qualche modo sapeva di felicità e anche se le parole sussurrate potevano sembrare vuote e scarne, erano dolci abbastanza da riuscire a fare presa su ciò che rimaneva del suo animo.

Sospirò debolmente per la contentezza di averlo di nuovo vicino e allungò nuovamente una mano verso Taehyung, tenendola ferma sulla sua gamba. Sembrava avesse bisogno di...contatto? 

«Koo, te la senti di andare in camera?» gli sussurrò Taehyung, lasciandogli un altro bacio sulla testa a mo' di incoraggiamento. 

Ma, alla sua domanda, non arrivò la risposta che si aspettava. 

Flebile, accennato, quasi mimato, un soffio capace di disorientarlo e fargli arrestare il cuore arrivò alle sue orecchie, riecheggiando nel suo petto dolente.

«Sono JK.» 




















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NDA: Bentrovati♡♡

Ci siamo tutti a fine capitolo... sì, vero?

Sono un  po' duri, eh? Ebbene, il mistero è svelato: a parlare con Taehyung sin dall'inizio del loro incontro è stato proprio JK. 

-La faccenda di Yoongi: non vi preoccupate che torneremo a parlare della sua condanna a morte, che non è finita così a caso. Non possiamo finirla lasciandola in sospeso, no? Noi ci dobbiamo buttare a pesce nelle cose, con la stessa nonchalance con cui vorrei gettarmi da un balcone ♡

-Jimin: La Vmin è la mia brotp per eccellenza, io li amo VISCERALMENTE in qualità di fratelli/amici fraterni. Spero che le conversazioni con Taehyung non vi stiano risultando tediose; in realtà, diciamo che Minnie avrà un ruolo cruciale perché senza di lui non succederebbe una cosa che non volete che accada--

-TaeKook: la taekook di lmg is back! Non li avremo più divisi -nel senso più stretto del termine- quindi siamo tornati di nuovo tutti insieme appassionatamente.

Taehyung ha avuto un attacco di panico subito dopo il primo colloquio con Jungkook; è una cosa con cui Tae convivrà per tutta la vita e che, al momento opportuno, si ripresenta. Lui è il personaggio più forte della storia, ma non per questo infallibile :) si piega ma non si spezza, in sostanza. 

Personalmente, mi sono dilungata nella descrizione della stanza di JK perché sono fermamente convinta che dall'ambiente in cui una persona vive si possano comprendere tante cose che ad occhio nudo non sono visibili. I disegni di JK mostrano tanto, così come mostrerà tanto il suo "autoritratto" (non me lo sono dimenticata ;)).

A parte tutto, grazie di vero cuore per aver letto, ma tanto davvero. Riempite le mie giornate -non sapete neanche voi quanto. 

A presto ♡♡


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