Let Me Get Lost In You [TaeKo...

By Hananami77

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''«Taehyung non può sposare il figlio di Jeon. Ho sentito troppe cose poco rassicuranti sul suo conto, non po... More

Personaggi+Introduzione
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#Special: [Biscotti in incognito]
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[Special 3#] Buon compleanno, hyung!
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~Epilogo~
LMGLIY - FAQ

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By Hananami77

ADV: presenza di scene grafiche che potrebbero urtare. Se siete particolarmente sensibili, sconsiglio la lettura dei paragrafi in corsivo. Nelle NDA trovate una piccola spiegazione se ve li perdete^^

Consiglio l'ascolto di: "It pulls me under - Butterfly Butcher" dal momento in cui raggiungete il primo paragrafo in corsivo.  











«Taehyung—pensi possa esserci la possibilità di stare insieme per... me e Yoongi?»

La domanda di Jimin spezzò il silenzio caduto tra loro che, distesi l'uno di fianco all'altro sul letto a due piazze di Taehyung, guardavano il soffitto e lasciavano che gli occhi vagassero alla ricerca di un appiglio o un dettaglio su cui dirottare l'attenzione. Era fin troppo facile cedere alla malinconia che, balorda, spadroneggiava nei loro animi forzatamente solitari. Il bisbiglio fatto da suo fratello sembrò quasi assordante tanto fitto fosse il silenzio attorno a loro, e Taehyung smise di giocherellare con la sua fede per arcuare leggermente il sopracciglio.

«Non posso darti una risposta certa ma, a primo impatto, mi verrebbe da chiederti perché pensi che non possiate stare insieme.» gli sussurrò in risposta, in un soffuso mormorare sufficiente a mostrare la perplessità per il dubbio palese nel tono di Jimin.

Questi emise un flebile lamento e la fronte gli si aggrottò; le mani, posate sul suo stomaco, si aggrapparono appena alla leggera camicia indossata e sentì il petto stringersi. «Perché lui non è un principe come me o te. E perché siamo due uomini.» rispose con un filo di voce, rilasciando poi un sospiro profondo e pesante quanto un macigno. 

Taehyung sistemò il capo sul cuscino, muovendosi appena nella sua posizione cosicché le loro braccia si sfiorassero. «Anche io e Jungkook siamo due uomini. Non penso possa essere questo il reale ostacolo alla vostra unione. È vero, non è un reale, ma è comunque un consigliere.» rispose con sincera perplessità, a cui Jimin rispose scuotendo appena la testa. Fece un sorriso incerto che morì poco dopo averlo forzato e puntò gli occhi sul riflesso arcobaleno del blindolo che, colpito timidamente dalla luce notturna, proiettava la sua vivacità sul soffitto.

Ne osservò il tremulo ondeggiare, assorto, mentre la mente si arrovellava su mille pensieri -che erano solo una parte di tutti quelli che lo perseguitavano giornalmente. 

«Ma Jungkook è il futuro erede al trono. Lui un giorno diventerà un re», obiettò quindi, socchiudendo gli occhi mentre il dorso della mano si posava sulla sua fronte, coprendogli in parte la vista, «E tu sei comunque un principe, seppur non erede diretto alla corona. Ma noi... Non credo che ci siano speranze per noi, lui non appartiene alla nostra classe sociale, e nonostante sappia perfettamente che non c'è alcun futuro ad attenderci, non riesco a rinunciare a...tutto. A lui», mormorò Jimin, «E mi sento una persona orribile per questo, perché dovrei lasciarlo libero di crearsi un futuro con qualcuno che possa dargliene uno, non con qualcuno come me.»

In quel frangente, Jimin ringraziò la notte; la ringraziò per essere capace di nascondere il tremore della sua voce e la lacrima che, veloce, era scivolata dal suo occhio senza che potesse arrestarla, tracciando un sentiero caldo e salato lungo la sua tempia fino a perdersi tra i capelli. Era stata silenziosa come lo era il suo sentimento; era stata dolorosa tanto quanto il pensiero di non poter vivere la vita che desiderava; necessaria come lo era il dover esternare quei pensieri che lo stavano divorando dall'interno, consumandolo.

E l'unica persona con cui riusciva a parlarne senza sentirsi patetico, senza sentirsi minacciato o giudicato, era proprio suo fratello. 

Infatti, Taehyung fece strisciare una mano tra di loro e la posò sul dorso di quella di Jimin, stringendola senza dire niente. Lasciò che suo fratello lasciasse andare almeno una parte della malinconia che lo attanagliava e attese che i sentimenti impetuosi che si agitavano nell'animo di Jimin e gettavano ombre nei suoi occhi -da sempre vividi e limpidi come un ruscello- si acquietassero. 

La presa sulla sua mano si rafforzò ed intrecciò le loro dita, lasciandole ricadere tra di loro prendendo un profondo ma silenzioso respiro. Sembrava tanto che cercasse di respirare in un ambiente privo di ossigeno ma ci provò comunque, lasciando dilatare i polmoni abbastanza da raccogliere tutti quei frammenti di sentimenti che gli orbitavano attorno come satelliti per tornare a comporre la sua personale galassia.

«Sono sicuro che esista un modo per stare insieme. Dobbiamo solo cercarlo e, nel frattempo, potremmo chiedere a Jin di darci qualche dritta o consiglio. Sai meglio di me che conosce tutti i codici reali letteralmente a memoria.» pronunciò con tenacia Taehyung, palesemente indispettito dalla possibilità che suo fratello non potesse amare alla luce del sole un'altra persona solo perché non di sangue reale. 

O perché dello stesso sesso. 

Lui e Jungkook erano stati gettati in pasto ai pregiudizi della società senza neanche prima prepararli; erano stati vittime di occhiate disgustate, infastidite o disinteressate, Taehyung lo aveva messo in conto e le aveva superate, ma perché dovevano sempre essere vittime di pareri e giudizi non richiesti e pressoché inutili?

Il suo matrimonio era stato un esperimento, una sorta di tentativo per capire fino a che punto potersi spingere con i matrimoni di interesse -anche se questi andavano contro la moralità. 

Per cui, Yoongi e Jimin potevano essere un buon punto di partenza per poter sovvertire ancora una volta quelle regole ignoranti e supponenti di cui continuavano ad essere vittime. Ma se lui sentiva la voglia di cambiamento e il desiderio di rivoluzionare l'ordine innaturale delle cose, lo stesso non si poteva dire di Jimin.

Infatti, questi sospirò pesantemente e schioccò la lingua sul palato. «Non tutto ciò che si sogna può essere realizzato. Prego ogni giorno che ci possa essere un modo di stare anche solamente insieme, senza che vi siano di mezzo partenze, viaggi o chilometri...ma nessuno sembra ascoltarmi. Forse tutta la fortuna che mi è stata assegnata alla nascita è stata usata per essere salvato dopo la morte dei miei.» rifletté in un mormorio Jimin, sentendo il nodo alla gola stringersi e quella bolla di tristezza gonfiarsi nel suo petto fino a schiacciandogli il cuore e rendergli doloroso perfino respirare. 

Il fruscio della testa di Taehyung sul cuscino lo portò a voltare il capo a sua volta e si specchiò nei suoi occhi blu come la notte e accoglienti come solo loro potevano essere. Si guardarono per un lungo istante; gli occhi di Taehyung frugavano silenziosamente nei suoi con la delicatezza di un petalo e la vista di Jimin si fece acquosa e poco chiara. Tuttavia, strinse le labbra e ricacciò indietro le lacrime, guardando il volto di suo fratello addolcirsi. 

«Quanto ami Yoongi, Minnie?»

Era stata una domanda semplice e spontanea come la vita stessa, ma che fece sorridere appena Jimin. Sentì il cuore accelerare i battiti mentre l'immagine di Yoongi addormentato gli ritornò alla mente come un dolce ricordo in cui cullarsi durante la notte. Le labbra leggermente schiuse e rosse dai baci, il volto disteso in un'espressione serena, l'ombra delle ciglia riflessa sugli zigomi tondi, il capo placidamente posato sul suo cuscino ed i capelli sparsi tutt'intorno mentre lo abbracciava...

Un angelo. Non vi era un'altra parola che potesse equiparare il senso di pace e completezza che gli donava la vista di Yoongi profondamente addormentato al suo fianco. Sentì quella dolce malinconia risalirgli al volto e colorargli appena le guance mentre le labbra si incurvavano in un sorriso appena accennato ma sincero. 

«Tanto. Troppo. Lo amo abbastanza da sentirne la mancanza ogni singolo attimo della mia esistenza. Tanto da far male, tanto da desiderare di poter correre via e riaverlo tra le mie braccia. Tanto da preferire morire dentro piuttosto che stargli lontano.»

La voce di Jimin si spezzò e si morse il labbro inferiore per cercare di frenare quel fiume in piena di emozioni, serrando gli occhi per interi istanti volti a regolare il respiro per non scoppiare in un pianto a cui aveva già dato sfogo da solo durante quei mesi di assenza. Certo, adesso Taehyung era con lui e questo rendeva tutto molto più semplice e gestibile, ma non abbastanza da colmare quel senso di vuoto che provava ogni qual volta non lo aveva vicino.

«Chi lo avrebbe mai detto che mi sarei innamorato», cercò di fare un po' di ironia, forzando una risatina che non era divertita ma solo un secco raschiare contro la gola, «Del consigliere di mio cognato, per altro!» finì, scuotendo appena la testa. 

Taehyung protese una mano verso di lui per asciugargli il bordo dell'occhio con il polpastrello e catturare la lacrima incastrata tra le sue ciglia; gli sorrise dolcemente e scrollò appena le spalle. «Tutti trovano l'amore; c'è chi sa tenerselo stretto, chi lo trova ma non lo comprende, chi lo lascia andare e chi riesce a viverlo. Per cui...sì, mi aspettavo che prima o poi sarebbe successo. Non potrei essere più felice che questo tipo di amore, quello che si trova una volta sola, tu lo abbia trovato in una persona come Yoongi», pronunciò con tono sinceramente contento, «E anche Jungkook è estremamente felice della vostra relazione; mi ha anche detto che avrebbe fatto delle ricerche su come poter sopperire alla disparità tra classi sociali.» rimuginò tra sé Taehyung, dandogli poi di gomito con fare fiducioso. 

Il suo tentativo di sollevargli l'umore sembrò andare a segno perché Jimin si aprì in un sincero sorriso di gratitudine, così ampio che gli occhi gli divennero due mezzelune adorabilmente strette per come gli zigomi si issarono. 

Taehyung ricambiò e gli strizzò una mano. «Grazie.» sussurrò Jimin poco dopo, sentendo come -finalmente- dopo mesi e mesi di angoscia, fosse bastato parlare con suo fratello e avere un po' di supporto per sentire il peso di quella malinconia dimezzarsi. 

«A proposito di Jungkook...non è male.» commentò poco dopo, aspettandosi totalmente l'occhiata di sbieco da parte di Taehyung. 

«Ovvio che non è male. È assolutamente perfetto.» puntualizzò con soddisfazione l'altro, sorridendo tra sé mentre alzava la mano sinistra e guardava la fede -quel piccolo simbolo che gli diceva che sì, Jungkook era reale e che era davvero suo marito. 

Jimin alzò gli occhi al cielo. «Dio santissimo, sei così cotto che potrebbe venirmi il diabete.» arricciò il naso, fintamente disgustato mentre Taehyung lo guardava storto con un sopracciglio issato.

«...Disse quello che "preferirei morire dentro piuttosto che stargli lontano".» citò, imitandolo grossolanamente con tanto di mano sul petto per aumentarne la drammaticità. Jimin allargò gli occhi ed assunse un'espressione oltraggiata, prendendo a pizzicargli i fianchi sapendo quanto suo fratello soffrisse il solletico. 

Infatti, Taehyung prese a ridacchiare sonoramente, sobbalzando mentre cercava di sottrarsi dalla sua presa e lo spingeva giocosamente via. Jimin rise con lui e si soffiò via dalla fronte qualche ciocca di capelli, guardandosi intorno. 

«Però, ad essere sincero, anche io preferirei morire piuttosto che stargli lontano...soprattutto dopo quanto mi sta costando non averlo al mio fianco.» mormorò Taehyung non appena l'attacco di risa improvviso scemò e si disperse, sfumando come un ricordo lontano. 

Jimin annuì. Non serviva che l'altro desse troppa voce alle sue tristezze, bastava dare uno sguardo agli occhi di Taehyung per vedere come stesse cercando di non farsi sopraffare dalla malinconia e dallo sconforto. 

«Siamo un po' due disperati, eh?» gli sussurrò, passandogli una mano tra i capelli con fare affettuoso. 

Taehyung lo imitò. «Sì, decisamente. Mi auguro con tutto il cuore che stia riuscendo a dormire senza dover ricorrere ai sonniferi. Aveva finalmente smesso di prenderli...» rifletté a bassa voce Taehyung, quasi mimando quelle parole. Jimin si avvicinò di slancio e gli avvolse le braccia attorno al busto, posandogli il capo sulla spalla mentre lo stringeva forte e gli dava un bacio sulla guancia. 

«Sono certo che ce la farà. Yoongi troverà sicuramente il modo di farlo dormire senza che debba prendere altro. Per quanto ne sappiamo, in questo momento potrebbe già essere profondamente addormentato.» 

Taehyung strinse le labbra senza troppa convinzione ma si costrinse a credergli perché, se non l'avesse fatto, era certo che sarebbe impazzito. 


*


Aprì di scatto gli occhi e la prima cosa che notò fu un alto soffitto, scuro e tetro come la notte. Batté velocemente le palpebre per schiarirsi la vista, sentendo le tempie pulsare dolorosamente e la testa vorticare come vittima di un bicchiere di troppo. Sentì la mascella indolenzita e fece per muoversi, sgranando gli occhi nel momento stesso in cui si rese conto di non poterlo fare. 

Adesso che i contorni di quella sorta di stanza diventavano via via sempre più nitidi, gli occhi iniziarono a muoversi con allarmismo per studiare l'ambiente circostante; il cuore iniziò a galoppargli dentro come se volesse uscirgli dal petto, brividi di quella che etichettava come paura si irradiarono lungo la sua schiena e sentì la fronte imperlarsi improvvisamente di sudore freddo. 

Come se fosse vittima di sferzate di aria gelida, così le sue viscere tremarono e si agitarono; impose violenza su sé stesso issando appena la testa per cercare, in quel buio tetro e profondo come il vuoto, un dettaglio o un qualcosa che gli indicasse dove fosse e come fosse arrivato lì. Non gli era familiare, non ricordava di aver mai visto quelle pareti murate, non riconosceva quell'odore di stantio e stava cercando di respirare perché—

Il suo corpo si immobilizzò per un attimo che gli parve eterno, sentì il panico risalire nel suo petto e stringergli la gola non appena trovò il coraggio necessario ad abbassare gli occhi sulla sua persona. In quel momento fu certo che il sangue che gli scorreva nelle vene si fosse appena solidificato e diventato della stessa consistenza della neve; poté quasi sentire il cuore perdere un battito in concomitanza con il mozzarsi del suo respiro -già pesante. 

Una nerbata di panico si abbatté sulla sua persona senza che potesse evitarlo, il mondo smise di vorticargli intorno e la sua mente -ancora confusa ma nettamente più lucida- lo tartassò con il ricordo di quanto accaduto nella sua camera da letto.

Cercò di dire qualcosa e l'unica cosa che riuscì a fare fu emettere una sorta di lamento poco chiaro; con esso, l'indolenzimento alla mandibola si fece più forte e pressante, così intenso da sentirsene quasi soffocare. Gli angoli della bocca gli bruciavano e come provò a dire qualcos'altro, la lingua si scontrò contro quello che gli sembrò essere un pezzo di stoffa. 

Una stretta familiare ed asfissiante lo atterrì, e la sua incapacità di dare voce a qualcosa di diverso da dei lamenti e rantoli di panico venne accentuata dal suo improvviso bisogno di liberarsi. 

Si agitò sul letto su cui era disteso e cercò di far muovere le braccia per potersi svincolare, ma nulla accadde. Gli occhi tornarono sul suo busto e si sgranarono maggiormente, mettendo a fuoco le cinghie strette avvinte al suo corpo e che servivano ad assicurargli addosso la camicia di forza che ricordava fin troppo bene.

Un senso di impotenza e di angoscia si riversò nel suo dimenarsi con furia e i denti affondarono nella stoffa del bavaglio, incrementando il suo dibattersi con la consapevolezza di essere in trappola.

Le braccia erano compresse contro il suo petto che, invano, cercava di espandersi per potergli permettere di respirare; ma per ogni boccata d'aria che prendeva, la pressione sui suoi arti diventava insopportabilmente dolorosa, li sentiva formicolare e dolere per la posa innaturale in cui erano piegati. 

Per ogni strattone, per ogni rantolo e per ogni lamento che lasciò si librasse nella stanza odiosamente silenziosa, le sopracciglia si arcuavano profondamente, gli occhi si riempivano di panico e di smarrimento ed un dolore sordo si irradiava fino alla schiena mozzandogli il fiato. 

"No. Non di nuovo. Ti prego—no." fu tutto ciò che riuscì a formulare sotto forma di supplicante preghiera, non volendo credere che quella fosse la realtà. Doveva svegliarsi, doveva uscire da quell'incubo e trovare ad attenderlo Taehyung, doveva andare a vedere i disegni di Kookie, doveva—

Scalciò e, in contemporanea, un lamento gutturale e doloroso lo assordò. I pesanti ceppi stretti alle sue caviglie prevenivano qualsiasi suo movimento e gli limitavano la mobilità degli arti, ferendogli i malleoli ed obbligandolo ad assumere una posa innaturale e dolorosa.

Il respiro divenne pesante e accelerato, il rumore metallico delle catene di quegli strumenti di coercizione gli fece strizzare gli occhi e riversò il capo all'indietro, stringendo i denti come poté mentre gli occhi erano strizzati e serrati. Quelli che gli sembravano essere singhiozzi senza lacrime gli mozzarono il fiato un paio di volte, il suo desiderio di sparire dalla realtà divenne preponderante come la prima volta che aveva vissuto tutto quello. 

I suoi rantoli ed il battito irregolare del suo cuore attutirono i suoni, ed i sensi non gli si acuirono abbastanza da prestare attenzione allo scalpitio veloce che si avvicinava fino ad arrestarsi di fronte alla porta. Questa venne spalancata, cigolando pesantemente; i cardini scivolarono sul pavimento e grattarono il suolo mentre figure pallide come fantasmi gli si avvicinavano con silenziosa velocità e mani che non voleva addosso gli artigliavano le cosce e lo trattenevano per le spalle. 

Quelle mani che lo stringevano gli fecero issare il capo di scatto e lo fecero urlare dalla frustrazione; nei suoi occhi scuri, lampi di rabbia e di ira si riversarono e trovarono sfogo in imprecazioni incomprensibili perché soffocate dal bavaglio. 

Scalciò e si agitò, ancora. Non voleva essere toccato, non voleva quelle mani addosso, non voleva essere stretto, non voleva—

«Sta' buono! Per il tuo bene, devi startene fermo. Solo così guarirai!» esclamò una figura anonima al suo fianco, di cui non riconobbe null'altro se non la velata minaccia contenuta nelle parole che non voleva né sentire né ascoltare. Quegli occhi parzialmente coperti dagli occhiali gli scivolarono addosso e macchiarono i suoi ricordi di nuove ed opprimenti sensazioni che gli fecero venire la pelle d'oca. 

Ringhiò qualcosa e cercò di scansarsi dall'essere toccato, ritraendosi come possibile. Ma, all'ennesimo tentativo di sottrarsi a quei tocchi e da quelle mani che lo stavano deturpando anche solo stringendolo, uno scampanellino acuto e tintinnante lo bloccò all'istante e gli fece sgranare gli occhi.

Quella campanella.

Quel suono, lui lo conosceva. 

Sapeva di conoscerlo e le sopracciglia gli si incurvarono così tanto da sentire i muscoli indolenzirsi; ebbe appena il tempo di registrare lo scampanellino acuto per associarlo ad un ricordo prima di venire spintonato con violenza fino a che non rotolò per terra. Ricadde sulla spalla e guaì per il dolore dell'impatto, seguito dal tonfo sordo ed alto del picchiare violento della testa contro il pavimento. 

Un lamento rabbioso echeggiò nelle sue orecchie e fu costretto a strizzare forte gli occhi, la vista fattasi buia e puntinata mentre il dolore dell'impatto si irradiava alla tempia e lo nauseava.

Venne sospinto da un qualcosa per metterlo supino e con occhi confusi e testa dolorante, riuscì solo a percepire qualcuno posizionarsi dietro di lui.

Qualcosa di bianco e freddo venne avvolto attorno alla sua testa facendogli mancare il respiro; tentò di scalciare senza alcun risultato, tenuto fermo e bloccato nei movimenti, quindi dimenò il busto e cercò di strattonare le braccia costrette. 

Urlò.

Urlò gutturalmente, urlò tanto da sentire la voce graffiargli la gola arsa, urlò tanto da sentire le orecchie esplodere e la testa vorticare mentre acqua bollente venne fatta colare sul suo viso avvolto nel lenzuolo. Gli si riversò addosso senza che potesse fare nulla per sottrarsi, per difendersi e scappare, senza dargli alcuna via di fuga capace di salvarlo. 

Ansimò rantolando pesantemente, cercando di respirare dalla bocca visto che le narici erano chiuse a causa del tessuto incollatosi al viso; la pelle bruciò all'impatto con l'acqua bollente e gli sembrò che lingue di fuoco provenienti direttamente dall'inferno lo stessero lambendo per ustionarlo. 

Si mosse appena ed annaspò, scuotendo il capo da una parte all'altra mentre le braccia strattonavano contro la costrizione della camicia di forza.

Un altro urlo -l'ennesimo, forse- più soffocato e agonizzante lasciò le sue labbra costrette in un grido disperato; un secondo catino d'acqua gli venne gettato addosso, il lenzuolo venne fatto aderire maggiormente al suo viso e per qualche secondo crebbe di star morendo. 

Come il bruciore gli si propagò addosso ed il tessuto gli tappò anche la bocca, sperò di stare davvero morendo. Pregò affinché la sua vita cessasse ma, invece, la costrizione dal suo viso sparì e l'aria fredda e affilata circolò nuovamente nei suoi polmoni attraverso le narici dilatate.

«Ti conviene stare in silenzio, principe. Un altro sibilo, un solo altro suono e ti faccio annegare per davvero.» gli sibilò qualcuno all'orecchio. 

Tossì a fatica e rotolò su di un fianco, aprendo gli occhi senza però mettere a fuoco nulla. Le lacrime bollenti e rassegnate scivolarono al lato del suo viso e si fusero alle gocce d'acqua che gli solcavano la pelle; il pianto della sua anima rimase silenzioso ed inascoltato perché a salvarlo, anche quella volta, non c'era nessuno. 

Era tornato ad essere solo insieme ai mostri.


*


«Quale pensi possa starmi meglio tra questo e quello rosso?» domandò dubbiosamente Jimin, mostrandogli il tessuto che sarebbe presto diventato il suo nuovo abito. Taehyung arricciò le labbra cercando di concentrarsi sulla risposta più attinente e più obiettiva possibile da dargli mentre, dietro di lui, Geunhye alzava gli occhi su di loro avvicinandosi con occhi curiosi. 

«Posso unirmi a voi?» chiese con voce sottile, guardandoli con occhi speranzosi. Quasi dimentica che fosse la regina e che qualsiasi cosa desiderasse fosse -letteralmente- un ordine, Taehyung si voltò verso di lei e le sorrise, annuendo lentamente mentre afferrava il tessuto e lasciava scorrere le dita sulla fine e pregiata grana delle stuoie portate dal sarto reale. 

«Certamente, Vostra Maestà. Ne saremmo molto lieti.» le rispose con cortesia, spostandosi appena per permetterle di prendere parte alla scelta delle stoffe.

Il volto di Geunhye si illuminò come se le avessero dato la notizia del momento e si fece più vicina, imitando il gesto di Taehyung per studiare attentamente le stoffe. Una color rosso borgogna, l'altra color mattone, entrambi issarono due lembi diversi dello stesso tessuto per guardarli riflettere ricchi bagliori vermigli per poi lasciare scorrere lo sguardo su Jimin con espressione concentrata e pensierosa. 

«Credo che il borgogna ti doni di più. Lasciando da parte il fatto che non amo particolarmente il color mattone, se lo scegliessi ucciderebbe i tuoi colori naturali. Voi cosa ne pensate?» commentò Taehyung, voltandosi poi verso Geunhye che, con fare attento, aveva rimuginato sulla proposta dell'altro, finendo per annuire con aria convinta.

«Avete pienamente ragione. Se non foste il fratello di Jin, probabilmente vi obbligherei ad essere il mio consigliere. Avete uno stile impeccabile, principe Taehyung.» si complimentò lei, ridacchiando apertamente. Taehyung la imitò e si chinò leggermente in avanti a mo' di ringraziamento mentre Jimin mugugnava un assenso tra sé.

«Ah, non perderei nessun istante nell'accettare la vostra proposta, se solo non avessi un marito ad attendermi dall'altra parte del regno.» rispose cortesemente, spostando lo sguardo sulle varie stuoie mentre le labbra si incurvavano in un sorriso triste ed appena accennato. Con le sopracciglia leggermente arcuate, guardò quei colori stagliarsi lungo tutta la scrivania e gli fu impossibile frenare il pensiero che quel colore, su Jungkook, sarebbe stato sicuramente benissimo. 

Guardò con rammarico ed una punta di nostalgia il tessuto, rimestandolo con le dita e lasciando che la mano vi scorresse distrattamente sopra perché, diamine, gli mancava terribilmente. Gli mancava dal momento in cui apriva gli occhi fino a quando si addormentava cullandosi nei ricordi, sperando di poter risentire presto le braccia dell'altro accoglierlo e stringerlo come erano soliti fare. 

«Taehyung...perché non fare cucire un abito con questa stessa stoffa anche per Jungkook?», propose Geunhye, notando l'adombrarsi dello sguardo dell'altro alla menzione del consorte, «Possiamo prendere come modello qualcuna delle guardie del palazzo con una corporatura simile e prenderlo come riferimento per le misure.» continuò lei, dando di gomito a Jimin, che si affrettò ad annuire. 

«Credo sia un'ottima idea», confermò, gioendo internamente allo sguardo sorpreso di Taehyung rivolto ad entrambi, «Ho visto quanto ha apprezzato quello che gli fatto cucire su misura per il vostro primo anno di matrimonio...sarebbe come dirgli "ti ho pensato non solamente nudo ma anche vestito".» commentò infine Jimin, facendo ridere sommessamente Geunhye. 

Le guance le si tinsero di rosa mentre si portava una mano a coprirle il viso, estremamente divertita dalla reazione di Taehyung, che alzò gli occhi al cielo e sbuffò giocosamente.

Alzò un sopracciglio verso suo fratello e ghignò. «Non siamo tutti pervertiti come te, Minnie.» rispose, ma Jimin sminuì sventolando la mano, riportando poi l'attenzione sulla scelta da fare mentre accettava di buon grado il consiglio di suo fratello e della regina, dando disposizioni al sarto per potergli prendere le misure.

Lo sguardo di Taehyung si posò su un punto indefinito del tessuto e vi passò sopra la mano con fare assente ed assorto; la fede era l'unica magra consolazione che gli ricordava che sarebbe presto tornato da Jungkook, che si sarebbero rivisti per tornare a stare insieme e che la distanza era solamente fisica. Tuttavia, quel sentimento di ansia velatamente persistente lo rendeva inquieto perché l'idea che fossero da soli...

Non era una preoccupazione razionale, non sapeva nemmeno a cosa fosse dovuta e non riusciva ad attribuirvi alcun pensiero concreto e razionale, e nonostante fosse consapevole che alimentare quel sentimento opprimente fosse poco produttivo, non riusciva ad impedire a nulla o a nessuno di farlo.

Apprezzava che sia Geunhye che Jimin cercassero di coinvolgerlo in attività del palazzo che potevano interessarlo e occupargli la mente, ma bastava un nonnulla per tornare immediatamente con il pensiero al fulcro ultimo del suo interesse. E quando si trovava a fissare il vuoto per troppo tempo, o quando si rendeva conto che la voglia di cedere alle lacrime iniziava ad essere troppo opprimente, prendeva a ripetersi come un mantra che non ci fosse niente di cui preoccuparsi; cercava di convincersi che Jungkook aveva vissuto la sua intera vita da solo e che insieme a JK e Kookie sarebbe stato bene.

E allora perché non riusciva a convincersene?

Perché non credeva alle sue parole?

Perché sentiva quella stretta al petto ed il cuore avvolto da rovi?

Una mano delicata passò sulla sua schiena e lo strappò ai suoi pensieri; spostò lo sguardo sulla sua destra ed incontrò il volto rilassato e sorridente di Geunhye. La carezza leggera sulle sue spalle continuò come questa parlò. 

«Resistete, non lasciatevi abbattere. Vi incontrerete presto.» gli sussurrò appena, sperando di potergli dare conforto. Taehyung costrinse gli angoli della sua bocca ad alzarsi e le labbra a stirarsi in un sorriso piatto e stretto, ma quella sembrò apprezzare comunque il suo sforzo e, infatti, gli sorrise apertamente. 

«Venite, abbiamo un abito da far cucire e non abbiamo troppo tempo!» esclamò quindi, sospingendolo verso il sarto reale con fare fiducioso e determinato. Taehyung la ringraziò con gli occhi, prese un profondo respiro e annuì più verso sé stesso che verso Geunhye, andando verso dove Jimin lo attendeva. 

Ti stai solo mettendo ansia. Appena arriverai al palazzo ti renderai conto di quanto stupido tu sia stato. si disse un'ultima volta, riportando tutta l'attenzione su altro e sperando che quella che sentiva gravargli sul cuore, fosse solamente una nube passeggera.


*


Freddo.

Sentiva freddo. 

Era tanto, era avvolgente, era asfissiante.

Lo sentiva ovunque; gli stava pungendo la pelle, gli scorreva nelle vene, gli lacerava i muscoli, gli spezzava le ossa, gli provocava un tremore intenso ed insistente delle viscere. Quel gelo gli entrava dentro ad ogni respiro, gli invadeva i polmoni e gli impediva di fare altro o di udire qualcosa di diverso dal battere perseverante e tintinnante dei suoi denti.

Sentiva freddo, non riusciva a focalizzarsi su null'altro che non fosse quello. Le labbra, lasciate libere dal bavaglio solo perché incapace di poter articolare alcuna parola, erano schiuse e marchiate da un'intensa sfumatura violacea e cianotica; tremavano violentemente e venivano lambite dal suo flebile fiato che, se messo a paragone con l'ambiente ostile, sembrava uscirgli bruciante ed ustionante. Gocce di acqua gelata colavano sul suo viso dai capelli zuppi; attaccati alle tempie e alla fronte, lo avviluppavano come un abbraccio di morte che stava pregando arrivasse e che, invece, si divertiva a farlo attendere. 

Le dita erano vistosamente raggrinzite; da sotto le unghie, un'innaturale colorazione bluastra sfumava verso un pallido e smorto grigiore, ed era l'unico tocco di colore che vedeva che non fossero i segni delle cinghie sui suoi avambracci e sulle gambe. Cercò di muoversi per spostare i capelli dalla fronte, ma le braccia non volevano saperne di collaborare e scollarsi dal suo busto; stretto in quell'abbraccio solitario, il suo corpo era ipersensibile seppur completamente inerme. 

Si sentiva come se venisse costante sospinto in una vasca di aghi; ed erano questi che gli stavano trafiggendo la pelle come stiletti ghiacciati e punture che arrivavano dritte al midollo, portandolo a rantolare e convincendolo a rimanere immobile -perché muoversi significava abbandonare quell'abbraccio, e lui non voleva farlo. 

«Da quanto tempo è lì?» 

La voce gracchiante e rauca gli arrivò alle orecchie inespressiva ed apatica come lo era la vasca da bagno in cui era immerso; si permise di rialzare il viso, seppellito nella piega del gomito, per portare l'attenzione su quel qualcuno che lo stava osservando dal momento stesso in cui era stato svegliato e portato in quel luogo. 

«Sei ore.»

Sei ore.

Erano già trascorse sei ore. 

Batté lentamente le palpebre; queste grattarono contro le cornee secche, portandolo a stringere i denti battenti per il bruciore profondo che gli aveva appena causato il gesto. Si costrinse a riaprirli e abbassò le gambe strette al petto, ritrovandosi a guardare il proprio riflesso tremolante a pelo dell'acqua. Cubetti di ghiaccio galleggiavano attorno a lui, lo ferivano entrando a contatto con la sua pelle ipersensibile ed abusata; le tempie gli pulsavano, il cervello sembrava essere vittima di un incendio di cui non conosceva la causa, chiazze rossastre si rimavano sulle sue gambe come se i capillari fossero risaliti in superficie, allargandosi in sentieri bluastri e violacei.

Per non parlare del suo cuore che, furioso ed allarmato, batteva così velocemente da fargli temere che potesse scoppiargli da un momento all'altro. 

Nonostante volesse allontanarli, nonostante cercasse di tenere tutti quei cubetti ghiacciati lontani da lui, i suoi movimenti erano lenti, i muscoli dolevano e, spesso, non rispondevano allo stimolo che gli forniva. Non aveva la forza di toccarli, ma i suoi occhi offuscati e poco chiari stavano continuando a vagare per trovare una qualsiasi fonte di calore sufficiente a fargli assaporare del tempore che non gli apparteneva. 

Una mano ruvida e poco gentile gli afferrò il volto e forzò il suo viso ad alzarsi. Si ritrovò con gli occhi fissi e vacui -con scarse capacità di mettere a fuoco- fermi su quelli scrutatori e piccoli, nascosti da due spesse lenti posate sul naso sottile e stretto. Quei buchi neri e studiosi lo stavano scrutando come se fosse stato un esperimento, in un fare così metodico da infastidirlo; mosse appena il capo per potersi liberare dalla stretta ma le unghie di quell'uomo affondarono nelle sue guance scavandogli la pelle. Rilasciò un gemito soffocato al gesto e venne obbligato a muovere il volto a destra e a sinistra mentre quello lo continuava a guardare attentamente. 

Le occhiaie violacee che cerchiavano quelle palpebre gonfie ed arrosate, insieme al colorito cereo e cadaverico, sembravano essere il preludio di tutti i sintomi dell'assideramento.

Sentiva il suo corpo formicolare, lo sentiva indolenzito e le palpebre stavano faticando a rimanere aperte; una lenta e lasciva stanchezza lo stava cogliendo. Un sonno a cui desiderava finalmente abbandonarsi per scivolare nell'incoscienza e lasciare che il mondo attorno a lui svanisse e smettesse di ferirlo stava arrivando in suo soccorso; per questo, chiuse le palpebre e attese.

«E' sufficiente, i suoi processi neurologici oramai sono rallentati. Tiratelo fuori.»

Era suonato come un ordine, che aveva fatto sì che quella mano lasciasse la presa sul suo viso ma che presto, altre mani sconosciute ed ostili, gli si stringessero addosso issandolo di peso per farlo uscire dalla vasca. La pelle gelata e quasi grigiastra pizzicò dolorosamente allo sbalzo climatico improvviso, gli arti formicolarono e non percepì nemmeno il pavimento sotto le piante dei piedi. 

Un verso di agonia lasciò le sue labbra ed un asciugamano -di cui non sapeva nemmeno la provenienza- lo avvolse per intero. Come quelle mani sparirono, le gambe cedettero e le rotule picchiarono violentemente contro il pavimento; il suo corpo indebolito si riversò in avanti e ricadde sugli avambracci, tremando. 

La vista gli si annebbiò, un senso di nausea risalì ancora una volta ma il suo stomaco si contrasse senza emettere nulla di più di colpi di tosse secchi e agonizzanti. Tutto era freddo, non vi erano fonti di calore, non vi erano braccia pronte a stringerlo, non vi era nessuno pronto a salvarlo. 

Si raggomitolò su sé stesso assumendo una posizione fetale e nascose la testa tra le ginocchia, stringendosi ancora una volta le braccia attorno al corpo. 

«Portatelo in stanza e legatelo.»


*


Taehyung rigirò silenziosamente il cucchiaino nella tazza di tè e sospirò silenziosamente, alzando poi lo sguardo verso il soffitto con fare assente e perduto.

Effettivamente, se avesse dovuto definire il tutto, gli sembrava di stare andando alla deriva, di essersi perso e di non riuscire a capire dove fosse. Jungkook era diventato la sua guida, la sua spalla, era diventato il suo percorso, e senza...

Senza si sentiva svuotato di ogni emozione. 

Morto, in un certo senso. 

L'odore avvolgente della bevanda calda si univa al connubio di colori che tinteggiava le pareti della sua stanza e gli ricordavano quanto quelle giornate trascorse insieme agli altri fossero le più perfette che avesse mai vissuto. In ogni angolo vi era quello che Taehyung considerava un sorriso, una battuta, un ricordo, un motivo per svegliarsi con il sorriso sulle labbra e sentirsi pronto ad affrontare la vita. Quei colori che Jungkook aveva apprezzato così tanto, che aveva lodato e che aveva studiato con curiosità lo consolavano nella loro silenziosa vividezza ma non facevano altro che ricordargli di essere solo. 

Quella mattina, quando aveva aperto gli occhi ed aveva avuto la conferma che nemmeno quello fosse il giorno della sua partenza, il suo umore aveva iniziato una ripida discesa e non era più risalito; per cui, quel pomeriggio di solitudine gli serviva per poter trovare conforto solamente in sé stesso ed evitare di fingere un entusiasmo che non sentiva di possedere ed una gioia che non gli apparteneva. 

Era sinceramente grato ai suoi fratelli per aver capito l'antifona del suo "Ho alcune faccende da sbrigare, ci vediamo per cena" ed avergli lasciato dello spazio personale sufficiente a perdersi in turbini mentali oscuri-e tra le pagine di quei manuali di psicologia che stava studiando con dedizione fino a notte fonda. 

Quei tomi impilati sul tavolino da tè erano aperti, un taccuino su cui cercava di annotare tutto ciò che poteva portarlo a sapere di più del disturbo di Jungkook giaceva tra loro. Voleva capire, voleva sapere, e quale migliore occasione del suo esilio per poter studiare qualcosa di più?

Ma, anche in quel caso, erano tutte blande distrazioni che occupavano solo una parte della sua mente, quella non intenta ad agonizzare alla ricerca di Jungkook. 

Abbassò gli occhi sul piattino contenente i biscotti con lo zucchero a velo e poi spostò l'attenzione sulle brioches alla crema, lasciando che un malinconico sorriso gli piegasse le labbra. Lo sguardo scivolò al suo fianco e si addolcì alla vista di Mr Carota che, seduto sul divanetto, gli teneva compagnia per il tè pomeridiano. 

Dire che si fosse stupito della scelta di Kookie di lasciargli il pupazzo di pezza che amava di più in assoluto perché "C-così Taetae n-non si sentirà s-solo" era un sottovalutare la capacità del suo cuore di sciogliersi. Kookie aveva insistito così tanto che Taehyung non aveva potuto far altro se non riempirlo di baci e augurargli un buon ritorno a casa, con la promessa di tornare presto e di giocare di nuovo tutti insieme. 

Certo, aveva poi soffocato tutte le sue lacrime ed i suoi singhiozzi contro il cuscino, ma era riuscito a far gonfiare il cuore di Kookie dall'orgoglio e dalla speranza, ed era stato solamente l'abbraccio tra lui, Mr Carota ed il piccolo biscotto della famiglia a dargli la determinazione necessaria a non piangere davanti al suo piccolino. 

Quasi con fare automatico allungò una mano verso il coniglietto di pezza e ne sfiorò un orecchio con le dita; un mezzo sorriso balenò sul suo viso e arrivò ad illuminargli gli occhi, spingendolo a posare la tazza da tè sul tavolino per prendere Mr Carota e abbracciarlo stretto. 

Strizzò gli occhi e affondò il naso nella testa del peluche, stringendolo come se ne valesse della sua intera vita. 

«Mi mancate», bisbigliò con fare quasi inudibile, «Mi mancate. Mi sento soffocare senza di voi.» concluse senza voce, il nodo alla gola troppo stretto per poterlo sciogliere. Issò le gambe e le portò strette al petto, portando la testa tra le ginocchia mentre continuava a stringere il peluche; sentì le guance bagnarsi e capì che tutte le lacrime che aveva trattenuto nei giorni precedenti erano pronte ad essere liberate e lasciate andare. 

«Lo so che sono uno stupido, so che state bene, so che potete cavarvela anche senza di me. Lo so. Ma sono io a non riuscirci senza di voi.»

Un singhiozzo gli perforò il petto e si morse il labbro inferiore, prendendo un respiro spezzato. Non era nei suoi piani abbandonarsi al pianto quel pomeriggio. 

Ma, invece, fu proprio quello che fece.

Per ore.


*


Si dimenò in un impeto di disperazione e si mosse come poté nonostante le braccia erano tornate strette ed immobili, rinchiuse nella camicia di forza che gli era stata messa durante uno dei suoi tanti momenti di incoscienza. 

I piedi sbatterono sul pavimento con violenza mentre sentiva il fiato mancargli. 

Bolle d'acqua gli risalirono dalle narici e gli invasero la bocca spalancata in un urlo soffocato da quel liquido freddo in cui la sua testa veniva sospinta; i polmoni bruciavano e stavano per scoppiare, grossi sorsi d'acqua gli scivolavano lungo la gola mentre una mano teneva in pugno i suoi capelli per tenergli ferma la testa.

Un annaspare drammatico e affaticato seguito da un tossire convulso, soffocarono il fischiare delle sue orecchie nel momento in cui il suo capo venne tirato fuori dal catino d'acqua; ebbe solo un attimo per provare a riprendere fiato prima che venisse nuovamente sospinto nella stessa posizione di poco prima, simulando quell'annegamento da cui non poteva e non riusciva a trovare via di fuga.

Il fischio delle sue orecchie era assordante e parole dette con tono pacato e tranquillo non riuscivano a raggiungere le sue orecchie sommerse; crebbe che il suo cuore stesse per collassare ed i suoi polmoni per scoppiare mentre il suo corpo si muoveva con fare spasmodico per cercare di sottrarsi, di salvarsi. 

«Quanto durerà il trattamento?»

Il medico a capo dell'equipe a cui il re si era affidato per il trattamento della malattia di suo figlio si voltò verso il suo interlocutore, sorpreso della sua presenza presso la stanza in cui il principe veniva tenuto per poter effettuare la riabilitazione. 

Fece un profondo inchino, prostrandosi davanti al sovrano, ma quest'ultimo non lo degnò di un'occhiata. I suoi occhi, lucidi di orgoglio e carichi di aspettativa, erano fissi sulla schiena di suo figlio, in ginocchio e stretto nella camicia di forza la cui testa continuava a venire tenuta immersa per tempi sempre più prolungati dentro il catino. 

Lo sentiva rantolare ed urlare; lo vedeva, annaspare e scuotersi alla ricerca di libertà, e re Jeon era disposto a fornirgli tutto ciò di cui aveva bisogno per tornare ad essere colui che sapeva fosse e che veniva mascherato e nascosto dalla sua copia -di cui non sopportava nemmeno la vista. 

«Un'altra settimana sarà più che sufficiente. Riavrete vostro figlio, Vostra Maestà. Risponde sempre meglio alle terapie fisiche e farmacologiche. Posso affermare con certezza che questa è la volta definitiva.»

Re Jeon annuì a quelle parole, voltando le spalle ai rantoli annaspati ed alle urla sofferenti ed angosciate che si innalzarono al tirare dei capelli di suo figlio, al forzargli la bocca affinché potessero fargli ingurgitare le pillole e al suo singhiozzare sommesso, a cui seguì uno schiocco acuto ed un tonfo sordo. 

Chiuse gli occhi e strinse i pugni, sentendo un'anomala e strana quiete alle sue spalle e scosse qualche attimo la testa, rilassando le spalle e le mani. Sorrise tra sé perché forse, finalmente, suo figlio aveva deciso di ritornare e di rimanere, di non opporsi e di accettare che fosse tutto fatto per il suo bene. 

Crogiolandosi nella sua malata vittoria, però, re Jeon travisò quell'arrendersi, non considerando che la fragile psiche di Jungkook avesse appena fatto la fine di quel bicchiere, frammentandosi irreparabilmente.


*


«Taehyung, posso parlarti?» sussurrò Jimin, la cui testa fece capolino da dietro la porta su cui aveva battuto per qualche secondo il pugno chiuso.

Taehyung si voltò di scatto e si premurò di asciugarsi gli occhi con fare rapido, passandoci il dorso della mano e scattando seduto. Si protese verso l'abatjour e lasciò che la soffusa luce della lampada illuminasse parte della stanza; prese un tremulo respiro per placare il suo cuore e ritornò con gli occhi su suo fratello, fermo sull'uscio della porta in attesa di un assenso. 

Taehyung annuì e gli fece cenno di entrare senza però dire nulla, perché non era sicuro di riuscirci senza che la voce gli si spezzasse. Jimin si richiuse la porta alle spalle e bastarono appena un paio di passi verso il letto per notare gli occhi lucidi e arrossati di suo fratello; quella visione gli fece sentire una stretta al petto e gli si avvicinò velocemente, salendo sul materasso fino a coinvolgere Taehyung in un abbraccio -a cui quest'ultimo si aggrappò e ricambiò senza neanche pensarci. 

Nascose il volto nell'incavo del suo collo ed un piccolo singhiozzo lasciò le sue labbra, facendo crollare l'umore già precario di Jimin. I lineamenti del suo volto si intristirono terribilmente perché, se c'era una cosa che odiava più in assoluto, era vedere suo fratello piangere. Raramente Taehyung lo faceva, era una persona che riusciva a sopravvivere ai colpi con una tenacia ed una caparbietà quasi spiazzante -nonché estremamente ammirevole- ma vederlo struggersi per quella lontananza di cui non riusciva a farsi ragione e di cui Jimin non comprendeva quella preoccupazione fin troppo estrema era...devastante, per lui. 

Faticava sinceramente a comprendere perché Taehyung si stesse preoccupando così tanto; anche lui stava distante da Yoongi per lunghi periodi, ma non la prendeva di certo in quel modo. 

«Tae...non struggerti in questo modo. Perché sei così preoccupato? Cerca di ragionare, è solo tornato a casa.» gli sussurrò Jimin, passandogli la mano sulla schiena per fornirgli conforto. 

«Lo so, Minnie. Lo so che ti sembra esagerato, soprattutto quanto tu e Yoongi state lontani mesi e mesi», mimò senza voce Taehyung, tirando su con il naso mentre strizzava gli occhi, «Ma loro ne hanno passate così tante, non voglio gli capiti qualcosa.» terminò, sentendo altre lacrime rotolare lungo le sue guance bollenti. 

Jimin aggrottò le sopracciglia e gli baciò i capelli. «Starete lontani solo per poche settimane, non è poi molto, no? Non manca così tanto alla tua partenza.» gli ricordò, sciogliendosi dall'abbraccio per prendergli il volto tra le mani e guardarlo dritto negli occhi con sicurezza e fiducia. 

Nonostante questo, però, Jimin non poteva fare a meno di notare quanta preoccupazione ed angoscia gli occhi di Taehyung celassero e quanti altri sentimenti stessero scivolando via dalle sue iridi lucenti ed acquose. Quell'agonia immotivata che gli aveva velato lo sguardo nel momento stesso in cui Jungkook era partito non se ne era più andata, era rimasta lì, visibile anche agli stolti. 

Suo fratello non aveva mai smesso, neanche per un istante, di pensare a Jungkook e di intristirsi nel ricordo, nemmeno quando si erano ritrovati con Jin e Geunhye a tarda sera a raccontarsi aneddoti divertenti sulla loro infanzia o sulle loro avventure adolescenziali alle prese con l'etichetta reale. Ma Taehyung non era mai colui che intavolava una conversazione o coinvolgeva qualcuno in qualche discorso; se non veniva interpellato, infatti, si perdeva nei suoi pensieri fissandosi la mano -precisamente la sinistra. 

«Non siete poi così tanto distanti, appena un giorno o due di viaggio. Cosa credi che possa accadere in un mese di lontananza? Jungkook non è uno sprovveduto, e non lo è neanche JK o il piccoletto con cui ho avuto a che fare. Prima che vi sposaste non stavano con nessun altro, eppure guardali! Sono arrivati dove sono!» tentò di rassicurarlo Jimin, guardando Taehyung asciugarsi le guance con la punta delle dita e scuotere la testa. 

«Credi che non lo sappia? So che staranno bene e so per certo che mi sentirò uno stupido quanto lo rivedrò intento ad aspettarmi all'ingresso del palazzo, ma loro sono diventati tutta la mia vita e ho visto l'ambiente del palazzo Jeon», raccontò Taehyung, emettendo un verso ansioso, «Saperli da soli in quel palazzo— Jimin, quel palazzo e le persone che vi abitano sono...Orribili.»

Jimin rimase colpito dalla scelta delle parole di suo fratello e si sedette al suo fianco, facendogli cenno di continuare il discorso. Taehyung chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, deglutendo sonoramente. 

«Re Jeon è un pazzo, Jimin. L'astio che prova nei confronti di Jungkook, quanto lo detesta e quanto detesta me per averlo portato a controllare maggiormente JK...È palese ed è ciò che mi preoccupa maggiormente. È lui il vero matto della situazione, è lui quello che dovrebbe essere guardato dall'alto in basso e curato!— Io ho paura di ciò che possa fare.» 

Il discorso di Taehyung era partito come un discorso tranquillo e ragionato, ma si era poi trasformato in un discorso denso di preoccupazione e di angoscia; negli occhi allargati di suo fratello, Jimin si sentì quasi annegare ed un senso di strisciante disagio si impadronì della sua persona perché se Taehyung aveva l'ardire di definire re Jeon in quel modo...

«S-se dovesse ferirli ancora, se gli dovesse succedere qualcosa io—io ne morirei. Ne hanno passate tante, non voglio gli capiti niente di male e temo che la mia lontananza sia solo servita per permettere al re di avere una qualche presa su Jungkook. Non è un re magnanimo, non avrebbe mai acconsentito ad una punizione così semplice senza un tornaconto personale.» rivelò i suoi dubbi tutti in una volta, lasciando che il peso delle sue sensazioni fluisse insieme al suo discorso. 

«Pensi che possa arrivare a fargli del male?» chiese con esitazione Jimin, sentendo il cuore arrivargli nello stomaco e smettere di battere all'annuire silenzioso di Taehyung. Le mani di quest'ultimo si strinsero in due pugni chiusi e gli occhi si puntarono sulle coperte mentre la mascella si contraeva. 

«I miei sospetti non li ho mai rivelati a nessuno, non volevo che il loro sistema venisse posto sotto altra pressione. Sono sicuro che JK avesse più o meno il mio stesso sentore, ma chi non lo avrebbe avuto? Re Jeon è un uomo senza scrupoli, e saperli da soli mi sta annientando. Letteralmente.»

Jimin allungò una mano verso di lui e gliela strinse, stavolta non preoccupandosi di mascherare quanta inquietudine e scompiglio gli avessero portato dentro quei discorsi. Taehyung era un osservatore attento, del suo parere si fidava ciecamente e quindi aveva buoni e tremendi motivi per credere che le sue preoccupazioni fossero reali e fondate. 

«C'è Yoongi con loro. Per quanto e per come mi ha parlato di Jungkook, non permetterebbe mai che gli capitasse qualcosa. Tiene al principe più di quanto tenga alla sua vita ed anche se mi ha riferito che è stato incaricato di seguire diversi incontri, convegni e lavori lontani da palazzo, terrà gli occhi aperti e farà in modo che Jungkook sia al sicuro. Gli impegni lo occuperanno solamente per due settimane.» spiegò Jimin, ricordando ciò che Yoongi gli aveva rivelato nell'ultima lettera che aveva ricevuto. 

«E a tal proposito... ero venuto qui con l'intento di chiederti se potessi venire con te al palazzo», continuò poi, abbassando gli occhi per un instante prima di rialzarli e fare un sorrisetto imbarazzato, «Vorrei passare un altro po' di tempo con Yoongi e in più avrei l'occasione di starti vicino come avrei voluto fare in passato...credi sia possibile?»

Taehyung sgranò gli occhi dalla sorpresa e si tamponò le guance con le maniche della camicia da notte. «Vorresti venire a palazzo con me?!» ripeté, incredulo.

Felicemente incredulo. 

Jimin annuì con entusiasmo e si mise più comodo sul suo posto, spostando le coperte. «Ne sarei felicissimo. Ho già parlato con Jin e mi ha confermato che potrebbe spedirmi con te con la scusa di qualche impegno politico o accordo di poco conto. In questo modo potrei starvi vicino, vedere Yoongi e trascorrere un po' di tempo lontano da qui. Jin è sempre impegnato, adesso che è re più che mai e—», si morse il labbro con esitazione, arricciando il naso, «Mi manchi veramente tanto, mi manca trascorrere del tempo insieme come i vecchi tempi.» farfugliò infine.

Taehyung lo abbracciò di slancio e lo strinse forte, un incontenibile sorriso ad adornargli il viso. «Sì! Sì, certo, io— Dio santissimo, sarei così felice di averti vicino! Non ci posso credere, sarebbe un sogno!» esclamò con sincera gioia e commozione, facendo ridere di Jimin di cuore. 

«Allora darò conferma a Jin domani, così può mandare qualche comunicato che annunci la mia presenza. Non manca molto alla partenza, sei pronto?!» asserì con certezza quello, sorridendo ampliamente.

Taehyung si lasciò ricadere all'indietro sul materasso e liberò una risata roca e liberatoria, indicando poi il letto. 

«Non vedo l'ora! Rimani qui?» 

Jimin alzò le sopracciglia, ammiccando verso di lui con fare comico mentre si distendeva al suo fianco e si metteva comodo sotto le coperte. 

«E me lo chiedi?!», rispose, con tono palesemente più leggero, «Non voglio perdermi la faccia di JK quando gli dirai che hai dormito con un altro uomo!»

A tali parole, Taehyung scoppiò a ridere di cuore, portandosi una mano davanti al volto mentre prendeva posto al suo fianco e spegneva la luce dell'abatjour.

Con Jimin al suo fianco, il ritorno a palazzo sarebbe stato ancora più perfetto perché, insieme alla gioia di avere al proprio fianco suo fratello, avrebbe ritrovato Jungkook con la certezza che non li avrebbe mai più lasciati.


*


Con la testa ciondolante sul petto ed un vuoto incolmabile dentro, il solo fischio dell'aria che gli attraversava le narici lo feriva e gli provocava dolore. I capelli disordinati e scompigliati erano unti ed impicciati, solo in parte incollati alla fronte e alle tempie -che gli dolevano terribilmente. 

Pulsavano. 

Pulsavano e scandivano un ritmo a cui cercava di coordinare il suo respiro, anche se ad ogni tentativo, sembrava che qualcuno lo percuotesse con un bastone sulla nuca. Non aveva idea di cosa lo attendesse né era capace di poter definire dove fosse; la vista era poco chiara, i contorni della stanza una marasma confusa di linee e colori, e non sentiva null'altro che il fischiare delle sue orecchie ed il battito lento del suo cuore. 

Già, il cuore. 

Perché continuava a battere? Perché non cessava finalmente di aggrapparsi alla vita per, invece, lasciarsi cadere in un sonno eterno? Perché non poteva fermarsi come un orologio scarico e lasciarli finalmente liberi?

Perché non smetteva di torturarlo anche lui, esaudendo il suo desiderio di poter evadere? 

Le cinghie in ruvido e grezzo cuoio gli stringevano le gambe e non gli permettevano di compiere alcun movimento, quelle degli avambracci erano strette. Troppo. Le sentiva scavargli nella pelle pur di tenerlo fermo, imprimergli sulla carne una pressione tale da fargli sentire le mani pesanti e ipersensibili, formicolanti. Il metallo della sedia su cui era stato adagiato -non sapeva nemmeno quanto tempo prima- gli incideva dolorosamente la pelle già purpurea, e gli imprimeva quella costante sensazione di dolore capace di togliergli la parola. 

Le cinte che impedivano al suo corpo di riversarsi in avanti gli avvolgevano il petto, legandolo stretto. Anche quelle, lo erano troppo. Gli mozzavano il fiato, due in particolare grattavano tra le costole, rendendogli difficile prendere boccate d'aria sufficienti a saziare la sua necessità di ossigeno; in compenso, i brevi e veloci ansimi scivolavano dalle sue labbra secche e screpolate -e per questo spaccate in più punti- mentre la lingua, arida come una pianura estiva, veniva passata di tanto in tanto su quelle in un vano tentativo di darsi sollievo. 

Le palpebre battevano solo quando gli occhi urlavano pietà e rischiavano di inumidirsi di lacrime inutili da versare, ma erano così intenti a fissare il vuoto che poco gli importava. 

«Oh, cielo santissimo...Principe?!» 

Non lo riconobbe. 

Una serie di parole, dette con quello che sembrava un tono acuto ma che percepì come appena sussurrato, non gli innestarono dentro né il conforto né la curiosità sufficiente da farlo uscire dalla catalessi in cui era caduto. Niente era meritevole della sua attenzione, attendeva solamente che l'ennesima tempesta si abbattesse sulla sua persona e testasse i suoi limiti. 

Se solo avesse avuto cognizione di ciò che vi era intorno a lui, probabilmente il passo veloce che riecheggiò tra le pareti -indice che qualcuno gli si stava avvicinando con così tanta velocità da quasi incespicare nei propri passi- lo avrebbe ridestato. Il suo riecheggiare veloce e ridondante si arrestò come Yoongi gli fu abbastanza vicino da allargare gli occhi a dismisura e perdere la presa sulla lampada ad olio che teneva stretta tra le dita. 

L'oggetto si infranse davanti ai suoi piedi con la stessa violenza con cui sentiva il fiato mozzarsi e gli occhi sgranarsi per l'orrore. 

Yoongi azzerò la poca distanza che li divideva in due grandi falcate e crollò in ginocchio davanti al principe, allungando le mani verso il suo viso per sincerarsi che fosse ancora vivo. Portò due dita sotto la curva della mandibola ed il battito fin troppo timido del cuore dell'altro gli arrivò come una cucchiaiata di sale negli occhi.

Atterrito, prese il volto del principe tra le mani e lo issò, trasalendo. 

Come se qualcuno gli avesse dato un calcio contro lo sterno, così l'aria mancò improvvisamente dai suoi polmoni; l'adrenalina gli invase le viscere e arcuò pesantemente le sopracciglia guardando ciò che rimaneva del principe da cui era stato costretto a separarsi per ingenti questioni reali affidategli dal re. 

Il viso dell'altro era di un'innaturale sfumatura grigiastra e spenta, anche se superficiali aloni purpurei gli costellavano le guance e gli avvolgevano il collo -come se vi si fosse stretto qualcosa intorno-; le labbra cianotiche erano macchiate di residui di sangue secco dovute alle spaccature; gli zigomi erano sporgenti, rivoli di sudore freddo gli scivolano lungo il collo mentre occhiaie -profonde e violacee- cerchiavano le palpebre gonfie e socchiuse. 

I pochi e grezzi vestiti che aveva indosso erano troppo leggeri per la temperatura rigida della stanza, e da questo ne derivava il lieve ma continuo battere dei denti dell'altro che, apparentemente, non si era nemmeno accorto di essere stato toccato. 

Yoongi non riuscì a trovarvi una motivazione in ciò che stava avvenendo, né perché il principe si trovasse in quelle condizioni e rinchiuso nella cella precedentemente utilizzata come dispensa. Era arrivato lì grazie ai suoi dubbi e alla sua curiosità, che lo avevano spinto a rivolgersi al cuoco per domandargli la motivazione dietro l'improvviso cambio di stanza per la conservazione delle provviste. 

Aveva poi chiesto del principe, e quando gli era stato riferito che nessuno lo avesse più rivisto dopo la sua partenza, un allarmismo senza precedenti era scattato nell'animo di Yoongi tanto da indurlo a controllare in tutte le stanze del palazzo -prigioni comprese- pregando tra sé che non gli fosse accaduto nulla. 

Ma anche se avesse temuto il peggio, la realtà aveva superato di gran lunga qualsiasi più tetra ed orribile fantasia. 

Mai come quella volta, aveva temuto di rischiare un collasso per il macabro ed agonizzante spettacolo che i suoi occhi increduli continuavano a catturare. Cosa gli era successo?

Cosa gli avevano fatto? Perché gli avevano fatto quello?

«Principe! Principe, mi sentite?! Vi prego, rispondetemi!» sussurrò con tono ricco di panico, lasciando che viso dell'altro si adagiasse contro il palmo della sua mano per spostargli i capelli dalla fronte con l'altra. Deglutì a vuoto e si protese in avanti, ricacciando indietro delle possibili lacrime per la sconfitta di aver fallito nel proteggere una delle persone più importanti della sua vita. 

Schiuse le labbra e gli carezzò uno zigomo con il pollice per farlo riprendere, ma le parole che avrebbe voluto dirgli gli sfiorirono dentro come incontrò i suoi occhi.

Quegli occhi scuri, quegli occhi grandi e da sempre illuminati da un bagliore vitale e luminoso, così ricchi di speranze ed anche di gioia...erano vuoti. Le pupille erano inverosimilmente dilatate, tanto da sembrare essere esse stesse l'iride, e rendevano quelle gemme gioiose due pozzi senza fondo e senza emozioni, opache ed incapaci di metterlo a fuoco. 

Senza alcuna espressione, Jungkook -o JK- non sembrò reagire alla sua vista. Biglie svuotate e smorte, ecco cos'erano. 

Il cuore di Yoongi sembrò smettere di battere perché anche se quegli occhi erano stati distrutti, anche se erano stati sofferenti, anche se erano stati tristi o malinconici, non erano mai stati senza speranza. 

In quel tunnel infinito che sembravano creare le sue pupille, in fondo, Yoongi fu quasi certo di potervi vedere tutti i demoni a cui, stavolta, il principe aveva deciso di non opporsi. Quelli che non aveva saputo scacciare e che banchettavano sui brandelli di ciò che rimaneva della sua essenza.  

Come le mani di Yoongi rilasciarono lentamente il suo viso, lo fissò con disperazione ricadere nella stessa posizione in cui lo aveva trovato; con una nuova ondata di panico e di rabbia ad investirgli l'animo, le mani del consigliere corsero velocemente sulle cinghie che gli stringevano il petto e, spostandole, si accorse che avevano lacerato la pelle di Jungkook e macchiato la sottile maglia di un intenso cremisi. 

Yoongi contrasse l'espressione per quanta forza stava necessitando per allentarle e ci riuscì con fatica, liberandogli anche le braccia e le gambe ma scattando in avanti per evitare che il corpo del principe ricadesse come un sacco svuotato. 

«Cazzo!», ringhiò, riportando Jungkook in posizione seduta, «Principe! Principe, riuscite a sentirmi? Fatevi forza, per favore.» gli sussurrò con fare urgente, scuotendolo appena per una spalla. 

Non ricevendo alcuna risposta, Yoongi imprecò silenziosamente e gli riprese il viso tra le mani, guardandolo con occhi concentrati e carichi di silenziose suppliche di non mollare.

«JK, sono Yoongi! Per favore, apri gli occhi. Sono io, so che puoi riconoscermi, dobbiamo andarcene. Per favore, non mollare.» cercò di scuoterlo e qualcosa, alla menzione del suo nome, sembrò toccare una delle poche corde rimaste salde nell'animo del principe. Gli occhi, infatti, si aprirono maggiormente anche se il viso rimase senza alcuna espressione, fermo nella sua apatia; a rallentatore lo vide battere le palpebre ma non gli rispose. 

In compenso, il suo respirare divenne affannoso e rantolante, il suo corpo venne scosso da tremiti profondi che non sapeva fino a che punto fossero imputabili al freddo della stanza. 

«Sto bene.» mimò infine, in un tono roco e graffiante dovuto, probabilmente, alla secchezza della gola. 

«JK!» esclamò, salvo poi placarsi come lo vide sobbalzare, «Adesso vi porto fuori di qui. JK, riuscite a passare il braccio sulle mie spalle?» chiese, un moto di sollievo nel sentirlo rispondere alla sua voce gli si riversò addosso e lo portò ad abbracciarlo stretto per un intero e lungo istante, sentendo il cuore esplodergli dalla contentezza per averlo ridestato.

Si separò da lui scollandosi a fatica dall'abbraccio e notò come quello stava leggermente scuotendo la testa. 

«Ce ne andremo prima di subito da questo posto, JK.» asserì con fare sicuro, prendendogli un braccio per poterlo fare passare delicatamente attorno alle sue spalle. Si stupì come quello oppose una minima resistenza tale da indurlo a guardarlo senza capire. 

Arcuò le sopracciglia mentre il principe lo guardava senza espressione, fissandolo silenziosamente come se ne stesse studiando le mosse.

«No», proferì infine, scuotendo appena e nuovamente la testa, «Adesso non è necessario andare via. Ci sono io.» continuò, confondendo Yoongi. 

Infatti, questo boccheggiò per un istante e si guardò intorno con fare allarmato.

«JK, cosa state dicendo? Dobbiamo andarcene, non potete rimanere chiuso qui dentro!» insistette nuovamente il consigliere, cercando di farlo ragionare. 

Gli occhi vuoti ed inespressivi -così tanto da apparire innaturalmente morti- rimasero nei suoi e scosse nuovamente la testa. 

«JK non c'è.»

Yoongi lo guardò senza capire. «Cosa significa? Siete Jungkook?» domandò infine, esitante.

Quello piegò appena il capo di lato e lo guardò in silenzio fino a che le mani di Yoongi non tremarono per l'ansia. 

«No, loro non ci sono. Ci sono io, e adesso che sono tornato, possono farmi tutto quello che vogliono.» rispose infine con voce leggera e monocorde. 

Il panico di Yoongi crebbe e sgranò gli occhi mentre il cuore gli impennò nel petto. «E tu chi sei?» 

In risposta, solo un accenno di ghigno. 

«Gguk.»

















✁✁✁✁✁✁✁✁

NDA: Bentrovati♡♡

Il capitolo, alla fine, è arrivato oggi e non domani, perché l'aggiornamento sarebbe quindi slittato a mercoledì  e la cosa non mi calava :')

[Per chi ha saltato le parti in corsivo: Jungkook è stato sottoposto a "cure" -sevizie è più azzeccato- da parte di un'equipe medica chiamata dal re per farlo guarire.]

Allora, io non so bene come commentare questo capitolo, perché è stato...intenso. Ed incredibilmente distruttivo, a dirla tutta. 

Ma rientra in assoluto tra i miei capitoli preferiti, sia per cosa succede che per cosa ho descritto. Nonostante siano vere e proprie torture, sono stata "contenta" di dare voce a questo aspetto che, forse, non si è attenzionato troppo. 

Parlando dei punti salienti del capitolo:

-Il tempo: il lasso di tempo in cui succedono queste cose è abbastanza ampio, quindi non stupitevi se ci sarà uno stacco temporale perché queste sono soltanto alcune delle cose che ha passato Jungkook, ed alcuni dei momenti vissuti da Tae a palazzo. 

-MA YOONGI DOVE CASPIO STA?!: Yoongi è stato allontanato da palazzo per "faccende importanti" per conto del re, ecco perché non ha potuto fare nulla per Jungkook/ né sapeva che fine avesse fatto. Sarete very proud di lui e vorrete ammazzarmi allo stesso tempo ma OGNI COSA A SUO TEMPO. 

-Le torture subìte da Jungkook: Non sono frutto della mia sadica e deviata mente. In realtà, questi descritti erano i trattamenti a cui venivano sottoposti i pazienti rinchiusi in ospedali psichiatrici. Simulazione di annegamento, costrizione fisica, bagni di acqua ghiacciata, assunzione forzata di farmaci e tutto quello passato subìto da Jungkook portano con sé verità.

E sì, è una merda. 

Ma sappiate che questa era la realtà fino a "pochi" anni fa.

-Gguk: Il primo che mi dice "Lo sapevo" lo prendo a cazzotti (^o^)
No, non si poteva sapere perché Gguk non è mai stato menzionato né ho mai lasciato intendere che ci fosse qualcun altro, perché non ci siamo mai trovati in questa situazione prima (˃ᴗ˂) 

[anche perché, se lo si sapeva, è anche inutile per voi continuare a leggere e per me continuare a scrivere :")]

Che poi, chi è Gguk? Cosa è? EH. Non lo scopriremo subito, vi lascio la pulce nell'orecchio e vi dirò in seguito cosa è successo. Come sapete, non lascio niente al caso e niente verrà dimenticato, è tutto solo procrastinato come è giusto che il mio lazy ass faccia. 

Bene, giuro che adesso ho terminato e sparisco. Se avete qualche dubbio o qualche domanda, chiedete e vi sarà dato <3  

Grazie per aver letto e per essere passati di qui.

A presto ♡ 


Word count: 10568.

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