Let Me Get Lost In You [TaeKo...

By Hananami77

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''«Taehyung non può sposare il figlio di Jeon. Ho sentito troppe cose poco rassicuranti sul suo conto, non po... More

Personaggi+Introduzione
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#Special: [Biscotti in incognito]
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[Special 3#] Buon compleanno, hyung!
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~Epilogo~
LMGLIY - FAQ

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By Hananami77

Jungkook, 4 anni


Sobbalzò al rumore di qualcosa che veniva scagliato contro la porta dietro cui sostava e si bloccò sul posto. Sentì il cuore rimbalzargli nella cassa toracica e allargò gli occhi, stringendo tra le mani il cuscino che aveva trascinato con sé per poter dormire con mamma e papà.

Di giorno era costretto a chiamarli padre e madre, ma per lui, nella sua mente, erano sempre mamma e papà. E quella sera aveva avuto un incubo, così tanto brutto da tenerlo sveglio per parte della notte e fargli decidere di scendere dal letto per dirigersi velocemente verso la camera dei suoi genitori. 

Ma aveva creduto di trovarli addormentati e non, invece, urlanti e arrabbiati. 

Allungò una manina paffuta ed esitante verso la maniglia, stringendola tra le dita con qualche attimo di esitazione perchè...forse sarebbe dovuto tornare indietro? Forse non avrebbe dovuto aprire la porta?

Però il palazzo era buio, era silenzioso, era terrificante, e guardandosi in giro con occhi allargati, la presa sul cuscino si strinse perchè era troppo solo, diviso tra un silenzio difficile da interpretare e delle urla e dei rumori che gli facevano paura in egual modo ma...lì dentro c'erano i suoi genitori, non poteva essere così spaventoso come invece lo era il corridoio- che aveva attraversato correndo a piedi nudi per non essere acchiappato da qualche mostro.

Con le sottili sopracciglia corrucciate ma con gli occhi allargati e grandi, abbassò piano la maniglia fino a che un sottile spicchio di luce non gli colpì il lato destro del viso. Guardò con occhi confusi e sorpresi la scena che gli si stava prospettando davanti, e trattenne il fiato come suo vide suo padre muovere concitatamene le braccia, urlando qualcosa che non capiva.

Sei una puttana.

Cosa significava? Non sapeva cosa significasse, non aveva mai sentito quella parola. Puttana. Sua madre lo era? Jungkook non seppe spiegarsi il perché, ma qualcosa gli stava suggerendo che non era poi una cosa troppo positiva perché...suonava male. 

Non aveva un bel suono. 

Aveva contenuto il singulto di stupore come, a quelle parole, lo schiocco dello schiaffo che sua madre aveva dato a suo padre non era arrivato forte come se lo avessero dato a lui. 

Jungkook si preoccupò e sentì le lacrime pizzicargli gli occhi perchè la sua mamma stava piangendo, suo papà stava piangendo mentre si massaggiava la guancia e la guardava, ferito, voltargli le spalle ed andare verso la porta. 

Verso di lui!

Fece qualche passo indietro e mollò il cuscino, attendendo che sua madre aprisse la porta e, a braccia già tese per poter essere preso in braccio, la guardò lanciargli una lunga occhiata e passargli di fianco, sorpassandolo.

«Mamma! Aspetta!» chiamò Jungkook, correndole dietro fino a che non acchiappò nel piccolo pugno il bordo della lunga camicia da notte. Odorava dei mughetti che avevano raccolto il giorno prima in una delle loro preziose passeggiate per la tenuta. 

Vide sua madre bloccarsi e stringere i pugni, non voltandosi nella sua direzione.

«Mamma, posso stare con te stanotte?» chiese Jungkook in un sussurro, zampettando davanti a lei. La abbracciò per i fianchi e posò il mento contro il suo ventre. Ad occhi grandi ed espressivi, guardò quelli di sua madre divenire sempre più lucidi e tristi, così tanto che sentì anche lui la tristezza assalirlo. 

«No, Kookie. Stasera la mamma non può stare con te». 

Nonostante la nota dolce, il diniego fece affondare il cuore di Jungkook negli abissi della tristezza, perchè lui non voleva rimanere da solo con i mostri. Voleva essere abbracciato, dormire con il profumo di sua madre a fianco, voleva le carezze tra i capelli, voleva sentire la melodia che gli veniva canticchiata per allontanare i mostri della notte...voleva stare con la sua mamma.

«Per favore» mugugnò Jungkook, sbattendo velocemente le palpebre perchè sentiva gli occhi bruciare un po' troppo. Le mani sottili e piccole di sua madre si avvolsero attorno alle sue braccia per staccarlo da sé e allontanarlo quel tanto che bastava per scuotere la testa.

«Ti ho detto di no, Jungkook. Torna a dormire». 

Jungkook la guardò senza capire. «Ma ci sono i mostri...» sussurrò, abbassando gli occhi per giocherellare con le sue mani. Piccole gocce trasparenti crollarono sulle sue guance al pensiero di dover rimanere da solo e mise un piccolo broncio triste.

«I mostri non esistono. Vai a dormire». 

Jungkook alzò di scatto la testa e cercò di protestare, ma nessuna lacrima, nessun grido: «Mamma, per favore, rimani!» era riuscito a fermare sua madre dal proseguire dritto e allontanarsi da lui. Rimasto a guardare la sua schiena ondeggiare appena ad ogni passo, si era rimproverato più e più volte per non essere riuscito a convincere la sua mamma a rimanere con lui. 

E quella notte, Jungkook aveva -per la prima volta- affrontato i mostri da solo, rannicchiato contro l'angolo del muro a ridosso della porta della camera dei suoi genitori, con il cuscino stretto tra le braccia e solo i suoi pensieri a consolarlo. 


.................... 


Jungkook, 5 anni


Come anche l'ultimo bagaglio venne caricato sulla carrozza, seguì con gli occhi i passi veloci di sua madre scalpitare contro i gradini in fredda pietra dell'ingresso; i tacchi tintinnavano sonoramente e si era vestita di tutto punto. 

Vedeva gli orecchini oscillare ad ogni gradino, le dita guantate stringere gentilmente i lati del vestito color porpora che le faceva risaltare la pelle chiara, e Jungkook pensò che fosse la più bella mamma del mondo. 

Era sempre così aggraziata...forse per questo suo papà se ne era innamorato così tanto. Chi non si sarebbe innamorato della regina?!

«Yumyeon!». 

Jungkook si sporse un po' di più dal suo nascondiglio sentendo suo padre urlare il nome di sua madre in modo così tanto allarmato che, per un attimo, pensò che sua madre fosse in pericolo. Vide la regina fermarsi, arrestare i suoi passi sulla scalinata e voltarsi, mostrando il suo volto perfettamente truccato ad un incredulo re.

«Dove stai andando?!» sentì dire a suo padre, fermandosi a qualche passo da lei. 

«Lontano da te, come avrei dovuto fare fin dal principio».

Jungkook si stupì forse più di quanto si sarebbe immaginato di come il tono di sua madre non fosse stato dolce e leggiadro come sempre; sembrava arrabbiata, irritata, fredda— così tanto che Jungkook si chiese se quella fosse stata la stessa persona con cui aveva sempre vissuto.

«Non puoi andartene! E Jungkook? Non ci pensi a lui? Cosa dovrei dirgli non appena non ti troverà più a palazzo?» esclamò il re, gesticolando ansiosamente. 

Jungkook sentì il cuore battere forte perchè adesso sua madre avrebbe detto che lo avrebbe portato con sé, o che sarebbe tornata dal viaggio di cui gli aveva parlato qualche giorno prima p—

«Quel marmocchio te lo puoi tenere. Sappiamo entrambi che diventerà un buono a nulla come te, Jeon. E' tuo figlio, d'altronde cosa avrei potuto pretendere?». 

Jungkook allargò gli occhi e tutte le certezze che si era creato nella sua fanciullesca ingenuità caddero e si frantumarono come un vaso scagliato al suolo. Arcuò le sopracciglia e si portò una manina al petto perchè quelle parole gli avevano fatto male. 

Sua madre gli aveva detto una bugia?

Non lo avrebbe portato con sé?

«E' anche tuo figlio, Yumyeon! Non puoi parlarne così! Kookie ti vuole bene, cosa ne sarà di lui? Cosa ne sarà di noi? Jungkook è ancora un bambino, non puoi abbandonarlo qui come se non lo avessi mai visto o conosciuto. Sai quanto lui sia fragile, non sopporterebbe un abbandono del genere» sibilò re Jeon, stringendo i pugni ai lati dei fianchi per guardare quella che ormai stentava a riconoscere come la donna che aveva amato e per cui aveva donato la sua vita pur di averla vicino. 

«Lui è il figlio che tu hai voluto, non che io ho scelto di avere! Ha i tratti pavidi e vigliacchi come tutti voi Jeon, avrei preferito non averlo mai generato piuttosto che avere un figlio come lui!» urlò Yumyeon, carica di rabbia nei confronti di quello che era suo marito-anche se ancora per poco. 

Il matrimonio combinato l'aveva incastrata con un uomo che non amava e che aveva tollerato, ma aveva sempre creduto che, le spugne imbevute di aceto e i venti salti alla fine di ogni rapporto sarebbero stati sufficienti a non rimanere incinta e dare, quindi, un buon motivo a Jeon di lasciarla per vivere una vita diversa da quella che aveva a palazzo.

E invece, alla giovane età di ventidue anni, si era trovata a dover portare avanti una gravidanza che non desiderava, pregare ogni sera che non andasse a buon fine, e guardare -con orrore crescente- il suo ventre gonfiarsi. 

Sapeva che la colpa non era di suo figlio, sapeva che non avrebbe dovuto scaricare tutta la sua frustrazione per una vita che non voleva su quell'esserino che, fin da subito, si era dimostrato incredibilmente attaccato alla vita. Ci aveva provato fino alla fine a dedicargli tutte le attenzioni per essere una buona madre come ci si aspettava, ma non era riuscita nell'intento. 

Ma ci aveva provato, prima che conoscesse Sir Edmund Josh Richwound, il giovane ed aitante nobiluomo inglese venuto al palazzo per stringere rapporti politici con il loro regno e spartirsi i possedimenti in comune nelle isole. 

Capitato in un momento in cui il suo matrimonio era già arrivato al declino -iniziato nel momento stesso in cui suo marito aveva scoperto la sua poca fedeltà coniugale- era stato capace di mostrarle quanto la vita fosse diversa quando, ad incrociarsi, erano occhi che si amavano. 

Reciprocamente

E in nome di quel sentimento che sentiva arderle il cuore ed avvilupparle l'animo, Yumyeon aveva deciso che nulla -dalla corona, al titolo di regina, al ruolo di madre- poteva essere una motivazione valida e sufficiente per sacrificare la sua vita stando lontana da Edmund. 

«Come puoi dire così? Jungkook sarà un principe forte e capace proprio come è giusto che sia, smettila di sputare sentenze che non conosci e torna ad essere la donna che io ho sposato e che ho amato!» gli urlò contro re Jeon, alzando -per l'ennesima volta- la voce.

Ma se le parole erano continuate a volare tra i due in un battibecco sempre più acceso e sempre meno rispettoso l'uno per l'altro, Jungkook aveva palesato la sua presenza con un piccolo e soffuso singhiozzo che aveva attirato -inevitabilmente- l'attenzione su di lui. 

Due paia d'occhi si fermarono sulla sua figura e vi rimasero per ancora pochi attimi prima che sua madre alzasse gli occhi al cielo, «Sai solo piangere, Jungkook. Quando avrai ventinove anni sarai un perdente proprio come tuo padre». 

E poi se n'era andata.

Jungkook l'aveva vista voltargli le spalle e andare via, proprio come quella sera di un anno prima, quando stava scappando dai mostri. In quel preciso istante, Jungkook aveva guardato sua madre salire sulla carrozza e non rivolgergli la benchè minima attenzione nonostante lui la stesse chiamando a gran voce.

Aveva corso per le scale ed era perfino inciampato un paio di volte, ma le sbucciature sulle ginocchia ed i graffi sui palmi non erano niente in confronto a quanto si sentisse triste. Se n'era andata davvero?

Lo aveva lasciato davvero lì?

Non voleva stare insieme con lui? Non voleva giocare, non voleva leggergli la favola della buonanotte?

Non gli voleva bene?

Jungkook chiamò ancora il nome di sua madre mentre le lacrime gli scendevano copiosamente sulle guance; strofinò le manine sporche di terra e di polvere sulle ginocchia per rimettersi in piedi e correre verso la carrozza, pregandola di fermarsi.

«Signorino Jungkook! Fermatevi!» chiamò la sua tata, correndogli dietro per afferrarlo per un polso e bloccare la sua corsa. 

Jungkook allungò una mano verso quel puntino che si allontanava sempre di più e scalpitò. «Lasciami! La m-mamma si è dimenticata di portarmi con sé!» urlò, anche se la voce era spezzata dalle lacrime. 

«Vostra madre non tornerà indietro a prendervi! Contegno, siete un principe!» tuonò la sua tata, tirandolo per il braccio per convincerlo a rientrare al palazzo. 

Jungkook si dimenò maggiormente e scosse forte il braccio per farsi liberare. «Ma la mia mamma è andata via! Si è dimenticata di me!» insistette, puntando i piedi per terra per evitare di farsi trascinare ancora. 

«Jungkook, basta». La voce di suo padre, di solito più calma e pacata, aveva invece chiamato il suo nome con così tanta severità che Jungkook aveva sentito un brivido scuoterlo. 

Era così simile a quello che utilizzava con sua madre che fu sufficiente a farlo smettere di dimenarsi per guardarlo attraverso gli occhi velati di lacrime. 

«Comportati da principe quale sei. Tua madre non tornerà». 

E fu in quel momento che Jungkook capì di essere rimasto solo.

Solo, insieme ai mostri. 


.................... 


Jungkook, 14 anni


Si avvolse alle coperte in un abbraccio invisibile al mondo ma capace di confortarlo in quel momento di silenzio, il tipico silenzio notturno che avvolgeva ogni sua sera, ogni sua giornata. Era un silenzio così forte da sentirlo quasi fischiare nelle orecchie, eppure si sentiva al sicuro perché le coperte riuscivano a nascondere il suo corpo dalla vista degli occhi invisibili della sera. La testa era affossata nel morbido cuscino -uno dei tanti che teneva sul letto e che nascondeva Mr Carota da un po' tutto. Erano quei cuscini che gli permettevano di dormire quasi serenamente, perché attutivano il peso del suo corpo che, per il momento, gli pulsava un po' ovunque. 

La schiena gli faceva ancora male, fitte profonde lo stringevano come edere ogni volta che provava a rigirarsi sul materasso; sembrava giacesse su un letto di mattoni per quanto quella pressione gli dolesse, per cui era necessario stare quanto più immobile possibile. Anche perchè, in quel modo, forse sarebbe riuscito a silenziare il battere errante e galoppante del suo cuore.

Quel palpitio continuo, veloce ed insistente, prendeva -spesso- il posto del sibilante silenzio della sua camera da letto, perchè era così disperato nel battere, che sembrava gli stesse urlando di riprendersi, come se cercasse di ricordargli che esisteva ancora. 

Sì, lui esisteva ancora, ma la notte non era fatta per dormire sogni tranquilli. Se c'era una cosa che Jungkook non riusciva proprio a fare, infatti, era dormire. Non aveva importanza quante pillole quell'uomo dai baffi arricciati e dagli occhiali dalle lenti spesse -meglio conosciuto come dottor Jung- gli prescrivesse; erano dei buoni rimedi per farlo scivolare nell'incoscienza o nel torpore comatoso di un quasi sonno, ma non erano abbastanza forti da fargli dimenticare cosa succedesse a suo fratello -anche se lui non ricordava nulla di quegli avvenimenti. 

JK, credi che stanotte tornerà? parlò, il panico a levigare quella frase che, ormai, era di rito. Aveva chiuso a chiave la porta, lo aveva fatto anche altre volte in realtà, ma non aveva ottenuto molto se non una dose extra di lividi sulle gambe quando si era svegliato il mattino seguente. 

Sperava sempre che bastasse un giro di chiave, una serratura difficile da scardinare o una porta in legno massello per poter chiudere fuori tutti quei mostri che, prima nel suo immaginario e poi nella realtà, lo perseguitavano da una vita, ma niente riusciva a proteggerlo. 

Niente e nessuno, a parte JK. 

JK era il suo angelo custode e, come tale, gli faceva compagnia nei momenti più ansiosi delle sue giornate e ci pensava lui a proteggerlo da tutto quello che la sua mente non riusciva a processare correttamente. Ci pensava lui e Jungkook lo adorava nel modo più profondo per questo, perchè oltre ad essere la sua forza, era anche tutto ciò che lui avrebbe voluto -e forse anche dovuto- essere senza però mai poterci riuscire. 

Era profonda ammirazione quella che sentiva dentro, che si continuava a gonfiare nel suo petto per ogni volta che JK gli rispondeva con una risata o per ogni volta che lo bloccava dall'ingerire un quantitativo di sonniferi eccessivo

Jungkook attese una risposta ad occhi strizzati, raggomitolato su sè stesso con le orecchie tese. A parte il suo respiro fattosi pesante ed irregolare, molto più veloce di quanto si aspettasse, il ticchettio cadenzato dell'orologio scandito dalle lancette era uno straziante supplizio acustico. Ogni singolo secondo gli rimbombava nelle orecchie e faceva aumentare il battito del cuore ed il senso di soffocamento che gli stava stringendo la gola.

Voleva scappare. 

Non voleva rimanere in quel letto, non voleva stare in quella stanza, non voleva vivere lì. Non voleva vivere e basta, non voleva continuare a sentire quella sensazione di mani che lo toccavano, non voleva sentire quella voce chiamarlo, non voleva esistere. Jungkook detestava la sua esistenza, detestava la sua vita perchè lui gliela stava rendendo un inferno, perchè stava per arrivare, stava per—

Jungkook, va tutto bene. Fai respiri profondi.

Jungkook tossì e cercò di soffocare i suoi singulti contro il piumone, ma ciò non fece altro che fargli mancare ancora di più il fiato ed un rantolo scivolò dalle sue labbra. Un tremito più violento del precedente lo scosse ed in un battito di ciglia, JK aprì gli occhi e li puntò verso il muro di fronte a lui.

Cercò di modulare il respiro del corpo e si passò una mano sulla fronte per togliersi quello strato di sudore che gli aveva contaminato anche i capelli, notando con disappunto una benda avvolta attorno all'avambraccio. A quando risaliva non lo sapeva, non sapeva nemmeno se fosse dovuta a Jungkook oppure a lui ma, qualsiasi cosa fosse, sarebbe comunque passata in secondo piano. 

Anche lui aveva una paura fottuta della notte e di ciò che essa comportava, ma ciò non toglieva che fosse suo dovere proteggere Jungkook in qualità di fratello maggiore. Lui era più grande, molto di più di lui, ed era normale che di quelle cose-non sapeva nemmeno come definirle- se ne occupasse lui. 

Ma vedendo lo stato in cui versava Jungkook, contando che quello che stava per avere era il quattordicesimo attacco di panico in una giornata -e che non sapeva quanto ancora avrebbe saputo evitargli di ferirsi o di attentare alla loro vita- quella sera doveva andare diversamente. 

Non poteva continuare ancora in quel modo, doveva allontanare una volta per tutte quello che più li stava ferendo, perchè anche lui stava cedendo. Non come Jungkook, sicuramente, ma la sua capacità di contenere ciò che avveniva da anni stava iniziando a disintegrarsi e, insieme a questa, anche la sua integrità. 

Non ti hanno creduto, vero? Quegli stupidi continuano a non crederti sibilò JK, sobbalzando visivamente come l'orologio aveva appena segnato le dieci in punto.

No, ho provato a dirlo a mio padre ma l-lui dice che sto dicendo queste cose s-solo perchè trovo noiosi gli argomenti d-di studio JK vide Jungkook piangere e gli si strinse il cuore. Come quando andava a cavallo con Furia, quelle parole sollevarono un polverone di rabbia verso quello che si ostinavano a chiamare padre ma che, in realtà, era solamente un grandissimo stronzo. 

Come la mezzanotte delle favole che aveva letto a Jungkook quando era piccolo faceva finire la magia e tutto tornava alla grigia realtà, così le dieci era l'orario in cui le cose brutte della vita avevano inizio. A dolergli non era solo il corpo, anche la gola bruciava terribilmente a causa del loro ultimo incontro, e le vesciche che gli si erano formate poco prima dell'ugola continuavano a dolergli come aghi ogni volta che provava a buttare già qualcosa -anche solamente acqua. 

Sta per arrivare, s-sta per arrivare. JK, mi dispiace—mi dispiace, mi dispiace fu il mugugno detto con voce spezzata ed incrinata da Jungkook, scusandosi a profusione per ciò che qualcun altro stava subendo per la sua incapacità di resistere. 

JK sibilò nel silenzio della stanza come ad imporgli fisicamente di non farsi sentire, portando perfino l'indice a premere sulle labbra e sulla punta del naso.

Ce ne libereremo, te lo posso assicurare. Non ci disturberà più dopo stasera asserì con voce determinata JK, messo in allerta dal clic della porta che veniva -ovviamente- aperta. Quel rumore aveva fatto sì che Jungkook sparisse completamente e lo lasciasse attenzionare quello sfrigolio di passi rumorosi ma felpati che echeggiava nella stanza silenziosa e si propagava fino a loro. 

Il tacco della scarpa indossata da quell'intruso batteva contro il marmo del pavimento, e ad ogni rinnovato eco, un brivido gli si propagava fin dentro le ossa. Un'improvvisa nausea lo colpì per la repulsione provata non appena i passi si arrestarono ed una voce, dal tono tranquillo e quasi preoccupato, prese il loro posto. 

«Kook, niente nascondino oggi?».

 Lo stomaco di JK si rivoltò come se le budella si fossero trasformate in anguille, agitandosi dentro di lui con la stessa potenza di quella nausea assordante che lo stava cogliendo. La pelle d'oca gli decorò le braccia, le mani gli sudarono fredde, le gambe si strinsero e le ginocchia si racchiusero contro il petto mentre il cuore martellava contro la cassa toracica tanto da far male.

Aveva percepito la presenza ostile prima che questa si palesasse fisicamente sul materasso, provocandone il piegarsi per il peso eccessivo ed il frusciare del tessuto delle coperte contro la pregiata stoffa dei pantaloni.

JK si irrigidì come una mano si posò sul suo braccio coperto; quelle dita strinsero appena il tessuto e si arpionarono alle sue forme toccandole con fare fermo e sapiente, in una lentezza così esasperante e languida che brividi di disgusto scivolarono sulla sua pelle al passaggio. Nonostante non lo stesse toccando direttamente per via dei numerosi strati a dividerli, JK percepì quel tocco indesiderato e depravato fin dentro le ossa, come se stesse riuscendo a toccagli perfino i nervi. 

Si ritrasse d'istinto sentendo quel tocco risalire sulle dolci curve delle coperte e deglutì sonoramente per stapparsi le orecchie-otturatesi dal momento stesso in cui era stato toccato. 

Come una goccia d'acqua che scava nella roccia dopo anni di persistente gocciolare, così quelle mani stavano consumando tutti gli strati di forza che gli rimanevano dentro per continuare a vivere, e JK non poteva permetterlo.

Non poteva permettere che quell'essere indesiderato continuasse a consumare la loro vita in attesa di un loro inevitabile crollo.

«Non toccatemi» tirò fuori a denti stretti, spostandosi a ridosso dell'angolo più remoto del letto. Al suo tono intimidatorio era seguita una risatina roca e profonda, uno schioccare continuo della lingua sul palato, squittii insistenti di diniego ed un frusciare delle coperte più intenso. Era stata quella voce viscida a dargli il benvenuto in quel mondo non troppo felice e tinteggiato da sfumature così scure da ormai esserne diventato parte; era stato quel tono saccente e sinistro a diventare la colonna sonora delle sue notti ed il preludio di quello che, per tutti i versi possibili ed immaginabili, era il suo personale inferno sulla terra ferma.

Le creature dalle corna arricciate con il volto di capre girgentane non erano nulla in confronto al viso corrugato e cosparso di efelidi senili distorto in una maschera di macabro piacere, o la visione di occhi affilati che lo guardavano con una lussuria malata e sbagliata. Quelle fiamme dove giacevano coloro che avevano peccato non erano nulla in confronto agli atti che gli stavano strappando, tassello dopo tassello, attimi di vita che non aveva scelto di trascorrere. 

Perfino l'inferno, nella sua rappresentazione più crudele, sfrontata, cruda e feroce era nullo in confronto al sentirsi l'oggetto di desiderio di un qualcuno come lo era lui di August. Avrebbe preferito riuscire a dimenticare piuttosto che ricordare quelle notti con fin troppa perfezione per essere abbandonate. Perchè lui provava a fargli dimenticare cosa gli avesse fatto, ci provava subdolamente facendogli delle carezze non gradite, sussurrandogli qualche parola nelle orecchie prima di andare via o, addirittura, cercando una sua redenzione dicendogli di dover essere meno appetibile.

Meno tentatore. 

E per ogni volta che JK gli dimostrava quanto fossero indimenticabili quei ricordi grondanti sangue e lacrime, allora August applicava la seconda, grande ondata di ciò che di solito uno sporco assalitore faceva: attaccare la sua credibilità. Prendendo spunto dagli attacchi di panico di Jungkook, dalle sue crisi d'ansia e dai suoi tentativi di suicidio non andati -per sua fortuna- a buon fine, aveva agito in modo che, se niente sembrava poter mettere freno alla lingua di JK, allora avrebbe fatto in modo che nessuno ascoltasse ciò che aveva da dire. 

Facendo leva su torbidi sentimenti che la vergogna e la disperazione portavano con sè, August era riuscito ad intaccare in modo irreversibile Jungkook, andando ad erodere ogni singola sfera emotiva, sentimentale ed affettiva come una goccia di inchiostro in un bicchiere d'acqua.

Ma era a quel punto della sua totale distruzione, che arrivava JK. 

JK era tutto ciò che August non desiderava: era scontroso, era testardo, era forte non tanto in senso fisico quanto in senso spirituale; se lui provava a zittirlo, allora JK urlava più forte. Perchè, prima o poi, qualcuno avrebbe sentito le sue urla e lo avrebbe aiutato. 

Forse.

Ma con la speranza di poter trovare ascolto negli altri, JK era arrivato ad una nuova evoluzione del suo pensiero: se le parole non fossero servite a dimostrarlo, allora ci avrebbero pensato i fatti. Li avrebbe liberati da quella presenza costernante e soffocante, li avrebbe portati a risalire in superficie per riprendere a respirare a pieni polmoni la libertà. Li avrebbe salvati da solo, si sarebbero salvati a vicenda con una sola certezza: il non dover dire grazie a nessuno se non a loro stessi. 

Ce la doveva fare, poteva già pregustare la gioia di loro tre nel non avere più tra i piedi quell'ammasso di carne ed ossa che faceva schifo, probabilmente, anche all'umanità.

«Ah, ah, ah», scandì August, «Kook-ah, non fare il difficile. Andiamo, da bravo, vieni qui» commentò, allungandosi per afferrargli idealmente la coscia e scuoterlo. 

«O forse vuoi che ti venga a prendere come il principino viziato e dispettoso che sei?».

JK scalciò da sotto le coperte per scrollarsi dalla presa e strinse le labbra alla risata secca e graffiante che seguì a quel gesto, preda di un divertimento che apprezzava solamente l'altro. La risata si spense e diventò una sorta di grugnito esasperato come se avesse avuto a che fare con un bambino capriccioso; gli afferrò una spalla e lo strattonò per portarlo a voltarsi, indurendo l'espressione agli occhi scuri, truci e competitivi che albeggiavano sul volto serafico di JK. I pugni stretti sotto le lenzuola iniziarono a tremargli per la collera, le narici dilatate dalla rabbia e dal disgusto lasciavano uscire un respiro di fuoco mentre si specchiava in quegli occhi piccoli e scuri, lucenti solamente grazie alla sottile luce pervenuta dalle finestre rigorosamente aperte.

Tutto era macchiato di quel profondo e tetro nero; un colore in cui non voleva affondare, un'ombra scura da cui non voleva essere intrappolato. Le possibilità di avere la meglio erano basse, era vero: August era il doppio sia per larghezza che per forza, ed infatti non ci volle molto prima di ritrovarsi disteso supino con i polsi stretti ai lati dalle testa e tenuti fermi da mani nodose e ghiacciate. 

Quel corpo un po' sovrappeso ed ingombrante era su di lui, lo comprimeva contro il materasso e lo intaccava con il suo sudiciume, rendendolo sporco, compromettendo la sua esistenza. JK si dimenò sotto di lui anche se le gambe erano tenute ferme dalle ginocchia ossute di August, i cui capelli non erano ordinati nella solita coda bassa ma scompostamente slegati per ricadere verso di lui come una pioggia grigiastra. Le labbra sottili e smunte si erano piegate in una sorta di ghigno sadico e sarcastico mentre osservava con divertimento il suo piccolino muoversi e dimenarsi senza potersi liberare.

Si leccò le labbra e JK atterrì per lo sdegno, strattonando le mani e tentando di mordergli il polso per potersi liberare e scrollarselo di dosso prima che gli strappasse via i vestiti e arrivasse a toccarlo.

«Mi fate schifo! Lasciatemi andare!» gli urlò, sentendo la gola bruciare come se fosse stata marchiata da un ferro caldo; il suo urlo si propagò in un eco senza voce che non arrivò a nessuno di tutti coloro che si premuravano di ignorare i segni sul suo colpo e le cicatrici sulle gambe; ignorare era sempre stato il modo migliore di affrontare le questioni più spinose che, altrimenti, avrebbero costretto tutti a vedere quanto la persona che riverivano come un nobile e rispettoso essere umano, in realtà fosse un assalitore senza scrupoli.

Perchè era lui, Jungkook, a doversi vergognare dei suoi attacchi di panico; era lui, JK, a doversi coprire i lividi affinché non li vedesse nessuno; perchè erano loro, insieme a Kookie, a doversi vergognare di atti che gravavano sulla testa di qualcun altro. 

Ovvio, no?

JK piegò il volto e strizzò gli occhi alla ventata di alito all'odore di vino che gli impattò sul volto come August passò il naso sulla sua guancia e sospirò a labbra spalancate per il piacere di sentire quella pelle vellutata a contatto con la propria.

«Non sei più mansueto come quando eri solo un marmocchio. Dov'è finito il piccolo e mansueto Kook, mmh?», gli soffiò contro la guancia, issandosi e mostrando il brillio sinistro delle sue iridi scure. Perchè August adorava vedere quel ragazzino dimenarsi sotto di lui, sentire le sue urla e le sue mani strattonarlo per spingerlo via. 

Era tutto così appagante di quel piccolo principino, che era ovvio cedere alla tentazione di assaggiarne, ogni volta che poteva, un pochino in più.

JK grugnì e, un po' per fortuna o un po' grazie al tasso alcolico importante a scorrere nelle vene di uno scoordinato August, la presa sul suo polso si allentò al suo scalpitare e dimenarsi per sgusciare via dalla presa e rendersi libero di muoversi. 

Approfittò del momento per mordergli il polso; il ringhio arrabbiato di August gli impattò quasi sul viso e una scarica di adrenalina lo colpì nel vivo per cui, preso da un nuovo moto di speranza, JK gli assestò un pugno in pieno naso. Non era stato troppo forte ma era stato violento abbastanza da lasciare che anche l'altro polso venisse liberato, per cui se scrollò di dosso come meglio potè e scese dal letto.

La fitta lancinante che gli partì dai reni lo fece cadere carponi, quindi provò ad alzarsi e una presa sulla sua caviglia gli fece sgranare gli occhi. JK si voltò di scatto con occhi allargati e crollò con il volto sul pavimento per il forte strattone che August gli aveva dato, facendogli picchiare violentemente il viso sul marmo freddo. 

Afferrò una scarpa e gliela lanciò dritto sull'occhio, e quello fu sufficiente per liberarsi e strisciare velocemente sul tappeto e issarsi quanto più tempestivamente in modo da correre verso la porta della camera. Con il cuore in gola, afferrò la maniglia e la abbassò, ma una risata amara e sinistra lo atterrì tanto quanto la consapevolezza che la porta non poteva essere aperta. 

Perchè August l'aveva chiusa a chiave. 

Le mani gli sudarono, il suo cuore sembrò smettere di battere mentre la risata cattiva dell'uomo, seguita da una serie di colorite imprecazioni, non gli fece mancare il fiato e serrare la gola.

Si voltò di scatto giusto per vedere August avanzare verso di lui, ciondolando maldestramente ma con bagliori di rabbia ed ira a divampargli negli occhi fissi nei suoi. Lo stava schiacciando, quella cattiveria; quell'uomo malato lo stava schiacciando e si stava avvinando ma non poteva permettergli di avere la meglio. Se anche quel tentativo non fosse andato a buon fine, allora sarebbe scappato, si sarebbe addentrato nel bosco senza più essere trovato, ma prima...prima doveva lottare per la sua sopravvivenza. Lui era nato per farli sopravvivere.

Perlustrò con occhi febbrili la stanza ed afferrò un soprammobile dall'aria pesante nonostante fosse piccolo. Lo strinse e per poco non gli cadde dalle mani come una presa sulla sua gola non si abbattesse contro la carotide con un colpo così secco da fargli strabuzzare gli occhi e mancare l'aria nei polmoni. 

No, no, no! Non questa dannatissima volta. 

Si incitò da solo nonostante i piedi nudi gli scivolarono sulla moquette e venne trascinato all'indietro, quasi sbilanciandosi per la furiosa stretta seguita da un grugnito e da un pugni che August gli aveva assestato sul fianco per farlo cedere. Si dimenò e urlò per il colpo, colpendo ripetutamente l'avambraccio dell'uomo con l'oggetto che stringeva tra le mani, affondando i denti nella pelle nuda di quel braccio peloso quasi a strappargli la pelle.

La presa si strinse ed un altro pugno lo colpì, facendogli cedere le gambe e perdere la presa sull'unica arma che era riuscito a trovare. Spalancò gli occhi e cercò si spingersi con i talloni all'indietro, succedendo solo nel far traballare entrambi e far colpire la porta ad August.

«Principino, stasera ci divertiremo tanto io e te. Mi assicurerò di non farti camminare per i prossimi giorni, signorino» esclamò al suo orecchio con quella voce grassa da fargli venire i conati.

Le mani si mossero ciecamente mentre la vista non si faceva nitida ma no, non poteva crollare! Non poteva crollare in quel momento, doveva farcela!

La mano toccò il bordo di un mobile e non appena riuscì a sentire qualcosa sotto le dita, non ci pensò due volte. Lo strinse e con l'ultimo slancio di forse che il suo corpo possedeva lo dirottò verso il ginocchio, l'unica parte a lui raggiungibile vista la posizione e la situazione. Il ringhio arrabbiato e dolorante di August gli diede coraggio e ripetè il gesto, liberandosi dalla stretta e spingendolo all'indietro senza nemmeno pensarci.

Brandendo quell'arma improvvisata, iniziò a colpire il volto di August con rabbia, mentre lacrime salate scendevano dai suoi occhi e schizzi di sangue macchiavano i vestiti ed il viso. Per ogni affondo, un conato minacciava di colpirlo per quanto ribrezzo provasse. 

«Non mi devi toccare, porco!» gli urlò tra le lacrime, dandogli un altro colpo, stavolta diretto alla fronte. Si fermò poco dopo perchè lui non era un assassino e mai avrebbe voluto sporcarsi le mani del sangue di colui che lo aveva violentato per anni. Gli bastò stordirlo abbastanza da tastare il corpo di cui gli faceva schifo ogni singolo poro per trovare la chiave della sua stanza. 

Corse verso la porta tastandosi il fianco dolorante e pulsante e come la aprì, si catapultò fuori per correre via il prima possibile dalla stanza degli orrori.

JK corse.

JK corse a perdifiato, corse anche se le lacrime gli stavano annebbiando la vista, anche se era a piedi nudi e sporco di sangue, anche se il fianco gli spediva dolorose saette ad ogni passo, anche se la sua schiena era trafitta da mille aghi e lame appuntite. Corse perchè se si fosse fermato, se avesse guardato indietro e visto quella figura alle calcagna che cercava di averlo ancora, allora sarebbe stata la sua fine. 

Doveva andare dall'altro uomo che poteva essere definito tale solo per appartenenza biologica e non per atti, colui che JK considerava solo un burbero coglione, e scartò sulla sinistra mentre lo scalpitio dei suoi passi contro il pavimento annunciava il suo passaggio a quelle pareti mute e stanze vuote.

Si lanciò letteralmente contro la porta della camera del re, spalancandola con il fiato corto. 

Le gambe per poco non gli cedettero ma il loro tremore era visibile, quindi si aggrappò alla maniglia, esclamando un «Jeon! Svegliati! Jeon!» che si udì perfino nel corridoio. 

La luce dell'abatjour si accese istantaneamente ed un attonito e sconvolto re Jeon scattò seduto sul suo letto, guardando per intero suo figlio con la bocca schiusa dalla sorpresa ed occhi assolutamente increduli. 

Suo figlio Jungkook era ricoperto di macchie e schizzi di sangue, delle lacrime continuavano a cadere dai suoi occhi, il moccio era scivolato dal naso e veniva spazzato via dalla manica contro cui strofinava, le mani gli tremavano vistosamente e a malapena si teneva in piedi.

A ricambiare il suo sguardo, quello allarmato e determinato di suo figlio. 

Quest'ultimo particolare lo atterrì forse più del resto, per cui si scoprì e si mise seduto, passandosi una mano sugli occhi per assicurarsi che avesse visto bene. 

«Jeon, per favore, credimi! August è entrato di nuovo in camera mia, ha provato a toccarmi come ha fatto le altre volte e adesso giace sul pavimento della mia stanza perché mi sono difeso. Per favore, credimi, sto dicendo la verità! Non avrei motivo di mentire, non sto mentendo, lui vuole ancora me! Vuole toccarmi in quel modo schifoso!» esclamò JK che, nella furia di essere ascoltato e preso sul serio, nel desiderio di essere creduto per poter avere il riscatto che meritava, si dimenticò che non solamente Jungkook balbettasse, ma che non guardasse mai nessuno negli occhi.

E che non lo chiamasse per nome.

Come invece stava facendo lui. 

Re Jeon ammutolì e lo scrutò per un lungo istante, battendo diverse volte le palpebre per quel cambio di atteggiamento così repentino e netto da sembrargli quasi un miraggio.

«Jungkook? Cosa...Non balbetti». 

JK fu tentato di prenderlo a schiaffi. 

Di tutto il discorso, l'unica cosa che quel mentecatto aveva notato era che non balbettasse? Chi se ne fregava che non stesse balbettando?

«Ma mi hai sentito o devo stapparti le orecchie? Quel viscido ha provato a toccarmi!» ripetè in un lampo di rabbia, salvo poi assimilare le parole dette e sgranare gli occhi. 

Imprecò sonoramente davanti al volto sempre più esterrefatto del re, il cui sgomento era tale da farlo sentire quasi catapultato in un altro mondo. Guardò con stupore crescente Jungkook annuire ed indicare la porta con la mano tremante, abbassando poi gli occhi sui suoi piedi.

Merda, si era dimenticato di agire come Jungkook, non era da lui farlo ma l'ansia e l'adrenalina erano state così forti da fargli dimenticare perfino come si respirava. Non era da lui dimenticarsi quei dettagli così importanti, perchè lui agiva sempre come Jungkook -solo un po' più sfacciatamente- ma non aveva mai palesato in quel modo la sua presenza.

«Q-quell'uomo ha provato a farmi del male» ripetè con tono più pacato e basso, perfettamente identico a quello che utilizzava Jungkook. Solo un po' più...fermo?

Il re si alzò di scatto e chiamò a gran voce le guardie, ordinando di andare nella camera privata del principe a riprova delle sue parole. La bocca si schiuse in una smorfia sbigottita alla vista del volto tumefatto di August e di come il suo corpo privo di sensi venisse trascinato verso di loro. 

In quel momento, capì di aver fallito. 

Di aver fallito come padre e di aver dato prova a Yumyeon che era davvero un buono a nulla. 

O forse no.

Perchè lui poteva aver fallito, però qualcosa in Jungkook aveva funzionato. 

Guardò meravigliato gli occhi sprezzanti di suo figlio seguire con soddisfazione e rigidità August venire portato via e quel temperamento fiero, quella posa da vero principe, quella posa austera...

Quello era suo figlio.

Ma non era Jungkook. 


.................... 


Jungkook 16 anni


Si guardò furtivamente intorno, ispezionando lo spazio per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Nascose meglio sotto la sottile giacca ciò che aveva portato con sé in quell'occasione, tanto agognata quanto attesa, ed entrò nelle scuderie con un sorriso che divenne via via sempre più ampio. Le labbra si mossero come se avessero preso vita propria, scoprirono i denti fino a che gli zigomi non si issarono completamente e gli occhi gli si corrugarono ai lati, socchiudendosi. 

Quella sera si sentiva felice. Era finalmente riuscito ad eludere la sorveglianza della servitù, dello stuolo di insegnanti che gli ronzavano costantemente intorno e dei consiglieri di suo padre, per fiondarsi nello stallo che conteneva Furia. E, doveva ammetterlo, era felice perchè quella mattina aveva, per la prima volta, ricevuto uno sguardo di apprezzamento ed approvazione verso la sua persona da parte di suo padre, e si era convinto che -se avesse continuato su quella strada- ce l'avrebbe fatta a guadagnarsi il suo rispetto. 

Durante una delle sue prime partecipazioni ad un congresso reale aveva posto domande pertinenti, aveva mostrato interesse e curiosità proprio come gli era sempre stato consigliato e sì, assolutamente e rigorosamente sì, era felice. Sarebbe stato sicuramente un buon principe e poi un buon re, doveva solamente capire chi vedesse al suo fianco nei panni di regnante.

Chissà se suo padre aveva già in mente chi dargli in sposo. Non che avesse intenzione di sposarsi tanto presto -era fin troppo giovane per prendere in considerazione l'idea- però spesso si era ritrovato a rimuginare sulla sua vita; ne aveva anche parlato un po' con JK e Kookie ed erano tutti convenuti che gli sarebbe piaciuto condividere la vita con qualcun altro. Qualcuno con cui poter parlare dei suoi interessi, qualcuno gentile abbastanza da avere pazienza, magari anche qualcuno che gli dicesse che non era male, che lo trovava interessante pur il suo essere fin troppo comune per certi versi e fin troppo poco comune per altri.

Anche solo platonicamente, qualcuno disposto ad assecondare le sue stranezze c'era sicuramente in quel mondo, no? Qualcuno che -magari- accettasse il fatto che non fosse solo Jungkook, ma che anche JK e Kookie facessero parte del pacchetto e che, magari, anche se poteva sembrare un po' caotico, un po' confuso...sarebbe andato tutto bene.

Sorrise tra sé alla determinazione che gli avvolgeva il cuore perchè non aveva intenzione di fare la stessa fine di suo padre, non sarebbe rimasto per sempre in un angolo ad attendere che il tempo scorresse, o a cercare un amore che -forse- non era mai sbocciato. No, lui avrebbe mostrato che non tutto era perduto.

«F-Furia!», esclamò con una contentezza incontenibile, correndo incontro al cavallo. Aprì lo stallo con velocità e abbracciò l'animale per il collo, dandogli piccoli baci sul manto rasato e curato. Strofinò il naso più volto contro il muscolo della guancia pronunciata dell'animale e lo carezzò diverse volte con occhi adoranti e cuore colmo di gioia. 

«S-sono c-c-—», Jungkook strinse gli occhi e si concentrò sulle parole, «C-contento di v-vedere che ti sia r-ripresa, lo s-sai?» riuscì a dirgli infine, contento di essere riuscito a fare un discorso di senso compiuto. «E-eravamo p-p-preoccupatissimi» gli sussurrò a mo' di segreto, passando il palmo della mano sul muso. Furia sbuffò appena e spinse la testa contro la sua mano, facendolo sorridere apertamente. 

«L-lo s-so. A-a-anche a m-me s-sei mancata. S-scusami» gli mormorò dandogli un altro bacio, allisciando con cura la sua criniera. Fece un giro intorno a Furia per sincerarsi che si fosse ripresa del tutto; la preoccupazione nei confronti di quel cavallo li aveva tenuti svegli per notti intere, erano tutti preoccupati che non si sarebbe ripresa dall'ingestione di strane erbe che nessuno gli aveva mai somministrato. Aveva pregato giorno e notte affinchè si riprendesse, e vederla finalmente stare bene era la sua gioia più gande.

Jungkook si frugò nelle tasche interne della giacca e un rossore contento gli colorò le guance come percepì la superficie rugosa della bacca allungata e raggrinzita per l'essicazione. Tirò fuori un mazzetto di carrube e lo sventolò davanti Furia, ridacchiando, «G-Guarda che t-ti ho p-portato!» trillò, sfilandone una e guardando con soddisfazione il suo cavallo gustarsele.

«Guarda che coincidenza...sapevo ti avrei trovato qui, principe». 

Una seconda voce si aggiunse alla sua, improvvisa ed inaspettata.

La presa sulle carrube si perse e queste atterrarono scompostamente sulla paglia ai suoi piedi, Jungkook batté velocemente le palpebre credendo di aver udito male. Si voltò di scatto e si affacciò appena dallo stallo, aggrottando le sopracciglia perchè non c'era effettivamente nessuno, a parte lui. 

Se l'era forse immaginato?

«Da questa parte, Kook». 

Il cuore gli affondò nello stomaco e fece istintivamente un passo indietro, sgranando inverosimilmente gli occhi alla vista di chi si era annunciato prima solo con la voce e che adesso, invece, aveva palesato la sua presenza fisica facendo un passo per entrare nella scuderia.

Richiuse lo stallo in cui era contenuta Furia, in un istinto protettivo nei confronti di quell'essere vivente che era tutta la sua vita e che non poteva rischiare che gli venisse fatto del male, ma si schiacciò con la schiena contro il legno dello stallo, sentendo il sangue defluire dal volto e gelare nelle vene. 

«A-August?» mimò, non riuscendo a tirare fuori la voce.

No, non era possibile.

Quello era un incubo, era un incubo da cui si sarebbe risvegliato perchè non era possibile, August era stato mandato via, era stato mandato lontano, allontanato, era stato cacciato dalla corte, era—

Il singulto spaventato tranciò di netto i suoi pensieri perchè non riusciva più nemmeno a concepirli, non c'era alcun pensiero coerente a dare un senso a ciò che stava succedendo, non c'era nulla che riuscisse a spiegare perchè lui era lì.

«C-cosa c-ci fai q-qui? C-chi ti ha f-fatto e-entrare?» provò a dire, posando i palmi delle mani sulla superficie legnosa dietro di lui. Li allargò per trovarvi sostegno ma quelli avevano iniziato a sudare e la presa non era ferma e solida abbastanza da mantenerlo ancora in piedi per molto. 

August ridacchiò sommessamente e scosse la testa, facendo un passo verso di lui.

«Adesso non si usano più gli onorifici? Solo perché adesso sei più grande rispetto a qualche anno fa, non significa mica che possa mancarmi di rispetto» asserì quello con un piccolo sorriso, gli occhi illuminati da qualcosa di più sinistro, un divertimento intrinseco a velare le sue parole. 

«O che non possa più piacermi...Certo, ti preferivo più gracilino, ma sei comunque appetibile» continuò, lasciando vagare lo sguardo lungo il suo corpo. Il tono viscido, le parole sussurrate, quel bagliore di desiderio che Jungkook ricordava di aver visto una delle prime volte che si era accorto che c'era un qualcosa di inquietante nel suo insegnante, tutto gli strisciò addosso nel modo più disgustoso e subdolo che uno sguardo poteva fare. 

Jungkook schiuse le labbra per parlare, per dire qualcosa, ma le corde vocali non stavano funzionando e, anzi, le parole si erano incastrate in fili invisibili come insetti in una ragnatela. 

«N-non ti a-avvicinare» cercò di intimargli con tono fermo, anche se sentiva le ginocchia molli, una nausea difficile da gestire ed una paura quasi irrazionale. 

«Altrimenti? Cosa mi fai? Abbiamo un conto in sospeso, che io sono venuto a saldare» pronunciò August, leccandosi le labbra. 

Jungkook strizzò gli occhi e prese un respiro spezzato. «N-non farlo. N-non ti avvicinare!», lo aveva quasi urlato, e aveva sperato che quello bastasse a fermarlo perchè lui non era più un bambino! Non poteva più disporre di lui come volesse, non poteva più ferirli come faceva in passato, non poteva perchè lui non doveva intaccare la felicità che -finalmente- avevano trovato. 

Lui non doveva esistere.

E come una mano gli afferrò il volto per stringerlo tra le dita fino a quasi far male, Jungkook non seppe esattamente cosa successe, non seppe spiegarsi cosa scattò in lui, cosa avesse fatto. 

Seppe solamente che, una volta presa nuovamente coscienza della realtà, si era ritrovato con in mano una falcetta mieti grano dalla cui lama ricurva e splendente gocciolava quello che ci impiegò qualche secondo a processare come sangue. Rosso, denso, scuro, lucido e corposo, colava in rivoli lungo il manico, creava macchie scure sul pavimento terroso e gli imbrattava le mani, la camicia, le gambe e le braccia. 

Lasciò di scatto l'arma come se scottasse, cadendo poi all'indietro mentre guardava orripilato il corpo senza vita, mutilato e riverso al suolo di August. 

Scivolò freneticamente sul sedere facendo leva sui talloni, sentendo la bile risalire in gola, così prepotente che si voltò di lato giusto in tempo per rimettere ciò che aveva mangiato per cena; i violenti spasmi dello stomaco gli scuotevano le spalle, e alcune lacrime scivolarono dai suoi occhi per lo sforzo. 

JK! JK, ti prego, aiutami! I-io...JK! chiamò, in tono così disperato e terrorizzato che, non appena il suo stomaco decise di averne avuto abbastanza, strisciò nell'angolo più lontano da quel corpo, da quella cosa che portava il nome di August.

Jungkook? Che sta succedendo? Che ti prende? la voce di JK lo fece singhiozzare e si portò una mano sporca di sangue alla bocca, lasciandosi andare ad un pianto disperato che si arrestò solo nel momento in cui JK riuscì, a fatica, a farlo dissociare con lui. 

Gli occhi di JK si prosciugarono e la gola si seccò come vide ciò che, a pochi metri da lui, giaceva al suolo privo di vita ed il cui sangue creava una pozza scura e densa. L'odore ferruginoso e salato gli arrivo in nauseanti vampate e boccheggiò, guardando le sue mani con orrore crescente. 

Jungkook! Cosa diamine è successo? Che ci fa qui?! T-tu lo hai ucciso?! gli urlò JK, anche se non si aspettava una reale risposta perchè c'era poco da dire.

JK si diede qualche schiaffo per riprendersi e agì senza pensarci, portandosi dietro quell'orrendo cadavere il cui volto era sfigurato e lo trascinò via, grugnendo e stringendo i denti mentre lo spostava con un'espressione disgustata sul viso -più per la necessità di toccare quell'ammasso di carne che per lo scempio che gli era capitato- e lo trasportò giusto quel tanto che bastava per arrivare alla staccionata del porcile. 

Lo spinse nel fango con tutta la forza che aveva, guardando con disgusto e sdegno quel corpo venire macchiato almeno con la stessa fanghiglia con cui aveva insudiciato anche lui negli anni.

«Hai avuto la fine che meritavi. Cibo per maiali».


.................... 


«Sei stato tu?» tuonò suo padre all'indomani della scoperta del corpo senza vita di August, sbattendo un pugno contro la scrivania.

Ritrovato dalla servitù, tutti gli occhi si erano puntati immediatamente su Jungkook, il cui sguardo spaurito ed incredulo guardava quello stuolo di persone in camice bianco, di consiglieri vestiti con abiti scuri e sguardi indagatori...

E quello di suo padre, colui che avrebbe voluto -più di ogni altra cosa- vedere orgoglioso di lui che lo stava accusando. 

«N-no, io n-non so cosa—» farfugliò, non sapendo neanche cosa dire. Le guance paonazze, le orecchie bollenti e gli occhi allargati e spauriti, sobbalzò all'ennesimo pugno che si abbattè contro il legno noce della scrivania. 

«Figurarsi che riesco ad avere una risposta senza il tuo imbarazzante balbettio!» gli urlò incollerito il re, non controllando la sua rabbia nonostante stesse cercando di mantenersi stretto.

«Fammi parlare con lui» abbaiò, carico di collera repressa.

«V-volete parlare c-con JK?» chiese Jungkook, lottando contro le lacrime che stavano per scivolargli sulle guance perchè sapeva fin dal principio che suo padre non voleva parlare con lui. Che non voleva lui e basta, semplicemente. 

Lo sapeva e anche se gli risultava difficile accettarlo, non era colpa di JK se suo padre lo preferiva. 

«Muoviti! Fai questo giochetto da fenomeno di baraccone quale sei» sibilò re Jeon, il volto rosso dalla rabbia. 

JK...nostro p-padre p-preferisce parlare con te.

Cosa? Io non ho fatto niente, Jungkook! Io non so nemmeno perchè August fosse lì! 

Re Jeon si voltò e bastò un -letterale- schiocco di dita perchè delle mani si stringessero alle sue braccia; ignorati i suoi sussulti ed il suo andare in iperventilazione a causa del contatto diretto con qualcuno senza che potesse controllarlo, attesero come se fosse una sorta di spettacolo il suo dissociarsi. 

Fu la più lenta, dolorosa, sofferta e tortuosa dissociazione che, sia Jungkook che JK, avessero mai sperimentato in più di otto anni di convivenza, e quando JK si accorse di essere tenuto stretto, strattonò le braccia con furia nonostante la spossatezza ed il terribile dolore alle tempie.

«Lasciatemi! Io non ho fatto niente!» urlò, fulminandoli con gli occhi carichi di rabbia. 

«Lasciatelo».

JK guardò verso il re con confusione e sgomento. «Cosa diamine vuoi? Io non ho fatto niente». 

Re Jeon fece un'espressione sapiente. «So che sei stato tu, JK. So che l'hai ucciso tu».

JK sentì il mondo crollargli addosso e spalancò la bocca almeno tanto quanto gli occhi. «Cosa non è chiaro del "non ho fatto niente"? Non sapevo nemmeno che fosse tornato!».

«Nonostante questo ti renda un vero erede di questa casata, la tua azione non resterà impunita».

JK aveva spalancato gli occhi e si era dimenato, ma a nulla erano valsi i suoi discorsi perchè le ultime parole che aveva sentito prima che un pizzicore doloroso si piazzasse sul suo collo avevano fatto più male.

«Jungkook ha confermato».

E le sue palpebre si chiusero con il pensiero di essere stato tradito. 















✁✁✁✁✁✁✁✁✁

NDA:  Nihao a tutti e buon venerdì♡

Essendo un capitolo da novemila parole non la farò molto lunga, anche perchè credo che sia stato abbastanza pesante. 
Per me lo è stato quando sono dovuta entrare, anche solamente per pochi passaggi, nella mente di un pedofilo. Penso sia una delle cose più rivoltanti che abbia mai fatto nella vita. (e badate che io ho infilato le mani dentro l'acqua del water di un autogrill-non chiedete, it'a very long -and sad- story)

Doloroso, invece, è stato leggere le testimonianze di vittime di abusi sessuali. Altrettanto doloroso è stato sentire i loro discorsi. 

Irritante, è stato leggere i commenti sotto le suddette testimonianze (ma anche sotto qualche storia che tratta la stessa tematica qui riportata) del tipo "io gli avrei dato un calcio lì/ io avrei fatto quello/ io avrei sicuramente fatto così/ma perchè non facevi questo/ma perchè non lo dicevi a xx". Guess what?

No

Tra quei commenti, che volevano dimostrare di avere il coraggio ed il temperamento sufficienti ad affrontare questo tipo di violenze, non ho letto nessuno sprazzo di coraggio, di valorosità né tantomeno di bravura. Nessun barlume è pervenuto da tali animi nobili e spargitori di sapere, nessuna mente eccelsa ha illuminato il mio povero e ristretto cervello bacato, nessun Prometeo dei tempi moderni mi ha trasmesso la fiamma del sapere. 

Non è un caso che molti dei sopravvissuti a questi abusi, siano portati a pensare "se fossi stata/o più coraggiosa/o, avrei posto fine a tutto". 

Non si fronteggia la paura con il coraggio, si diventa coraggiosi perchè si affrontano le paure. Quindi, pace e amore a tutti ma invito tali menti ad aprirsi come un avocado maturo per farsi raccogliere dal cucchiaio -che è il buonsenso. 

Comunque, a parte queste mie pare mentalici sono UN SACCO di elementi qui -o spunti- che potete legare a tutto ciò che è stato detto in passato e a tutte le vicende intercorse. Ce ne sono così tanti che mi sono fatta la scaletta lol 

Un dettaglio, tra tutti, mi preme sottolineare: non è chiaro come sia morto August, no? Non è stato descritto cosa, non è stato descritto chi nè come ci si è arrivati. 
E' stato assolutamente voluto, per due motivi principali:

1) perchè alla trama non avrebbe apportato qualcosa di più;

2) perchè, a prescindere, Jungkook/JK/Kookie sono le vittime. Sempre. Sotto qualsiasi ottica, sotto qualsiasi punto di vista, sotto qualsiasi questione, loro sono le vittime ed io odio, odio, quando le vittime passano per i carnefici. Se avessi scritto chi lo ha ucciso, ci sarebbe stato un colpevole, e qui di colpevoli ce ne sono tanti, ma non sono di certo J/JK/KK.

Perciò, tutti hanno colpa, nessuna colpa ¯\_(ツ)_/¯

Detto questo, grazie per essere passati di qui, per aver letto e per aver avuto la pazienza di attendere l'uscita del capitolo. Capitoli come questo, mi prendono circa 5 giorni per essere editati, quindi sorry per il ritardo♡

 (Se vedete errori, segnalatemeli^^)

Alla settimana prossima♡♡♡


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