Red Lipstick | Marco Crivelli...

By gi_erree

613 10 3

Rossetto; ''Non hai mai messo il rossetto. Non perché, essendo erroneamente ritenuto un oggetto femminile, ti... More

Red Lipstick

613 10 3
By gi_erree


Buongiorno!

La storia è un'AU (Alternative universe), non ha NULLA a che fare con la realtà.
I rapporti tra i personaggi sono inventati e i loro caratteri non combaciano con la realtà.

Questo perché per me è difficile scrivere su coppie formate da persone reali, "imponendo" loro un orientamento sessuale e determinati tratti e azioni.

In sintesi: è un'AU, dove ognuno è se stesso, scritta perché mi mancava l'angst, Marco e Davide prendono bene questa storia della ship, qualora cambiassero idea la storia verrà rimossa per rispetto.

Marco e Davide sono entrambi MAGGIORENNI.

⚠️ Questa storia ha il punto di vista di Marco. Il punto di vista di Davide è contenuto in "Grey | Davide Vavalà", presente sul mio profilo ⚠️


P.S. = L'idea di partenza che ho sviluppato è nata da @doppxlg4ngxr, che me l'ha gentilmente prestata durante una delle nostre bellissime chiamate serali.


L'ascolto della canzone non è obbligatorio,
ma potrebbe rendere meglio il mood


Data di pubblicazione:
3 gennaio 2021
Parole:
4056



Non hai mai messo il rossetto.

Non perché, essendo erroneamente ritenuto un oggetto femminile, ti sentissi in imbarazzato o preso di mira.

Ma perché non sapevi come metterlo, non conoscevi la tonalità adatta a te, non ne avevi in casa.

O meglio, ne avevi e ne hai, ma tua mamma li tiene ben nascosti nel suo cassetto e a te è impedito l'accesso. Poi come glielo spieghi ad una donna come lei perché lo vuoi indossare?

Anche perché di ragioni non ce ne sarebbero in realtà. È bello, avrebbe enfatizzato le tue labbra e ti avrebbe reso più riconoscibile. Bastavano come possibili ragioni?

Forse sì, ma a lei no.

Eppure ora sei lì, seduto sul sedile posteriore della macchina di tuo padre - che anche tua madre usa - con questo fastidioso trucco appiccicoso applicato sulle labbra.

Oltre ad essere abbondante, è anche messo male, sbavato e rovinato, ma, se non fosse per il fastidio nel sentirlo quasi liquido, non avresti motivo di lamentarti.

Ti senti te stesso, ed è questo che conta:

"Vorrei solo sapere cosa diavolo ci facessi alle 2 di notte in un posto del genere?"

Commenta tuo padre arrabbiato, svegliato nel cuore della notte senza tue notizie.

Tu non parli, neanche lo guardi.

Il tuo sguardo è basso, concentrato sulle tue dita che ora senti terribilmente vuote, come se non lo fossero state per lunghi anni.

Quella sera sembra aver risvegliato qualcosa in te.

Sembra aver colmato un vuoto che non pensavi di avere, fino a quando non hai trovato chi potesse riempirlo senza sapere che fosse possibile.

La cosa peggiore è che sai che, probabilmente, è stata una casualità.

Che di occhi ne vede tanti.

Di voci ne sente altrettante.

E lo stesso numero di persone che lui vede, vedono lui.

Lo vedono in tutta la sua spensieratezza che gli anni migliori prima dell'età adulta gli stanno concedendo.

Fermo in quella sorta di tranquillità e felicità che non tutti possono vantarsi di avere.

Parlando a cuor leggero di tanti argomenti diversi che, più o meno, conosce o gli appartengono.

E tu altro non hai fatto che sederti davanti a lui e guardarlo parlare.

Non tanto sentirlo, anche se le sue parole le ricordi e i lunghi discorsi li hai seguiti.

Ma proprio osservarlo.

Osservare come distoglie lo sguardo quando si rende conto che le attenzioni che vorrebbe le sta ricevendo tutte; come le sue guance si tingano di rosso, anche se la luce necessaria per notarlo chiaramente non era sufficiente.

Poi ride, si passa la lingua sulle labbra secche, prende un bicchiere e si versa da bere, offrendotelo educatamente.

E tu lo accetti, che tu sia astemio o meno, che tu abbia sete o no.

Allunghi il bicchiere e gli dici di versare quanto desidera.

E ancora sorride e continua a parlare, mentre gira la bottiglia il necessario per fare in modo che il liquido abbandoni la bottiglia con la giusta lentezza, senza rovinare quell'atmosfera.

Riprende a parlare mentre chiude la bottiglia con il suo tappo, premendoci sopra due dita anche se la chiusura è per avvitamento e non per pressione, perché è emozionato di poter parlare a cuor leggero e ha bisogno di concentrare i movimenti su altro, sennò finirebbe per gesticolare.

Non smette di essere felice quando riprende a guardarti, mentre è il tuo sguardo a distrarsi, tracciando con gli occhi i tatuaggi che gli riempiono un braccio.

Uno solo.

L'altro è pulito, almeno fino al gomito, quanto la manica arrotolata della camicia permette di vedere.

Sali passando dalle spalle larghe, fino al collo ben definito, osservando la mascella delineata che apre un viso maturo, ma non abbastanza per l'età anagrafica che gli appartiene.

Sei tu a sorridere quando le sue dita, abbandonata la bottiglia che viene portata via da una terza persona, finiscono a giocare nervosamente con l'orecchino destro, toccando il pendente a forma di piuma, mentre la sua voce non si abbassa, continuando a raccontarti delle sue speranze interrotte e dei sogni lasciati nel cassetto.

È ironico come il tema si sia fatto più triste, ma la sua felicità non sia diminuita.

I suoi occhi brillano di una luce tutta loro e riconquistano la tua attenzione quando, con la mano libera, si stropiccia uno dei due e tu non capisci se sia il sonno a giocare con lui o un ricordo più triste degli altri ad averlo reso debole.

Lo stai ascoltando.

Stava parlando della sua infanzia, ma quando l'argomento si è spostato sulla sua adolescenza qualcosa nella sua voce si è incrinato.

È stato un secondo, poi è tornato pieno di vita, ma lo hai notato.

Il tuo sorriso si è spento sentendolo perdere la sua positività.

E il suo anche, tacendo completamente.

Lui ti guarda, la sua mano abbandona l'orecchino e ritorna riposata sul tavolo che condividete:

"Va tutto bene?"

Ti domanda con una nota di preoccupazione che non percepisci a pieno.

La realtà ti investe, e fa male.

A lui non importa davvero come tu stia.

Ora ti parla della sua vita, ma appena ti alzerai lui avrà già adocchiato un'altra persona con la quale passare quelle ore a parlare, a bere, ad arrossire e a distogliere lo sguardo.

I suoi movimenti sono calcolati, pensati, ragionati e ripetuti fino allo stremo.

Lo pagano per parlare così bene alle persone?

Parla così apertamente di suo o ha un copione alle spalle, tanta capacità di recitare e un discreto dizionario?

"Ti si è sbavata la matita, l'hai rovinata con le dita."

Gli dici, leggermente in imbarazzo, ma con tanta serietà, mascherando il fatto che tu ci stia rimanendo male per delle idee su uno sconosciuto.

Non sai il suo nome, non sai quanti anni abbia, se sia della tua città o di un'altra e ogni sera venga lì.

Lui allunga un sorriso sulle labbra e riserva lo stesso trattamento all'altro occhio, rovinando tutto.

Non te lo aspetti e la tua espressione, ne sei convinto, lo fa notare.

Riprende a ridere, divertito per il tuo viso, arriccia il naso e si porta una mano davanti alle labbra, macchiandosele con il rossetto nero che indossa, sbavandolo poco sotto queste, non facendoci troppo caso.

E tu non puoi fare altro che ammirarlo, incapace di rimanere serio e riservandogli l'ennesimo sorriso.

Invidi la sua spensieratezza, il suo essere senza regole, senza vergogna, senza paura.

Libero dagli schemi e insofferente ai giudizi.

Lo invidi tanto.

Invidi i tanti tatuaggi che immagini riempiano la pelle pallida.

Invidi gli orecchini, ben realizzati, particolari, singolari, numerosi, quando tu è tanto se ne hai uno.

Invidi gli anelli che gli decorano le mani, colorati e che rappresentano figure diverse, alcuni più grandi, altri che gli intrecciano ipnoticamente le dita.

E, soprattutto, invidi il suo trucco.

Invidi l'idea che possa indossare lo smalto sulle unghie, la matita sugli occhi e il rossetto nero che non rovina l'opera d'arte che è nel suo insieme.

Quel ragazzo è bello.

È uno dei più belli che tu abbia visto.

Ed è così libero.

Rappresenta ciò che non sei e che non potrai mai essere:

"La perfezione è noiosa e anche il trucco ordinato lo è."

Ti spiega e tu percepisci la frase a pezzi, perso com'eri nei tuoi pensieri.

Lui è gentile e dai suoi occhi trasuda tutta la sua umanità.

È uno sconosciuto, ma pare tenerci a te e alla persona che gli sei apparso.

Nuovamente la tua mente ti impedisce di fare apprezzamenti: è il suo personaggio, ne sei convinto:

"Il trucco non è roba per i maschi."

Menti e la tua voce tenta di nasconderlo.

Vuoi importi e fargli capire che non sei invidioso, che non sei debole di fronte ai suoi occhi dolci e al suo sorriso accogliente, che sembra pronto a farti entrare in un mondo che temi, ma che vorresti sentire tuo.

Lui ti guarda, per l'ennesima volta, e dalla tasca della camicia estrae una matita, sicuramente quella che si è applicata lui ore prima.

La fa girare tra le dita, incantandoti con tale gesto, per poi aprirla davanti ai suoi occhi, alzandoti il viso con questa dopo averla appoggiata sotto al tuo mento.

Ti guarda e non dice niente, ruota ancora la matita e te la porge, con la punta rivolta verso di lui, invitandoti a prenderla:

"Ti mette a disagio l'idea di truccare qualcuno?"

È un tono di sfida, ben nascosto nella sua tranquillità, quello che percepisci, accettando quella cosa e prendendo il piccolo oggetto.

Lui si sporge quel minimo, offrendoti il viso e riservandoti uno sguardo profondo e talmente espressivo da farti deglutire:

"Potrei involontariamente farti male, non ho mai truccato nessuno."

Rispondi a quel tono con tranquillità, pur accettando che, da quella sfida, non vuoi uscirci vinto, ma vincitore.

Così gli prendi il viso, alzandolo meglio verso di te, superandolo di pochi centimetri:

"Sarà interessante perdere la vista con la possibilità vederti così da vicino."

Un brivido ti attraversa la schiena, mentre lui dice quelle parole con tono volontariamente provocatorio, e tu non capisci la natura di quel fremito; lasci che ti attraversi il corpo, ma che non raggiunga le mani, entrambe che toccano, ora, la pelle pulita dell'altro.

Pensi che, in fondo, potrebbe essere divertente sperimentare quel mondo che hai sempre ammirato, trovando del fascino nel trucco su un viso maschile, incapace di poterlo realizzare su te stesso.

Avvicini la matita, dopo aver tirato il giusto la pelle dell'altro, per avere via libera:

"Davide." Parla lui, ritornando a sorridere gentilmente e stringendo poco gli occhi, con un'espressione gentile e amichevole: "Il mio nome è Davide."

E non chiede il tuo nome in cambio, nel suo tono non c'è domanda né curiosità.

C'è solo l'interesse di concludere quell'incontro nel modo più particolare possibile, che nessuno ti richiederà mai:

"Simone."

Alzi lo sguardo, stringendo i pugni e tornando alla realtà, fuori dai ricordi di quella serata:

"È stato Simone a consigliarmi quel posto. Siamo andati, abbiamo bevuto due birre e ci siamo messi a parlare, delle solite cose."

"Simone." Ripete tuo padre, mentre scuote la testa: "Non lavorava fuori città?"

"Non lo so."

Menti ed è vero, Simone ha lasciato da settimane le serate fuori per dedicarsi ad un lavoro che gli consentisse soldi sicuri, ma tu lo hai dimenticato e speri che tuo padre se la beva:

"Non lo sai? Non è un tuo amico stretto?"

"Non parliamo di lavoro quando usciamo assieme."

"E di cosa parlate?"

La domanda non ottiene risposta, perché non la vuoi dare.

In realtà tu e Simone sono settimane che non vi vedete, a malapena vi scrivete.

Per un po' il silenzio cade, poi è tuo padre a riprendere parola, come se non fosse sempre lui a iniziare i discorsi tra voi due:

"Appena torniamo a casa, quella pagliacciata che hai in faccia te la levi. Non ti farai vedere da tua madre così e io spero di non vederti mai più conciato in quel modo. Dove stai finendo lo sai solo te."

Chiudi i pugni e ti aggrappi alle tue forze per non replicare, ringraziando la stanchezza per toglierti questa capacità, continuando a tacere.

Ti appoggi al finestrino, lasciando che una mano ti sostenga il viso ed è questo gesto a farti capire che non solo le labbra sono truccate: la tua mano è leggermente nera.

Così ti strofini l'occhio che hai toccato, confermando che sì, hai del trucco anche lì.

Il tuo sguardo è confuso.

Non ricordi chi te lo abbia messo.

Anche perché non ricordi metà della serata appena vissuta.

La cosa peggiore è che realizzi di esserti come svegliato da un sogno.

Di quel ragazzo ricordi sempre meno dettagli.

Hai ripreso lucidità, ma stai perdendo la sua figura.

Ti aggrappi mentalmente a quei flash che ti rimangono, perché non lo vuoi dimenticare.

Ti passi le dita sulle labbra, esageratamente infastidito da quel rossetto abbondante che ti impasta la bocca e che percepisci anche sulla lingua.

È rosso.

Il rosso più acceso che tu abbia mai visto, anche più di quelli che indossa tua madre alle sue stupide cene e uscite di lavoro, sempre abbinato con abiti costosi e appariscenti, nel pieno del suo stile.

Tu di rossetti non ne hai. Sicuramente non te li porti in giro per indossarli a metà serata senza un apparente motivo. Non avrebbe alcun senso.

Poi un ricordo ti ritorna in mente: è stato Davide a mettertelo, su tua esplicita richiesta dopo che lui ti aveva dato il pieno consenso di avere il controllo sul suo viso e di sistemargli la matita.

Rosso.

Lui ti ha detto che tu rappresenti il rosso, dopo che avevi decretato che non ti interessasse niente di questa storia dei colori. Te l'hanno spiegata qualche mese prima. Luna e Linda te l'hanno raccontata, fissate con tutte queste ipotesi di collegamenti con colori, segni zodiacali, fiori e altre stronzate.

Tu, Simone e Giordano ci avete riso sopra, avversi a questi pensieri, mentre loro spiegavano, insistendo a volervi descrivere con i colori.

Nessuna di loro ha parlato di rosso con te, ma solo di nero, di marrone, di verde scuro. Mai un colore primario, mai un colore caldo, mai un colore così acceso e importante, predominante e riconosciuto da tutti.

Ripensarci ora, con la mente più lucida, ti fa incredibilmente piacere: nonostante tu apprezzi il nero, il rosso è molto più interessante e meno classico.

Il sorriso che ti nasce è sincero e un po' ti commuovi al pensiero che uno sconosciuto abbia visto una tale luce dentro di te, dopo le poche frasi che, ne sei convinto, gli hai concesso.

Quel momento di felicità dura poco, perché la macchina di tuo padre si ferma e ti obbliga a scendere, ordinandoti, nuovamente, di toglierti tutto quello che hai in faccia e di andare immediatamente a dormire.

Non ti opponi, né gli rispondi. Ti chiudi nel bagno vicino alla tua camera, dopo aver recuperato un pigiama, e ti prepari a sciacquarti completamente il viso, sperando che basti l'acqua a tirare via tutto.

Quando ti guardi allo specchio ti stupisci, rimanendo ad osservarti per un paio di minuti.

Non è tanto per la matita sbavata sugli occhi, che arriva a macchiarti anche la parte superiore della guancia, a causa delle tue dita, ma anche dell'incapacità di chi te l'ha messa.

Ma è sul rossetto che si ferma la tua attenzione: il tuo rossetto non è rosso come lo avevi immaginato e visto, dal momento che sulla mano hai ancora la scia del colore che ti sei tolto con fastidio.

Sopra, e anche poco fuori dalle labbra, vi è un colore nero. Un nero deturpato e non messo direttamente sulle tue labbra, sennò si vedrebbe molto di più, invece appare sbiadito, come fosse stato applicato in un secondo momento e preso dai resti di un trucco già fatto.

Non capisci.

Provi a ragionarci, a far funzionare la mente e a ricordare, ma l'unica cosa che ottieni è una fitta di mal di testa che ti obbliga a fermarti e a prenderti il viso tra le mani.

Hai davvero bevuto così tanto solo poche ore prima? Possibile che tu non sappia neanche controllarti a quest'età?

Ti critichi da solo, ma le parole sembrano le stesse di tuo padre e un po' hai paura di questa realtà, di diventare chiuso mentalmente come lui, perché il suo sguardo di ribrezzo non riesci a togliertelo dalla testa, a causa di un po' di innocente trucco sul tuo viso.

Batti i pugni sul lavandino, per poi afferrarlo come se necessitassi un punto di appoggio, riguardandoti allo specchio, sentendo le grida di tuo padre dalla sua stanza che ti ordina di muoverti e di smetterla di fare baccano alle quattro di mattina.

Respiri a fondo e cerchi di calmarti, decidendo che le domande le puoi lasciare alla mattina dopo quando sarai più lucido, meno stanco, più solo. Quando non sentirai più così chiaramente quei pochi ricordi che ti sono rimasti di quel ragazzo.

Di Davide.

Nemmeno ricordi se il tuo, di nome, glielo hai detto. Ti auguri di sì, ma è tutto sfocato nella tua mente, quindi potresti essertelo sognato, come avrebbe potuto chiedertelo lui.

Non lo sai più, ma capisci che, finire il prima possibile quella strana serata e nottata, sia la scelta migliore.

Apri l'acqua e ti sciacqui con violenza la parte superiore, fino a sentire bruciare gli occhi, ma anche fino a quando non hai la certezza che tutta quella matita nera se ne sia andata, lasciandoli liberi e al naturale, ritrovandoli come quando sei uscito di casa.

Le labbra subiscono il medesimo trattamento, anche se necessitano di più tempo, ritornando neutrali solo dopo esserti lavato persino i denti, cancellando ufficialmente l'ultima traccia di quella sera.

Hai deciso di lasciar perdere il tutto, quel ragazzo era tanto interessante, positivo e coinvolgente, ma di lui non ti è rimasto praticamente niente e, probabilmente, lui nemmeno ci ha fatto caso a te.

Avete parlato più del normale, di quello ne sei convinto, ma allo stesso tempo non vuoi dimenticare che il suo è solo un classico lavoro di intrattenimento, che quel carattere e modo di fare li ha con tutti e che non è nulla di unico o riservato a te.

Sbuffi e decidi di liberarti anche dei pantaloni e della maglietta, così da cambiarti definitivamente.

La parte sopra è la prima che rimuovi, indossando immediatamente il pigiama, e gettandola nella cesta dei panni da lavare.

Per i pantaloni la situazione è leggermente diversa: devi liberare le tasche delle cose che ci sono dentro. Estrai fazzoletti, pochi euro abbandonati, carte di caramelle e rimasugli di piccoli tovaglioli che usi nei bar. Poi le tue dita toccano qualcosa e le tue sopracciglia si inarcano.

È qualcosa di duro e dritto, oltre che sottile.

Lo estrai e lo porti davanti ai tuoi occhi, per analizzarlo, sconvolgendoti per l'ennesima volta in quella sera: è una matita, una matita per occhi. La matita per gli occhi che tu hai indossato fino a quel momento. Perché è nella tua tasca? Ciò è forse un segno che te la sia messa tu? Possibile, ma da dove arriva? Tua madre quella marca non la indossa, ne sei convinto, conosci i suoi brand di riferimento e non esce mai da quei margini.

Ennesimo flash della serata: quella matita è di Davide, gliel'hai rubata dalle tasche in un suo momento di completa distrazione.

Ennesimo flash che genera un'ennesima domanda: perché Davide era distratto e perché tu ti metti a rubare cose che non ti appartengono, né ti servono?

Non vuoi farti altre domande complicate che non avranno mai risposta, così appoggi la matita a lato del lavandino, promettendoti che il giorno dopo sparirà.

Qualcosa ancora non va. È come se mancasse qualcosa, un ricordo, un chiarimento, un pezzo di quella notte, oltre a mille altri che sembrano essere insulsi in confronto.

La tua testa sta scoppiando di dolore e di domande. Hai la disperata necessità di risposte e nessuno te le darà, devi farcela da solo.

Fai un respiro profondo e cerchi di calmarti, ti guardi allo specchio e ripeti che puoi farcela e che, se non ti muovi, tuo padre si alzerà e verrà ad urlarti contro, ed è l'ultima cosa di cui hai bisogno.

Ritorni al ricordo più chiaro che hai: Davide che ti guarda e ti dice che sei rosso, dopo aver capito che il nero non ha niente a che fare con te. Te lo dice prima di metterti il rossetto che avevi.

Cerchi di ricordarti le sue parole e ti critichi per aver accettato quel bicchiere che lui ti ha offerto, sicuramente di un qualcosa di troppo forte che, mischiato al resto, ti ha solo causato ulteriore, inutile, confusione.

Lui che ti dice di mettertelo.

Lui che ti dice che ti starebbe bene.

Lui che insiste su questo maledetto concetto.

E poi eccola, dopo minuti di ragionamento, il concetto fatidico che ti mancava, l'anello assente che collega tutta al catena, chiudendo il cerchio e completando il tutto.

L'essere se stesso almeno per una sera.

Un piacere che tu non puoi mai provare a causa di tuo padre che ti impone le sue idee e tua madre che esige e pretende normalità, classicità, noia da parte tua.

Con Davide lo hai provato.

Sei stato più te stesso in quella sera, che in vent'anni di vita chiuso in una prigione.

Lo hai ringraziato a fine serata.

In un modo tutto tuo che neanche ti riconosci.

Eccolo il ricordo che mancava, non più così tanto sfocato.

Ti ricordi di aver sentito la donna che presentava gli spettacoli, annunciare che quell'evento era giunto a termine e che gli esterni al locale era obbligati a lasciarlo.

Davide non era esterno, lavora lì e lì ci è rimasto per obbligo, ma ti ha guardato mentre eri pronto ad andartene.

Ti ha proposto di tornare, di rimanere, con le lacrime agli occhi e disperazione nella voce.

Se questo ricordo fosse tornato da solo, forse non gli sapresti dare un senso, ma non è l'unico.

Ricordi perfettamente ciò che è successo prima: tu che gli dici che il suo colore è il grigio con una tale freddezza da pentirtene tutt'ora, perché il grigio è un colore pesante, privo di senso, che neanche Luna e Linda ti hanno lontanamente affibbiato, quasi spaventate dal rischio che c'era; lui che ci rimane palesemente male e il suo sguardo cambia, chiedendoti quasi scusa per essere così grigio.

Tu che non ti dispiaci abbastanza, ma preferisci lasciarlo indietro, lì da solo, dopo aver sganciato la bomba.

Poi torni mentalmente sui tuoi passi, non gli chiedi scusa a voce, ma lo fai in altri modi: lo ringrazi per la sua pazienza, per la capacità e la comprensione mostrata nei tuoi confronti, per averti liberato dalle tue stesse catene che ti stringono il collo, le braccia e l'addome fino a farti soffocare.

Lo ringrazi a modo tuo, gli chiedi di darti un ultimo tentativo di libertà, lui accetta e tu lo baci, lasciando che i vostri colori opposti si mischino definitivamente, anche se solo per pochi minuti.

Tutto riacquista un senso in poco tempo.

Quel rossetto nero è davvero di un altro trucco e sulle tue labbra non ci è finito per caso, ma è stato voluto da entrambe le parti, chi più consapevolmente e chi meno.

La tua lingua passa sulle labbra secche e vuote da ogni trucco, riassaporando quel sapore che cerchi di ricordare con gran concentrazione.

Gli hai detto addio senza dargli il tempo di ribattere, senza darvi nemmeno il tempo di decidere, egoisticamente hai scelto per entrambi, quando lui non ti considerava un estraneo e la mano era ben tesa verso di te.

Riprendi la matita tra le mani, guardandola, convincendoti che una possibilità di ritorno ancora c'è, ma bisogna muoversi.

Per quella notte decidi di mettere da parte i tuoi pensieri e affogarli, come fai sempre.

La sera dopo però capisci che di tempo ne hai poco e devi cogliere quella palla al balzo e smettere di lasciare che tutto accada senza il tuo controllo.

La tua mano trema mentre lavora al telefono e aspetti, in attesa, temendo di aver sbagliato tutto e di aver confuso i ricordi:

"Buonasera!" Una voce squillante e femminile ti lascia senza parole, mentre cita il nome del locale che combacia perfettamente con i tuoi ricordi e ti fa collegare quel suono alla donna sul palco: "Desiderate ordinare un tavolo per una serata non ordinaria e piena di divertimento?"

Chiede, curiosa, mentre apre, probabilmente, un'agenda, pronta ad ogni proposta che potrebbe ottenere:

"Stasera..."

Inizia Marco non convinto, passandosi la lingua sulle labbra, a corto di voce e un po' spaventato:

"Stasera mi spiace, ma siamo al completo." Si scusa lei: "Però in base alle sue preferenze possiamo trovarle un tavolo libero settimana prossima, ad esempio martedì sera..."

E inizia a elencare senza fine le possibilità e le offerte che ha e il ragazzo presta più attenzione di quanto vorrebbe alle sue capacità comunicativa. Una donna così le assomiglia proprio per la sua abilità nel far apparire tutto interessante:

"In realtà." La interrompe lui a metà discorso, riprendendo la sua attenzione: "Cercavo una persona, se fosse possibile scambiare due chiacchiere al telefono o anche fisicamente ad una serata."

"Uhm... Una richiesta singolare che non sono sicura di poter accettare se proviene da uno sconosciuto. Mi scusi."

"Non sono uno sconosciuto." Insiste Marco: "Ma per lei sì. Vorrei parlare con Davide. Gli dica che lo cerca Marco. Mi chiamo Marco."

Continue Reading

You'll Also Like

5K 207 13
nessuna grande conquista è stata mai ottenuta senza affrontare dei rischi.
2.7K 147 13
Una richiesta,una promessa,una dichiarazione. -Te lo giuro Martina.Il college non ci separerà.- [...] Questo aveva detto Jorge a Martina quando li ab...
526K 18.4K 100
RICHIESTE CHIUSE! Raccolta di one-shots su My Hero Academia! Spero vi possano piacere e niente, buona lettura! Premetto che le prime one-shots della...
24.4K 1K 26
"Sceglie lei di chi essere."