L'intervista

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Emma

"Allora signorina Lisi, è pronta ad iniziare? Posso darle del tu?"

Era la prima volta che mi trovavo alle prese con un'intervista. La giornalista che mi stava davanti invece era esperta, lo si vedeva dal suo modo di stare seduta, con le spalle dritte e le gambe accavallate. Deglutii e le dissi di essere pronta, e che il tu andava benissimo.

"Partiamo dall'inizio Emma, e cioè dal giorno dell'incendio nella fabbrica dove lavorava..."

"Era il 3 novembre di due anni fa. Stavo staccando dal turno..."

Mi bloccai qualche secondo. Era la prima volta che raccontavo quella storia davanti una telecamera, e non immaginavo potesse essere così difficile.

"Ti senti bene? Vuoi un bicchiere d' acqua?"

No, non mi serviva dell'acqua. Mi serviva un po' di coraggio. Ma quello non puoi chiederlo e neppure comperarlo. Si può solo cercare dentro noi stessi. E io, volessi o meno, dovevo trovarlo. Perché era giusto che tutti sapessero la verità. Feci un respiro profondo e ripresi a parlare.

"Stavo salutando un mio collega e mi dirigevo a timbrare il cartellino d'uscita. Sentii un forte rumore, come uno scoppio. Seguirono voci concitate, e grida provenire dal piano di sotto..."

"Chiariamo a chi ci sta guardando, e che forse non ha seguito la vicenda nei mesi scorsi, che la fabbrica in cui lavorava produceva oggetti in plastica, da quelli più semplici, come bicchieri e posate usa e getta, a quelli più complessi, come il PVC, esatto?"

"Sì, esatto. Io però mi occupavo dell'imballaggio di questi prodotti, e lavoravo al piano superiore a dove si è sviluppato l'incendio"

"Quindi senti questo scoppio, e poi cosa fai?"

"Faccio quello che, con il senno di poi, sarebbe stato meglio non fare: corro di sotto, insieme ad altri del mio reparto. E finiamo all'interno di una nube di fumo nero, in cui era impossibile respirare."

Mi fermai di nuovo. Ricordare quel momento mi fece riprovare quella stessa sensazione di soffocamento di quel giorno, quando i miei polmoni chiedevano aria ma io non riuscivo a trovarne. Perché attorno non ne avevo di aria da respirare.

Aprii la bombola d'ossigeno che giaceva pesante a terra, vicina alla mia seduta, e lasciai che l'ossigeno entrasse nel mio naso attraverso il sondino che, passando dietro le orecchie, finiva attraverso due tubicini nelle mie narici. Chiusi gli occhi per un istante e sentii la mano della giornalista posarsi sul mio ginocchio.

"Sicura di stare bene? Possiamo fermarci qualche minuto, abbiamo tutto il pomeriggio a disposizione. Rilassati, nessuno giudicherà i tuoi tempi. Abbiamo degli ottimi tecnici, faranno tutti i dovuti tagli e la registrazione sarà perfetta nella messa in onda. Parla tranquillamente, senza pensare alla forma."

Era gentile. O forse doveva esserlo, faceva parte anche questo del suo lavoro, mettere a suo agio chiunque avesse di fronte. Probabilmente avrebbe preferito andare a bere qualcosa con le sue amiche, o tornare a casa dalla sua famiglia, o dal suo uomo. Invece, per guadagnarsi da vivere, doveva passare il pomeriggio ad intervistare una povera sopravvissuta che è costretta ad attaccarsi ,di tanto in tanto, ad una bombola d'ossigeno per aiutare l'unico polmone che le è rimasto a non sforzarsi troppo.

Ma non provo pena per lei. Non provo più pena per nessuno a dire il vero, e non perché sia diventata egoista e pensi solo ai miei di problemi, ma perché lascio che la vita mi scivoli addosso. Tutti, chi più chi meno, affrontiamo sfide. C'è chi le vince e chi le perde. Io credo di averla vinta, perché sono ancora qui. Perché la sorte mi ha beffata, ma non mi ha abbattuta. Se dovessi scrivere un libro, lo farei iniziare così : 'Mi chiamo Emma Lisi, e questa è la storia di come la mia vita è stata contaminata dal male'.

ContaminataWhere stories live. Discover now