Per sentirmi vivo [1/3]

220 32 42
                                    

Era arrivato il capodanno a Vancouver e ovunque si udivano i bambini gridare correndo in giro per la piazza, mentre i loro volti erano la sera accesi dal lume degli addobbi. Erano ornati i bar, questi ultimi anche pieni, soprattutto da ragazze e ragazzi sorridenti e speranzosi per l'anno nuovo. La neve aveva coperto con un sottile strato tetti, fiori e le strade.

Un ragazzo aspettava, quasi impazientemente, i suoi amici per una simpatica rimpatriata prima di andare a festeggiare in piazza. Scuoteva freneticamente una gamba e si aggiustava più volte il colletto alto del maglione scuro, in lana. Alcuni ciuffi neri, ricadenti in avanti, incorniciavano i suoi freddi occhi ora vuoti e spenti.

L'orologio segnava oltre le otto ma lui rifiutò l'idea di attendere bevendo qualcosa, per la terza volta.
Buttò lo sguardo oltre l'ampia vetrata alla sua destra, notando solo varie coppie o famiglie con bambini urlanti, senza accorgersi di fissarli con insistenza e rigetto, tanto che questi si allontanarono infastiditi immediatamente.

«Sempre quel broncio, amico» un ragazzo del gruppo lo scosse per una spalla ridendo.
Questo era ben diverso da lui, era alto e sotto al berretto copriva lunghi capelli color grano, fino alle spalle.
«Che dite di una birra?» Propose lui cercando l'approvazione negli occhi degli altri tre. Nel frattempo si grattava la barbetta e con quel semplice gesto sembrò attirare anche delle ragazze ad un tavolino non tanto lontano.

«Incredibile, Logan, siamo qui da neanche cinque minuti e guarda là? Due fantastiche signorine pronte solo per te», commentò spiritoso il terzo, un tipetto esile, forse la metà del biondo. Comparando i due a breve distanza, Logan era nettamente più grosso e alto, dal petto ampio e le spalle larghe circa il doppio dell'amico.

«Invidioso, Dumbie? Di tanta bellezza tutta racchiusa in un corpo solo?» Gli fece perfino un occhiolino di rimando.

«Oh, sì. Assolutamente», sarcastico, Dumbie lo guardò di sottecchi, in procinto di sedersi.


Passò lentamente il tempo ma il gruppo era già uscito dal bar, intento a passeggiare verso l'ampia piazza dove aspettare il conto alla rovescia.

«Andiamo, Cole, siamo usciti apposta per farti svagare e tu mi vuoi tenere quel broncio? Cosa dobbiamo fare, ti prego», per l'ennesima volta Logan richiamò Cole che non aveva accennato un sorriso da quando si erano incontrati. Solo con lui si rivolgeva in quel modo, mettendo quasi sempre in secondo luogo gli altri due compagni. Era capace di fare il muso da cane bastonato anche dopo una serie di birre, trasmettendo un misto di pena e disagio.
Camminava al suo fianco ma barcollando qua e là anche in merito al fumo e borbottando due o tre frasi sconnesse e dirette a chissà chi, mentre gli altri ridevano dietro.

«Logooo, Logo ubriaco, attenzione!» Dumbie amava stuzzicarlo costantemente, era un odio e amore reciproco.

«E anche strafatto!» Commentò esultando il quarto, Nolan, mandando giù gli ultimi sorsi di birra dalla bottiglia. Col compare scimmiottava l'altro davanti che con la sola forza divina riusciva a mettere un piede davanti l'altro senza rotolare sull'asfalto.
Nolan era simile a Cole per l'aspetto, davvero tanto se non fosse per le iridi verdi e le lentiggini sparse sul pallido viso. Anche lui era palesemente sbronzo ma non riusciva a star zitto, barcollando a sua volta e trovando sostegno in una panchina, prima di gettarsi sopra e scivolando lentamente con tutto il corpo svenendo dal sonno.

«Hey, Cole, guarda chi c'è...» Tornò a sparlare Logan osservando, con strano interesse, qualcuno alle spalle del ragazzo.
«...La tua puttanella.» Concluse ridendo come un matto e cadendo sulla panchina dopo che Dumbie - Dave Dummie - lo spinse bruscamente, schiacciando l'esile Nolan sotto di sé.

«N-non prenderlo sul serio», intervenne dubbioso Dave.

L'istinto portò Cole a girarsi notando distintamente una ragazza con i capelli castani, raccolti in uno chignon, e una lunga giacca rossa, assieme a un ragazzo. Lì avrebbe voluto tanto morire. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla coppia, osservando le effusioni che si scambiavano ignorando totalmente di star in pubblico.
Kelly Blunt, l'ex ragazza di Cole, l'aveva tradito pochi giorni prima del loro primo anniversario e lui non si era ancora ripreso totalmente.

«Non hai nulla che non va, Cole, è lei il problema. È lei la scema.» Commentò Dave schifato, affiancando l'amico. Nel suo piccolo sperava di dargli sostegno ma inconsciamente lo feriva.

Nonostante la offendessero tutti, Cole non ci riusciva. Non riusciva a pensare male, a trattarla male, anche se era tutto dannatamente evidente. L'amore mai corrisposto, il disprezzo, la noia, l'avventura. Magari lei cercava solo qualcosa che la allontanasse dalla monotonia della vita e lui non era stato in grado di offrirle questo. Ma forse neanche lui l'amava. Aveva vent'anni, sapeva appena cosa fosse l'amore, eppure... anche allora, distante da lui e vincolata a uno sconosciuto, era il centro dell'universo per Cole.

Dovette reprimere l'istinto di correrle incontro e stringerla a sé come un tempo.
Rimase solo lì a fissarla in silenzio.

«Cole, meriti di meglio».

«Ci sono ragazze molto più carine e poi tu sei un gran figo, amico».

Il suo cinismo scostava il giudizio altrui, ignorando sempre quei commenti frivoli e fuori luogo, come se mettessero facilmente a tacere ogni problema esistente.
Non aggiunse nulla e l'unica cosa che poté fare fu voltarsi, ignorare lei e andare col suo gruppo da un'altra parte.

MERCURIOWhere stories live. Discover now