Capitolo 1

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Fuma Stefan, seduto sui gradini delle scale. Fuma e guarda il mondo scorrergli davanti. “E’ strano fermarsi a guardare il mondo e sentirsi come se il cielo ti avesse lasciato cadere?” Questo si chiede, guardando come lentamente la fiamma divora quello che resta della cartina che, debolmente, avvolge il tabacco. Mette quel che resta della sua sigaretta con la cenere rivolta verso il cielo, quel cielo che è convinto lo abbia lasciato cadere, per sbaglio all’interno di uno dei suoi peggior incubi, eppure gli sembra difficile che nei sui incubi ci sia spazio per lei. Devono essere davvero dei posti orrendi, i suoi incubi, lei non avrebbe nemmeno dovuto entrarci, oppure lei c’è, come ogni mattina. La guarda Stefan, tra una cortina di fumo e l’altra, che sale dalla sigaretta. La guarda Sefan, mentre cammina, o a voler essere precisi, corre per non arrivare in ritardo in classe, cosa che non le riusce molto bene. Si alza Stefan, fa qualche passo dietro la scuola ed entra, dalla porta secondaria della palestra, l’attreversa a passo sostenuto, disattiva il piccolo allarme e apre la porta, supera gli spogliatoi, gira l’angolo e posa, pochi attimi prima di lei, la mano sulla maniglia della 5c .

“Come diavolo fai ad arrivare prima di me? Sei sempre fuori con quella dannata sigaretta.” esordisce lei, la voce melodisa, ed il sorriso sulle labbra color delle rose.

“Dannata sigaretta? Ha parlato quella che si nasconde dietro gli alberi” risponde lui, visibilmente rallegrato dalla solita routine.

“Stai zitto!” dice lei, mentre un tonfo sordo rimbomba nel corridoio. Solita pacca all’addome.

La prede sulle spalle Stefan, ride e varca la soglia della classe, come se fosse una cosa normale, certamente più normale di ciò che gli passa per la testa. "E’ strano fermarsi a guardarla e sentirsi come se il cielo l’avesse messa lì a posta?" La lascia scendere e la guarda ma non sorride più, sa che più di quello non può avere. Non c’è un perché, è così e basta. O a voler essere precisi il perché c’è ma Stafan non vuole sopperire a ciò. Il perché, quello che tutti conoscono e cercano di fargli capire si chiama Damon. Damon Salvatore, suo fratello. O almeno era ciò che diceva la documentazione. Uguali, eppure così diversi. Uno l’opposto dell’altro, perfetta convivenza. La guarda un'ultima volta e si avvia al suo posto.

“Non permetterti di darle confidenza.” gli disse un giorno, con la quiete e la calma che solo lui possedeva.

“Faccio ciò che voglio” aveva risposto, con irruenza. I loro occhi si incontrano, erba e cielo si scontrano, l’erba arde, il cielo trema.

Silenzio. E poi un rumore, qualcosa s’è rotto, un piatto in frantumi tra le mani di Stefan. Lo guarda un’ultima volta, il cielo è in tempesta. Ha paura, di nuovo e lui ha esagerato, di nuovo.

“Damon..” la voce gli muore in gola.

Lo guarda, ancora la tempesta, freme l'erba stavolta, scappa, come tutte le volte che sbaglia. Corre in giardino, enorme, ottocentesco, corre, non vuole fermarsi. E lo guarda Damon dalla parta a vetri, e Stefan li sente gli occhi su di sé. Si blocca, respira a fondo e in fine si gira. Erba e cielo, l’uno nell’altro, e passa un istante che sembra lungo una vita. Se ne torna, a passa stanco e si ferma a pochi passi dal vetro.

“Non lo farò.” sussurra, e lì ci stanno delle scuse, che preferirebbe ritirare. Si scusa, ma non lo accetta. La amano e la vogliono per se. Lo guarda ancora una volta, il cielo è calmo perchè ha vinto e lo sa. Stefan non sa cosa fare e gli da le spalle.

“Non andare.” sussurra Damon.

E Stefan si arrende, sale le piccole scale semi distrutte ma non gli risponde e sale in camera.

Ritorna con la mente in classe, il professore sta spiegando l’apparato respiratorio, si annoia. Guarda la finestra, e sia chiaro, guarda proprio la finestra. Osserva come la luce del sole ci si infrange contro, come il mare contro gli scogli, come, affinando appena lo sguardo, si riesce a scorgere l’arcobaleno. Ci vede il mondo lui, nelle striature del vetro. La voce del professore è un rumore soffuso, quasi non si sente ma sa che c'è, e tanto basta ad irritarlo. Se lo concede, si concede uno strazio al petto, la guarda ed è assurdo come non possa farne a meno, pur sapendo quanto farebbe volentieri a meno della voragine che porta nel petto. La guarda, la osserva, la studia nei minimi dettagli e sorride, di nuovo non può farne a meno. Non può farne a meno. "E' strano fermarsi a guardare il mondo e sentirsi come se non si potesse fare a meno di qualcuno, nonostante il dolore?" E quella, non la considerava una cosa strana, la trovava una cosa tanto ovvia, ma anche così terribilmente ingiusta. Ma sapeva che non doveva cedere. Non si sarebbe fatto del male, non ne avrebbe fatto a Damon. Eppure voleva farsi male, avrebbe pagato il dolore più grande per lei, tanto tutto con lei accanto diventa nullo. E si, cedere alla tentazione gli avrebbe fatto male, lo sapeva, lei amava Damon, glielo aveva perfino confidato una volta, da ubriaca e si sa "in vino veritas".

"E' inutile che ci provi Stefan, sei un bel ragazzo, ma io amo tuo fratello. E' più uguale a me, mi fa stare bene." gli disse quel giorno, dopo aver vomitato, tra le sue braccia. Dopo che lei stessa lo aveva chiamato ad aiutarla perchè era in quelle condizioni. Dopo che aveva percorso 150 km per lei, perchè si era ficcata in un pub in culo al mondo.

"Due poli uguali si respingono" gli rispose, l'ira nelle parole, il fuoco negli occhi e troppa forza nelle braccia.

"Vedi come sei? Sei troppo aggressivo." le disse, cercando di divincolarsi. "Mi stai facendo male Stefan" aggiunse. La guardò, c'era terrore nei suoi occhi.

"Elena ti prego perdonami" sussurrò mentre lentamente allentava la presa, impaurito che potesse scappare. "Ti prego perdonami, non so cosa mi succede" continuò tenendo salda, ma cercando di controllare la forza, la sua  mano, non voleva che se ne andasse.

Elena restò a guardarlo, mentre un altro Stefan si impessessava dei suoi occhi. Uno Stefan piccolo, indifeso. Stefan cadde in ginocchio ai suoi piedi, era così vulnerabile. Elena si avvicinò, ma lui scivolò indietro, nonostante la posizione a carponi, coprendosi il viso con le mani. Elena si lasciò cadere vicino a lui e, prima che potesse fare solo un passo indietro, gli avvolse le spalle con le braccia.

"Stefan, che ti succede?" e lo strinse forse tra le braccia.

Stefan l'avvolse tra le braccia, questa volta senza la minima traccia d'ira. Elena gli baciò i capelli, e lo strinse ancor più forte. Stefan alzò la testa dalla sua spalla e puntò l'erba dei suoi occhi nella terra dei suoi, e le mostrò tutto l'amore che aveva per lei. E ci vide la salvezza, Elena, in quegli occhi, e si concesse di sbagliare e di salvarsi. La guardò, Stefan, e vide qualcosa di diverso nei suoi occhi, qualcosa che non gli aveva visto mai, almeno non quando erano loro due a guardarsi.

Cedette, Elena, e lo baciò. Le loro labbra, le sue fini, e quelle di lui più carnose, più sensuali, si incontrarono. E si conobbero. Si conobbero quelle labbra, fino a poterne riconoscere il sapore tra milioni ad occhi chiusi. Ed Elena se lo concesse ancora, e iniziò a spogliarlo piano, conoscendo con le mani il suo corpo, la sua pelle. Ogni piega, cicatrice, ogni segno su di essa erano impresse nella sua pelle, le avrebbe riconosciute anche a centinaia d'anni di distanza. E se lo potè concedere anche Stefan quel premio, e le sfilò i vestiti con un'equilibrio da forza e delicatezza che nessun altro uomo con cui Elena era stata possedeva. E si conobbero nel profondo. Conobbero il respiro dell'altro, tra l'affanno, il desiderio, l'orgasmo e il pentimento per quello che stavano facendo. Ma per quanto sbagliato non riuscivano a fermarsi, si sentivano finalmente parte di qualcosa, e Stefan si sentiva messo sulla terra per il solo scopo di amarla, e ringraziava il cielo che lo aveva lasciato cadere. E in quel momento sentiva di essere caduto nel posto giusto, tra le braccia di lei, in lei, con lei. Era davvero a casa. E continuarono ad amarsi per tutta la notte, finchè esausti s'addormentarono, l'uno tra le braccia dell'altro.

Si svegliò Stefan dopo quella notte, ancora nudo tra le coperte, coperte che non erano più come la notte prima. Erano vuote, erano fredde. Cercò con le mani il suo corpo, pur sapendo che non era più lì, ma ci trovò un foglio, delicatamente posato sulla parte di letto che fino alla notte scorso aveva sostenuto il peso del loro amore. Lo prese, una delicata calligrafia riportava il destinatario "Stefan" e più sotto l'ora "9.10". guardò l'orologio, erano le due del pomeriggio. Lo aprì, poche righe.

"Mi dispiace per averti illuso Stefan, ma mi hai fatto capire di amare tuo fratello più di ogni altra cosa al mondo, scusami."

E poi la firma, che fece più male di tutto "Mai più tua, Elena."

E tutto ciò fece male, eppure sentiva che ciò che c'era scritto non corrispondeva al vero.

"E' strano fermarsi a guardare il mondo e credere che delle parole scritte stiano mentendo?"
Probabilmente era molto strano, ma nonostante questo, lui lo credeva possibile.

Chiude gli occhi Stefan, si è concesso troppo, aveva pensato. Si era ripromesso di non pensare più a quella notte, di considerarla uno dei suoi sogni perchè dopotutto quello era diventato, solo un sogno.

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⏰ Last updated: Nov 20, 2014 ⏰

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