Forse era anche per tutto quello che gli era capitato che Calum era diventato così forte e aveva bisogno di dimostrare la sua indipendenza. Ricordava che, quando capitava che i suoi genitori avessero una discussione -fatto assai raro, ma normale in tutte le famiglie e anche nella loro- Calum la portava in camera sua e la teneva stretta sotto le coperte tappandole le orecchie in modo che non potesse sentire le loro urla. Se ci pensava adesso che era più matura, intuiva che l'intento di Calum era quello di non farle credere che si sarebbero lasciati o cose del genere.

«Calum era troppo piccolo all'epoca... aveva a malapena imparato a dire mamma quando lei se ne andò. Gli dissero che era morta, su consiglio di uno psicologo. In questo modo avrebbe creduto che per lei non c'era altra possibilità, che non avrebbe potuto stare con loro. Quando poi crebbe papà decise che sarebbe stato meglio dirgli la verità, prima che potesse scoprirla in altri modi. E così... gli raccontò come erano andati i fatti. Ricordo che c'ero anche io quel giorno. Calum non disse nulla, non pianse nemmeno. Si alzò e andò in camera sua. Il giorno dopo era normale, lo stesso bambino felice di sempre. Aveva solo undici anni quando lo seppe, ma... non smise comunque di chiamare mamma la mia, cioè Alicia... anche se non lo era biologicamente. Per lui era come se lo fosse. Ed è ancora così. E per mamma Calum è come un figlio.» Ashton le sorrise, perché vederla così entusiasta era davvero un dono della natura.

«Sembri felice» mormorò, allungando una mano verso di lei.

«Oh, beh... lo sono» replicò, prendendo la mano del ragazzo sul tavolo. Lo era, giusto? Era felice... aveva una famiglia perfetta, degli amici che le volevano bene e ora aveva anche Ashton, il ragazzo dei suoi sogni.

«Bene... direi che ora è il caso che ti riporti a casa. Hai bisogno di dormire e poi...»

«No, aspetta! Non mi hai detto se tu sei felice!» lo interruppe. Maledizione alla sua curiosità... era inevitabile che glielo avrebbe chiesto. Detestava parlare solo di lei, doveva sapere anche degli altri.

Ashton le rivolse un sorriso quasi compiaciuto e si rimise a sedere, guardandola.

«Credo di sì... ho una bella vita, tanti amici... voti decenti...»

«Oh, a proposito... Luke dice che sei intelligentissimo e davvero bravo a spiegare. Sai... avrei voluto io dare ripetizioni a Luke, ma a quanto pare mi hai preceduto ed hai anche fatto un ottimo lavoro!» Sorrise e poi riprese fiato, decidendo di restare finalmente zitta. L'obiettivo era quello di fargli complimenti e lodarlo esattamente come prevedeva la famigerata terza regola di Michael, però quando era agitata cominciava a parlare a raffica come in quel caso e questo la metteva in una cattiva luce.

Ashton, dal canto suo, pensava che fosse davvero divertente quando dava di matto in quel modo. E poi gli aveva fatto un complimento, perciò non poteva far altro che sorridere. Ridley si era rivelata ancora una volta sorprendente.

«Beh... ti assicuro che dare ripetizioni a Luke non è così gratificante. Ti è andata bene ad averlo scaricato a me, credimi!» Ridley rise e allora acconsentì a farsi riportare a casa. Aveva sonno e poi verso sera sarebbe arrivata Helena.

Ashton, senza ascoltare le sue proteste, le pagò il pranzo e la accompagnò alla sua auto.

«Posso chiederti una cosa?» domandò la ragazza, appena salita in macchina. Ash annuì, sistemandosi la bandana rossa che raccoglieva i suoi riccioli disordinati sulla fronte. Ridley lo trovava maledettamente sexy quando la metteva e soprattutto quando si toccava i capelli.

«Certo, dimmi pure.» Ridley si odiava per la domanda che stava per fargli, ma, pur sapendo già la risposta, voleva accettarsi che lui fosse almeno sincero con lei. Col tempo avrebbe capito se per Ashton era davvero importante e non solo bella, per questo ora si aspettava soltanto una risposta veritiera:

Disobey.Where stories live. Discover now