Roma

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Roma, Italia – gennaio 2017

Roma sapeva essere sempre bellissima, in qualsiasi periodo dell’anno. Fu quel pensiero a svegliare il principe Alexander di Brygge, nel primo giorno del 2017; si girò nel letto, sfiorando il corpo nudo di una ragazza addormentata, poi si alzò senza far rumore e si rifugiò nel salottino della suite. Il Plaza Hotel di via del Corso forse non era l’albergo più bello e ricco della città, ma lui lo adorava e non concepiva l’idea di soggiornare altrove se si trovava da quelle parti.
Roma era ancora addormentata, ma si vedeva qualche turista sfidare il freddo insolito di quei giorni e gli spazzini intenti a liberare le strade dal caos creato dai festeggiamenti della sera prima. Aveva aspettato la mezzanotte nei fori romani, solo lui, Margherita e un paio di guardie del corpo in un luogo chiuso al pubblico, con i fuochi d’artificio che rischiaravano il cielo e le urla di festeggiamento di chi si trovava tra il Colosseo e il Circo Massimo, vicini ma non troppo da rompere l’incanto; raramente chiedeva favori per il nome che portava, ma l’antica Roma aveva sempre esercitato un fascino irresistibile per lui.
«Sei già sveglio. Non ti ho stancato abbastanza, evidentemente.»
La voce della ragazza lo fece sobbalzare. Nonostante avesse il trucco colato, i capelli raccolti disordinatamente sulla nuca e il volto sfatto di chi ha dormito appena qualche ora, Margherita era comunque bellissima. E non aveva alcun vestito a coprire le splendide forme.
«Non hai freddo?»
«Speravo ti offrissi volontario per riscaldarmi.»
Alex guardò l’orologio, mancavano ancora cinque ore al suo volo, così si alzò e assecondò i suoi desideri. «In doccia, così uniamo l’utile al dilettevole» replicò.
Conosceva Margherita da tre anni, era l’erede di una florida azienda e sua madre non mancava di ricordargli quanto la apprezzasse: era romana come lei, di ottima famiglia e con una reputazione impeccabile.
Non aveva mai davvero pensato di sposarla, sapeva che la romantica storia dei suoi genitori – che si erano innamorati e fidanzati nel giro di un’estate romana – era difficile da replicare, ma ogni volta che faceva l’amore con lei l’idea prendeva consistenza: il pensiero di svegliarsi ogni mattina con quel meraviglioso corpo al suo fianco, con i capelli scuri sparsi sul cuscino, poter baciare ogni qual volta lo desiderasse quelle labbra morbide e voluttuose…
«Mi farai impazzire» mugugnò, baciandole il collo.
Margherita rise, assecondando i suoi movimenti mentre l’acqua li sfiorava. «È esattamente quello il piano.»
Eppure in fondo lo sapeva: stare con lei era facile, ma separarsene lo era altrettanto.



Un paio di ore dopo, vestito di tutto punto, si affacciò nel salottino dove la ragazza, con ancora solo l’accappatoio addosso, era sdraiata sul divano.
«Sei pronto? Non vuoi mangiare qualcosa?»
«No, grazie. Ma tu chiama il servizio in camera, fatti portare la colazione. Cosa farai oggi?» rispose, chinandosi a baciarla e sedendosi accanto a lei.
«Pranzo con i miei, poi non so. Tu hai la cena a palazzo stasera?»
Alex annuì. «Cosa guardi?»
La ragazza voltò il tablet verso di lui, mostrandogli un video dei festeggiamenti a Times Square di poche ore prima. «Andiamo a New York il prossimo anno?»
Alex annuì, distratto.
«Questo cantante un po’ ti somiglia» commentò poi. «Se tu fossi una rock star o lui un principe, naturalmente. Però ha qualcosa che mi ricorda te.»
«Non credo proprio.»
«Ma sì. Guarda. È il ragazzo di Chloe Bennett, la modella. Ci sarà anche lei a Brygge? Mi piacerebbe conoscerla, adoro seguire le sue storie su Instagram, è davvero carina.»
Alex si sporse verso lo schermo: Chloe, in uno scintillante abito dorato, ammaliava la folla raccontando un aneddoto al microfono.
«Se continui a guardarla così potrei diventare gelosa.»
Il ragazzo si riscosse. «Che sciocchezze, Marghe» replicò, liquidando la questione con un sorriso. «È quasi mezzogiorno, è meglio che vada.»
«Vorrei venire a Brygge, per la settimana della moda» insistette.
Alex la baciò per salutarla. «C’è tempo per pensarci. Ci vediamo in estate, no? Con Eddie abbiamo ogni intenzione di fuggire in Costa Azzurra, a luglio, anche perché poi sarà un delirio. Buon anno, dolcezza.»
«Buon anno, Vostra Altezza» replicò divertita, mentre Alexander usciva dalla porta, pronto ad affrontare la giornata e il nuovo anno.
Fuori dalla suite il principe trovò Nikolaj, la sua guardia del corpo personale, insieme ad altre due che il re insisteva portasse con sé ogni volta che lasciava Brygge.
«Il conto è stato saldato?» si informò, precedendoli verso l’uscita.
Nikolaj annuì. «La macchina è fuori che ti aspetta, pronta a portarti in aeroporto. Hai dormito bene?» aggiunse poi, in tono confidenziale.
Alex scoppiò a ridere. «Poco, ma bene. Spero anche tu. Mi dispiace dover scappare, mi sarei fermato volentieri, ma se non sarò alla cena stasera potrei rischiare di essere decapitato per lesa maestà.»

***

Quando fece il suo ingresso a Kronborg Slot, il palazzo reale di Meerburg, tutto sembrava immerso in una calma insolita. Era l’unico giorno dell’anno in cui i dipendenti erano ridotti al minimo, così da garantire a tutti, o quasi, di festeggiare con i propri cari.
Quando Alex entrò nel salotto privato della regina trovò già la famiglia al completo, con i sovrani seduti su uno dei divani, intenti a chiacchierare con il duca di Feldrosen e la principessa Merisse, contessa di Leth-Thurah, fratelli del re, accompagnati dai rispettivi consorti. Si inchinò davanti a loro e poi, più familiarmente, li baciò augurando buon anno. Quando si voltò a cercare Edvard, lo trovò impegnato in una fitta conversazione con Josefien e con il loro cugino Leander, mentre suo fratello Sebastian strimpellava al pianoforte. Doveva essere tornato da Vienna da poco, perché da anni non si perdeva il concerto di Capodanno.
«Alex, bentornato!»
«Ciao, ragazzi. Leander, sono felice di trovarti. Parti domani?» chiese, riferendosi all’anno di leva obbligatoria che il cugino avrebbe iniziato il giorno dopo, come tutti i ragazzi della sua età, e che lo avrebbe reso pressoché irraggiungibile. Neppure lo status nobiliare esimeva dalle ferree regole dell’esercito: niente cellulare, niente computer, poche telefonate e rarissime occasioni per tornare a casa.
«Ci stava appunto dicendo che gli dispiace perdere la settimana della moda» si inserì Edvard. «Ma ci saranno altre occasioni, dubito che Josie si fermerà qui.»
«Assolutamente no.»
«Tesoro, sei un incanto» si inserì Alex, «mi dispiace che Gustav non ti possa vedere» aggiunse con la voce un po’ più alta, lanciando un’occhiata allo zio, che però lo ignorò ostentatamente.
Josefien sospirò. «Lascia stare, non servirà a nulla. Piuttosto, com’era Roma?»
«Bella come sempre.»
«Anche Margherita?»
«Anche Margherita» confermò. «Ho visto un po’ dei festeggiamenti a Times Square…»
La ragazza lo squadrò, risoluta. «Se pensi di darti alla macchia durante la settimana della moda, sappi che non puoi. A meno che tu non voglia morire.»
«Quindi è sicuro…»
Josefien sospirò. «È sicuro.»
Quando la porta si aprì e il maggiordomo comunicò che la cena era pronta, si misero in fila dietro gli adulti, ignorando, per una volta, l’ordine dei titoli. Alex abbracciò suo fratello, come se non lo vedesse da mesi anziché da quattro giorni; Sebastian, a ventuno anni, continuava a sembrare un folletto dei boschi, un eterno Peter Pan senza età, totalmente avulso dalle cose terrene.



La cena fu inevitabilmente elaborata: per quanto familiare, si trattava comunque di una cena di capodanno al palazzo reale, ma le chiacchiere furono frivole e leggere.
«Edvard, Alexander» il re richiamò la loro attenzione. «Il 6 mi rappresenterete alla partita di hockey per i reduci di guerra. Josie» aggiunse, e tutti sorrisero istintivamente, perché la figlia era l’unica per cui il re usasse un nomignolo, «ci sarà un rinfresco per i familiari, voglio tu sia presente. So che sei presa dalla settimana della moda, ma non dimenticare che c’è anche il resto.»
«Certamente, padre. Ma ci sarà anche Gustav.»
Re Frederik sospirò. «Mi dipingi sempre come il cattivo della situazione… sappi che lo avevo dato per scontato.»
La figlia scoppiò a ridere.



La partita di hockey del 6 gennaio era una tradizione nata dopo la seconda guerra mondiale, per onorare i reduci di guerra e le famiglie dei caduti, che ogni sovrano si assicurava di rispettare. Lo sport era da sempre considerato importante per il recupero, tanto fisico quanto psicologico, e così la partita aveva un’alta valenza simbolica.
Gustav, beniamino dei tifosi, e Edvard gareggiarono per squadre contrapposte, insieme ai figli e ai nipoti dei soldati e ad altri membri dell’élite di Brygge, mentre Josefien e Alex servivano tè e cioccolata calda e intrattenevano gli ospiti. Il giardino era illuminato da lanterne che si riflettevano sulla neve, rendendo l’atmosfera fiabesca man mano che si avvicinava la sera.
«Chi stai evitando?» chiese Edvard al cugino, raggiungendolo a fine partita, servendo ad entrambi del whisky sotto l’occhio impotente dei camerieri.
«Ross, naturalmente.»
«Ci sono asti difficili da dimenticare.»
Alex annuì. «E tu?»
«La mia quasi-forse-futura fidanzata. O meglio, lei mi sta evitando e io le sto rendendo la vita più facile.»
L’altro si voltò verso la figlia del conte di Moth, che si intratteneva poco distante con alcune delle matrone presenti; era deliziosa come sempre, con i lunghi capelli color cioccolato acconciati in alto. «Non è normale tutto questo, Eddie.»
«Lo so» replicò l’altro, senza riuscire a nascondere lo sconforto. «Ma Roma non è stata costruita in un giorno, no?»
«No, ma qualcuno ha iniziato a costruirla, ad un certo punto. Voi non ci state neanche provando.» 

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⏰ Last updated: Jun 23, 2018 ⏰

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