"NYSO"

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Aprii gli occhi, svegliato da un primo raggio di sole mattutino che mi scaldava la guancia, cercai di richiudere gli occhi implorando il giorno di darmi ancora cinque minuti ma senza riuscirci, mi tirai quindi su appoggiando la schiena contro il freddo muro alle spalle, guardai intorno e sembrava che nessuno si fosse ancora svegliato, ascoltai per un paio di secondi i respiri profondi dei miei compagni di orfanotrofio tutt'intorno, è da poco che sono in questo orfanotrofio, da un paio di giorni mi hanno trasferito per "motivi non specificati" al "NYSO", acronimo di Orfanotrofio Statale di New York, in poche parole uno schifo, siamo circa quindici ragazzi –compreso me, Thomas- disposti a letti singoli con accanto un comodino ciascuno in cui teniamo i nostri averi, che per me iniziavano e finivano con un taccuino, una matita mangiucchiata ed i vestiti che mi hanno donato all'orfanotrofio, mi alzai dal letto scricchiolante e, aprendo il primo cassetto dello scuro mobile alla mia destra, tirai fuori una semplice maglietta nera con il penoso logo dell'istituto raffigurante due bianche mani che si stringono sotto alle quattro cubitali lettere "NYSO".

Cercando di fare meno rumore possibile richiusi il cassetto ed aprii quello sottostante afferrando dei jeans blu ed una felpa grigia, indossai i primi e mi buttai in spalla la seconda, prima di andarmene a fare colazione presi anche le scarpe sotto al letto, erano malconce ma non potendo permettermi delle altre me ne sono fatto una ragione e quindi continuo ad indossare queste semplici scarpe da jogging nere.

Mi stiracchiai sbadigliando ed emettendo uno strano verso che assomigliava tanto a un –BHAAA-, m'incamminai a lunghi passi verso la porta, dopo averla aperta con cautela girai a destra del grigio e malmesso corridoio dirigendomi verso la cucina che si trovava pochi metri più in là.

Entrai nell'umida stanza e presi del pane dalla dispensa e del burro dal frigorifero ma poi ripensandoci rimisi tutto a posto uscendo dalla cucina, ripercorsi tutto il corridoio nella direzione opposta sorpassando la porta del dormitorio ed entrando in quella successiva: quella del bagno.

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Feci pochi passi prima di fermarmi davanti al lavandino e guardarmi nello specchio sovrastante, devo ammettere di essere un bel ragazzo, cioè, carino direi, vabbè lasciamo stare... comunque, ho capelli castano scuro che, se mi ricordo di farlo, devo tagliare, labbra carnose e due occhi verdi come lo smeraldo.

In realtà dimostro più anni di quanti ne ho, mi scambiano sempre per un diciottenne quando in realtà sono ancora un sedicenne, forse per il fatto che fosse un metro e ottantaquattro o forse per il volto squadrato ma di sicuro non mi dispiaceva sembrare più grande perché dopotutto aveva i suoi vantaggi.

Smisi di guardarmi imbambolato ed afferrai il mio spazzolino da denti dall'ammasso di spazzolini nel bicchiere che c'era sul lavandino, mi lavai i denti, mi sorrisi come un demente facendo l'occhiolino e mi sciacquai il viso.

Fatto ciò uscii di nuovo dal bagno proseguendo sempre a sinistra del corridoio male illuminato fino ad uscire dall' edificio, mi fermai appena uscito dalla porta per respirare l'aria mattutina e ascoltare i cinguettii degli uccelli ad occhi chiusi fino a quando il freddo non iniziò a farsi sentire svegliandomi da quel paradiso, aprii gli occhi togliendo la felpa dalla spalla ed infilando prima il braccio sinistro e poi il destro la indossai.

Presi una profonda boccata d'aria fresca ed iniziai a correre percorrendo quelle strade che ogni giorno percorrevo come da abitudine.

All'incirca dopo un centinaio di metri finiva il territorio dell'orfanotrofio delimitato da una bassa recinzione in legno scuro, senza fermarmi saltai la staccionata e continuai a correre sulla strada sterrata continuando ad inspirare ed espirare regolarmente, dopo una decina di minuti ai bordi della strada cominciavano ad apparire i primi alberi che, mano a mano, si facevano sempre più folti e numerosi fino a diventare un bosco.

Rallentai leggermente cercando il viale battuto che si addentrava nel bosco sul lato destro della strada e dopo pochi istanti lo scorsi, oramai camminando lo presi scostando i rami bassi e saltando alcune radici mentre l'odore di natura mi riempiva le narici, sentivo i ronzii delle

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api e cinguettii di uccelli mentre continuavo a percorrere il viale che così tante volte ho percorso.

Finalmente arrivai al posto che così tanto amavo, il posto dove mi rifugiavo ogni mattino o ogni momento in cui volevo stare lontano da tutti.

Più che di un posto si trattava di un piccola radura con un albero al centro di essa, un albero maestoso che si ergeva ben più in alto di qualunque altra pianta del bosco.

Mi avvicinai e accarezzai la corteccia con il palmo della mano sinistra mentre con la destra cercai già un appiglio per salire, non appena trovato iniziai ad issarmi agilmente su posizionando prima i piedi e poi spostando in su le mani per afferrare un punto più in alto salendo fino a raggiungere un incavo a "V" tra due grandi rami e sedendomi comodamente.

Da lassù potevo scorgere gli angoli più remoti del mondo, o almeno quello che credevo fosse il mondo.

Lontano, a chilometri e chilometri di distanza si scorgevano i primi palazzi della vera e propria New York, non sono mai stato a New York, per quanto fosse un mio sogno, il direttore Mcfeanny non mi ha mai permesso di visitarla anche dopo le mie multiple richieste rispondendo sempre con –non credo sia possibile Thomas, è pericoloso per te la fuori-... mettiamolo in chiaro: Mcfeanny era un tipo simpatico, come direttore di un orfanotrofio si intende, certo, ma questo direttore in particolare ci teneva a me, come il padre che non ho mai avuto, ma odiavo a volte la sua mania di protezionismo nei miei confronti... e poi cosa significa –troppo pericoloso per te...- imitai la sua voce con un verso, rimuginavo spesso a quegli ultimi eventi della mia vita: l'ingiustificato trasferimento, Mcfeanny che mi trattava come fosse un padre e quelle sue parole...

Passai il pomeriggio seduto su quell'albero fino a quando scorsi i primi raggi del tramonto primaverile e decisi di tornare a "casa".

Arrivato all'orfanotrofio salutai quello che credo si chiamasse Jhon o forse Jacob, vabbè, obsoleto, stavo dicendo: dopo averlo salutato con un cenno ed un sorriso a quarantadue denti andai alla mensa e mangiai lo stufato assieme ai miei compagni.

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Fatto ciò andai di nuovo a lavarmi i denti e dopo essermi cambiato andai a sdraiarmi addormentandomi guardando le stelle fuori dalla finestra.

Sognai di camminare per le strade notturne della città che tanto mi attirava, vedevo una moltitudine di persone camminare per le strade, vicoli e piazze, osservare le vetrine di costosi negozi o mangiare in fast-food, vedevo persone tutt'attorno ma non conoscevo alcun volto.

Sentivo mormorii e grida da ogni lato, era difficile capire qualcosa in tutta quella folla, amavo quella città senza esserci mai stato, forse per l'enormità della città stessa o forse perché mi intrigava quell' intrico di viali e strade.

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⏰ Last updated: Sep 30, 2017 ⏰

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La Leggenda dei MarchiWhere stories live. Discover now