Mainz

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25 maggio 1096, nei pressi di Magonza

Strinsi i denti, ingoiando l'ennesima provocazione.
Da oltre un mese giungevano sempre più fitte le notizie degli sporadici massacri compiuti in nome di Pietro l'Eremita, notizie che incalzavano gli animi sanguinari all'emulazione; erano sufficienti pochi giorni passati in marcia, ed ecco che la snervante iracondia dei più impazienti diventava un insopportabile cicaleccio di sottofondo.
<< Dite, quante volte l'abbiamo visto imbracciare la lancia? >>
<< Non tante quante suo padre, certamente! >>
<< E' un peccato che quel galantuomo si sia rivoltato contro chi l'aveva ordinato cavaliere, non credete? Mi chiedo se il figlio di un traditore non impari il mestiere... >>
Chiusi i pugni intorno alle briglie, facendo violenza a me stesso per ignorare quelle illazioni: nominandomi suo secondo in comando, Emich non aveva fatto altro che stuzzicare le invidie dei ribaldi prezzolati che avevano passato le loro miserabili vite a tessere le sue lodi, strisciandogli servilmente intorno e ossequiandolo per la sua intrepida decisione di conquistare il Santo Sepolcro... E fino a quel momento, che cosa mai avevamo conquistato?
Le vite di dodici ebrei a Spira.
Cinquecento anime e un palazzo vescovile a Worms.
Treviri, Colonia... Quante altre città avrebbero pagato a peso d'oro l'esenzione dalla razzia?
Sempre più simile ad un rapace assalitore, con ogni bottino Emich rifocillava le sue casse: ogni suo ordine mandava a morte centinaia di uomini disarmati, ogni sua decisione metteva in pericolo il fragile equilibrio delle nostre disorganizzate forze, composte da mercenari che usurpavano il nome di cavalieri e accusavano di fellonia chi nemmeno avevano incontrato.
<< Albrecht non si farà spogliare dall'armatura, è un cane... Fedele, voglio dire >>, rise una delle voci che continuavano a distrarmi dai miei pensieri, fastidiose. Irritanti. Irriverenti e beote, ma nonostante tutto: voci che ascoltavo, benché non valesse la pena rispondere alle loro calunnie. Voltai il mio destriero, incapace di fare finta di niente: sbarrai la strada al temerario che aveva osato parlare, zittendo la memoria degli avvertimenti che avevo ricevuto prima di partire.
"Distingui l'orgoglio dall'onore, la temerarietà dal coraggio: la virtù non sta nell'eccesso, così come non c'è viltà nella temperanza"
<< Volete giostrare con me, Siegfried? Vi avverto che mirerei alla vostra lingua, cavaliere, se solo i vermi ne avessero una... >>
<< Basta. >>
All'approssimarsi del nostro condottiero, Siegfried chinò immediatamente il capo, indirizzandomi una brevissima occhiata astiosa; incrociai lo sguardo nero di von Leiningen, sostenendone la sferza per una manciata di secondi. Poi, abbassai il viso.
Quante altre volte ancora l'avrei fatto?
Osservai di sottecchi lo stallone di Emich, la figura imponente e tracotante di chi gli montava in groppa, il piglio deciso che delineava ogni loro movimento, rimanendo mio malgrado affascinato da quell'armonica sincronia: cavallo e cavaliere erano un tutt'uno, una sola espressione di forza e volontà di comando... Erano due creature fatte per la supremazia, unite in una singola e perfetta macchina da guerra.
<< Nessuno desideri il sangue del proprio compagno crociato! Nessuno sia ostile ai propri fratelli di fede! Uniti, estirperemo dalla nostra terra cristiana la progenie degli uccisori del Nostro Redentore! Combatteremo la peggior specie d'infedeli, domani, perché Dio lo vuole! >>, tuonò, stentoreo, attirando l'attenzione di tutti i drappelli a portata d'orecchio; mano a mano che un secco ordine veniva propagandosi tra le fila dell'esercito, gli stendardi degli aquiliferi si piegarono in avanti, indicando, insieme alle lance, le porte della città.
Serrate.
Come davanti ad un nemico invasore, per ordine del vescovo di Magonza.

Albrecht von FlonheimWhere stories live. Discover now