2. Frutto proibito

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Entrai nell'aula 414 e guardando l'orologio che portavo al polso, notai - con gioia - che ero arrivata con dieci minuti di anticipo. La giornata non poteva avviarsi in un modo migliore, pensai entrando con passo svelto alla ricerca del famoso banco vicino alla finestra. Mi sedetti comodamente sulla sedia, appoggiando sopra al banco: l'astuccio con le mie migliaia di penne ed evidenziatori, il quaderno degli appunti e il libro di Letteratura.

Le voci attorno a me, degli studenti che prendevano parte ai propri banchi, sparirono nello stesso istante in cui il ragazzo della 113 apparve nella soglia della porta. Teneva la testa china e lo sguardo in direzione del cellulare che stringeva fra le mani. Indossava un pantalone da tuta grigio scuro, una maglietta a maniche lunghe del medesimo colore a fasciargli il petto e ai piedi delle scarpe sportive bianche. Niente di più semplice e niente di più misterioso, pensai dandomi mentalmente della stupida per il modo in cui lo stessi guardando. Distolsi lo sguardo, perché per qualche strano motivo mi era stato detto di non averci niente a che fare, a quanto pare 113 era una zona pericolosa alla quale non avrei dovuto oltrepassare per nessun motivo.

Scossi la testa per far smettere di dar voce ai miei pensieri, ultimamente ero abbastanza fra le nuvole. Alzai la testa solo quando vidi le scarpe bianche al mio fianco e dopo aver alzato gli occhi, lo notai in piedi intento a guardarmi. Mi si seccò la gola.

Occhi verdi nuovamente negli occhi castani.

Chiusi e riaprii le palpebre per due volte, domandandomi mentalmente perché rimanesse lì in piedi. "Sei seduta nel mio posto, potresti cortesemente scalare nel banco a fianco?" Mi sentii chiedere e intorno, notai gli sguardi degli altri alunni su di noi. Mi sfiorò allora il ricordo delle parole di Kara di qualche giorno addietro: "Lui non rivolge parola a nessuno e nessuno fra altrettanto." Avevo capito la situazione, ma tutta questa paura mi sembrava un dramma da telenovela Spagnola e a dirla tutta, non mi impauriva affatto. O almeno non eccessivamente.

"No, mi spiace." Fu la mia risposta senza fare giri di parole, distolsi gli occhi per aprire il mio quaderno degli appunti, Sullivan sarebbe arrivato a momenti.

Le voci sparirono repentinamente, fui in grado di sentire gli sguardi dei presenti schiacciarmi la schiena. Captai un sospiro, forse non era abituato a ricevere un no. "Te l'ho chiesto cortesemente." Comunicò scandendo bene l'ultima parola e allora mi chiesi se la sua cortesia nei miei confronti, fosse solo un modo per non perdere la calma davanti agli altri. In quel momento pensai che potesse scaraventarmi - insieme al banco - fuori dalla finestra, ma decisi di non pensarci. Non avevo paura di lui, nonostante il suo tono severo e lo sguardo agghiacciante mi stessero innervosendo.

"E io ti ho risposto: no, mi spiace." Mi limitai a replicare, avvicinando la sedia su cui ero seduta al banco. Gli stavo ponendo la mia posizione, lì mi ero seduta e lì sarei rimasta.

Sospirò ancora una volta frustato. "Perché?" Insistette, buttando lo zaino sopra al banco a fianco al mio, facendomi sussultare.

Eisel buona ci aveva provato con le buone maniere, ma pare che Eisel cattiva in tutto formato Tyson era pronta a parlare. "Perché questo banco non é proprietà privata di nessuno, tanto meno tua. Quindi dirmi che sono seduta al tuo posto, non mi fa una piega, credimi." Parlai con tutto il fiato che avevo fra i polmoni, sotto l'attenzione e la bocca aperta in una circonferenza dagli altri. "Puoi sederti qui." Aggiunsi indicando il banco vuoto alla mia destra, su cui mi ero seduta la volta precedente per colpa di quel ritardo. "Come puoi sederti in fondo all'aula o anche fuori dalla porta, non mi interessa. Siediti dove vuoi e per piacere non farne un dramma, che stare a dire 'Quel posto è mio' lo si faceva alle elementari. E mi pare che tu sia vaccinato e cresciuto abbastanza per fare il bambino." Conclusi sistemandomi gli occhiali che mi ricadevano nuovamente lungo il naso, forse era stata per la fretta con cui avevo parlato.

Il ragazzo della 113 | Noah CentineoWhere stories live. Discover now