Capitolo due

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Le mani tremano sulla scatola, non la reggo più e cade miseramente a terra.

<Cazzo. Mi dispiace Nevil! Sono nervosa.> E adesso lo sono il triplo, perché potrei esserle licenziata.
L'uomo con il sigaro viene verso di me, con passo lento e barcollante.
Mi guarda dall'alto, con aria minacciosa, mentre io sono china sugli oggetti frantumati.

<Chissene frega Alex! Quest'azienda fa schifo!> Dà un calcio alla scatola, la quale rotola via, infrangendosi contro il muro. Gli ultimi pezzi intatti, cadono durante la corsa della scatola, di questi rimangono solo pezzi di vetro colorati, sparsi dappertutto.

<Nevil! Ma che fai?> Scatto in piedi arrabbiata. Il mio è stato un incidente, ma lui l'ha proprio calciata, come fosse una palla da calcio.

<Questa cazzo di azienda mi sta uccidendo! Sono trent'anni che lavoro in questa fogna e nessuno mi ha mai chiesto come mi chiamo, o se sono sposato. Tu sei la prima che si ricorda il mio nome, in trent'anni di duro lavoro. Quindi fanculo!> Tira un altro calcio, ma stavolta colpisce solo l'aria.
Arrivi ad un punto, in cui la diga delle tue emozioni, non regge più. C'è un limite per tutto e probabilmente, Nevil è arrivato al massimo della sopportazione.
L'acqua scorreva così forte dentro di lui, che nemmeno una diga ben costruita, ha resistito.

<Okay, okay.> Lo afferro per le braccia allentandolo dai pacchi, mentre lui continua a scalciare, nel tentativo di rompere qualcos'altro.
Dannazione! Chissà perché, ma quando la rabbia prende il sopravvento, spaccare tutto ci fa sentire meravigliosamente meglio.
È un istinto? O più un bisogno?

Gli verso un bicchiere d'acqua e glielo porgo, battendo una pacca sulla sua spalla.
Nevil, che di moscerino non ha niente, si sente tale, di fronte all'indifferenza degli altri.
Pensa di aver dato la sua vita per quest'azienda, non si aspetta nessun riconoscimento speciale, gli basterebbe essere salutato per nome.

<Senti Nevil. Oggi è una bella giornata. Ti andrebbe di essere felice per me?> Non voglio che la mattinata inizi male, da domani potrà fare quello che gli pare, ma oggi no.

<Va bene Vause. Per cosa siamo felici?> Appoggia il bicchiere di carta sulla scrivania e si lecca le labbra, nascoste dalla barba.

Esplodo in un gran sorriso e faccio un piccolo saltello, alzandomi sulle punte per la gioia.

<Torna Piper!>

...

PIPER:

<È andata bene no?> Mi mordo le unghie, trascino il trolley dietro di me, sulla scala mobile.

<Si Piper. È andata benissimo! Sei stava fantastica.> Monica, la donna  che mi segue in ogni viaggio industriale, poggia una mano sulla mia spalla, rassicurandomi.
Dopo essere stata due settimane lontana da Alex, spero vivamente che sia servito a qualcosa e che l'azienda francese accetti.

<Piper smettila di torturarti di domande. Sei andata fortissimo. Questo era il tuo primo discorso, è normale che adesso ti senti in ansia. Ma io faccio questo lavoro da anni, sei andata bene, credimi.> Mi guarda sorridente, inclinando la testa da una parte. I lunghi capelli marroni, le ricadono su una spalla lasciando scoperte le lentiggini.

<Hai ragione.> Respiro profondamente, rilassando ogni muscolo. Se continuo a pensare a cosa avrei potuto dire, a dove ho sbagliato, se ho indossato il vestito giusto e camminato abbastanza professionalmente, su un tacco dodici che non ho mai messo...
Perderò la testa.

Devo concentrarmi su altro, distrarmi.
Alex.
Sto tornando a casa, finalmente sarà di nuovo fra le mie braccia, bacerò le sue labbra morbide e stringerò i capelli corvini tra le dita. Il suo profumo cullerà il mio sonno, portandomi solo nei sogni.
Le sue mani lisce stringeranno la mia vita, avvicinandomi al suo splendido corpo e...

<Piper!> La voce di Monica mi riporta alla realtà, ma è troppo tardi.
Mi ero talmente persa nei miei pensieri, che per un secondo ho chiuso gli occhi e credevo che Alex fosse già qui, ma invece ero su una scala mobile e adesso mi ritrovo con la faccia a terra e la valigia mezza aperta.

<Oddio, ti sei fatta male?> Monica viene verso di me, destreggiandosi splendidamente sui tacchi. Ma come fa?
Mi rimetto in piedi a fatica, noto che la valigia è  a qualche passo da me, le chiedo se può portarmela e lei acconsente.

Che mal di testa! Mi verrà un livido così grosso, che dovrò usare un intero fondotinta per coprirlo.
Monica mi avvicina la valigia, rimetto frettolosamente i vestiti all'interno e la chiudo, cambiando combinazione sul lucchetto.

<Forse è il caso di chiamare un'ambulanza.> Emette infine Monica, tirando fuori lo smartphone dalla borsa.

<No!> La interrompo subito, mettendo una mano sopra allo schermo del suo telefono, impedendole così di comporre il numero. <Sto bene.>

Le ragioni per cui non voglio andare all'ospedale sono principalmente due.
Primo, oggi rivedrò Alex e non permetterò a niente e nessuno di ritardare questo incontro.
E secondo, l'ultima volta che sono andata all'ospedale l'ho fatto per mio padre e quando si è svegliato... Quando si è svegliato... Beh, non è il caso di ricordare.

Mi muovo fra la folla velocemente, le rotelle del mio trolley fanno un rumore fastidioso che mi urta i nervi, così lo prendo in mano e faccio segno a Monica di seguirmi, la quale è rimasta ferma nel punto in cui sono caduta, nell'indecisione di chiamare o no l'ambulanza.
Alla fine rimette il telefono in borsa contrariata e mi segue.

...

ALEX:

Quando arriva? È in ritardo di cinque minuti. Porca puttana se le è successo qualcosa? Giuro che vado a sfasciare quell'azienda del cazzo!
Sarei voluta andare a prenderla io, ma Piper ha la macchina industriale, che la porta direttamente a casa.

Cammino avanti e indietro per la sala, ho le orecchie tese verso l'ingresso, aspettando solo che la serratura scatti.

<Andiamo, andiamo, andiamo...> Sussurro impaziente, strusciando i palmi delle mani l'una contro l'altra.

La porta scricchiola, mi fermo in mezzo alla stanza, voltandomi.
Dei passi familiari risuonano nel corridoio, le ruote del trolley si muovono contro il parquet e poi Piper sbuca dalla porta.

Sospiro e sorrido. Una sensazione mi attanaglia lo stomaco, la solita che fa ribollire il sangue nelle vene, o mi fa mancare l'equilibrio e i miei ginocchi diventano molli.

Piper corre verso di me, saltando fra le mie braccia. Stringe le gambe attorno alla mia schiena e immerge la testa nei miei capelli, stringendoli disperatamente fra le dita.

<Mi sei mancata.> Mormora, con la voce spezzata, per l'emozione.

<Anche tu.> Sposto i capelli biondi dalla sua spalla, lasciando scoperto il collo, per poterlo baciare.

Piper lascia la presa sulla mia schiena, ritrovandosi in piedi davanti a me.
Sfiora la mia guancia, percorrendo i miei lineamenti e soffermandosi sul mento, passando il pollice su di esso.
Infine preme le sue labbra contro le mie, facendo scivolare la mano dietro la nuca.
Passo le mani sulla sua schiena, accarezzandola dolcemente.
Averla qui, è stupendo.
Mi è mancata così tanto.
La sua assenza, rendeva assente anche me.

Adesso che è tornata, ricominceranno i guai, ma è proprio in mezzo ai problemi che noi troviamo la nostra forza.

Alex e Piper 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora