Capitolo 1

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"Signorina, anche oggi non ha parlatο, come posso aiutarla se non me lo permette?"

Mi fissa, ma io non parlo, non riesco a parlare, dovrebbe saperlo , è il mio psicologo da mesi ormai. Lui sospira e mi regala un tenero sorriso, per quanto ci provi, proprio non riesco a ricambiarlo o anche solo a esprimere le mie emozioni.

"Guardie, portatela nella sua cella, in quanto a lei, ci rivediamo lunedì."

Due enormi ragazzoni si fermano davanti a me.
Titubante mi alzo e li seguo, sanno che non devono toccarmi. Rispettano la mia scelta, purché io non combini casini. Certo, i primi giorni era difficile, impossibile, tutti ti odiavano, tutti ti fissavano come se fossi la figlia di Satana in persona, altri che cercano di sopraffatti, ma con una sola occhiataccia tornavano al loro posto.

Non avevo un aspetto molto pauroso, ma quello che metteva più ansia alle persone erano i miei occhi e il loro cambiamento, da color cielo in un nano secondo diventavano rosso scuro. Questo metteva molta soggezione alle persone che tendevano a starmi alla larga.

Comunque, ero una persona abbastanza umile, gentile e dolce, con chi lo meritava. Oppure, se ti comportavi da stronzo, diventato una vera e propria stronza, anche se per colpa delle numerose malattie sviluppate negli anni tendevo a sembrare apatica.
Non sapevo esprimermi a parole, sono muta da quando avevo dieci anni, tutta colpa di quell'infame di mio zio, subito dopo sempre per colpa sua, sono diventata afefobica, odio il contatto fisico.

All'età di tredici anni, mia madre fu uccisa davanti ai miei occhi, vi giuro, non c'è cosa più brutta, da li ho cominciato a soffrire di personalità schizoide, sono diventata emozionalmente fredda e socialmente distante. Generalmente sono concentrata sui miei pensieri e i sentimenti vengo intimorita dall'intimità con altre persone.

A quattordici anni venni accoltellata in un vicolo cieco, era notte e non potendo parlare, dovetti contare solo sulle mie forze per poter andare avanti. Diventai scotofobica, rimanere al buio sarebbe come andare in contro alla morte.

Dal mutismo derivano gli attacchi di panico, l'ansia e la paranoia.

Per il momento mi trovo Nell'Ospedale Psichiatrico Di Santa Monica, in Sicilia. Vivo in una cella di sicurezza da sola, non riuscirei a gestire qualcun'altro, mi hanno spedita qui dentro perché sono stata incolpata di omicio colposo, e costretta a venti anni di carcere, ma una volta appurata la mia infermità mentale hanno deciso che chiudermi qua dentro per un tempo non determinato bastava.

Ovviamente nessuno crede all'innocenza di una persona che non riesce a creare una frase completa, che riesce ad esprimersi solo scrivendo su dei pezzi di carta o gesticolando come una pazza. Qui, sto bene, nessun Figlio della Luna che tenta di uccidermi, in pace. Da sola. Sola. Già, una volta appura che fossi stata io ad uccidere quella ragazza, fui sbattuta qui dentro, i miei genitori non né vollero più sapere di me, non vennero nemmeno una volta a trovarmi.

Arrivo davanti alla mia cella e mi fermo, una delle due guardie tira fuori dalla tasca un mazzo di chiavi ed apre la porta. Poi si volta a fissarmi con sguardo dolce.

'' Tra poche ore il tuo nuovo compagno di cella sarà qui, sta attenta, e per qualsiasi cosa: Non esitare a chiedere.''

Vero, quasi dimenticavo che oggi la mia adorata solitudine sarebbe sparita perché il mio amabile psicologo, - datemi un martello ed una vanga, ORA!- aveva deciso che non ero più un pericolo pubblico, anzi, che mettermi in cella con un pluriomicida, bipolare e schizofrenico, fosse una cosa bellissima, e che mi avrebbe aiutato a superare le mie fobie.

Sbuffo e supero la soglia della cella, mentre alle mie spalle le sbarre si chiudono. Avanzo verso il mio letto e mi domando dove avrebbe intenzione di dormire. Vicino a me non di certo, pur a costo di dover dormire per terra, questo tizio non mi si deve avvicinare. Sospiro velocemente, ed a passo incerto mi avvino alla finestra, dove, solo per un miracolo divino riesce a passare un filo di luce, che crea uno strano gioco di ombre nella mia stanza, questo mi fa capire che sono circa le sei, e che tra poco dovrebbero accendere i neon.

Mi siedo sul bordo del letto prendendomi la testa tra le mani tirando leggermente i capelli. Le sbarre vengono aperte ed una figura a me sconosciuta viene spinta violentemente dentro la stanza, e con lui la sua roba. La sagoma ritrae un ragazzo, più o meno della mia età, che velocemente si gira verso le guardi e comincia a ringhiargli contro. Si, ringhiargli, aw, ma allora sei un cane.

Loro si girano come se niente fosse accaduto e spariscono. La figura si volta, -e finalmente- riesco a vederlo in faccia. Lui è semplicemente perfetto, bellissimo: capelli biondo-cenere e ricci incorniciano quel volto delineato e un po' spigoloso, ma perfetto; occhi verde smeraldo; spalle larghe e petto muscoloso; gambe lunghe e snelle. Era un angelo. Lui ringhia e fa un passo avanti. Non bello, forse non hai capito, stammi lontano. Mi allontano rapidamente, strisciando sul letto. I suoi occhi non lasciano mai i miei mentre fa un passo avanti. Ti prego no.

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