1 - Luci e ombre ♛

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Sapete una cosa? Chissenefrega. Voi aspettate che io pubblichi, io non vedo l'ora di farvi leggere anche questo libro: chi mi ferma?

Perciò, ciao ciao 2016. Deimon 3 inizia oggi.

Sto lavorando al cast, dato che ho trovato un tizietto niente male con le fossette (anche se io resto Team Charlie). Avrete mie notizie in merito quando avrò colorato per bene i capelli di nero C:

Detto questo, concludo. Buona lettura! ♥

Se prima la lettura di Cordelia era consigliata, ora è NECESSARIA. Altrimenti il 50% di questo libro vi sembrerà senza senso ^^

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Mi risvegliai in una cella delle segrete. Faceva molto freddo laggiù, e mi osservai intorno, confusa. Avevo indosso l'abito da sposa, ed il corpetto aveva qualche piccola macchia di sangue secco. La nuca pulsava in modo fastidioso, ma il dolore arrivò solo quando tastai dove mi avevano colpita.

Gli ultimi attimi prima di svenire tornarono a galla, e così anche il panico ed il dolore per Alexander. Cercai di muovere le sbarre e gridare, ma nulla. Lì fuori non c'era nessuno, ed io dovevo andare da lui, dargli il mio sangue - anche tutto se necessario - e rivedere quei lampi di vitalità nei suoi occhi quando lo esasperavo con la mia testardaggine.

«Fatemi uscire!», gridavo, ma oltre a me c'era silenzio, interrotto sporadicamente da qualche goccia che dal soffitto cadeva sulle fredde pietre del pavimento, rendendo l'atmosfera più vuota di quanto già non fosse.

La gola bruciava per le urla, ma non mi importava. L'avrei data volentieri in cambio, la voce, per poter superare quella grata e fiondarmi da Alexander, salvarlo.

«Hai finito?», chiese una voce ironica, e poco dopo dall'ombra comparve la figura di Adelaide.

Mi spinsi contro la grata, cercando di afferrarla, furiosa, ma lei si tenne a debita distanza.

«Ti avevo promesso una vita d'inferno, ricordi? Sono una ragazza di parola», rise in tono tranquillo, come se da qualche parte in quel castello la vita non stesse scivolando via dal corpo di Alexander.

«Ti prego», dissi, ormai con le lacrime agli occhi. «Lasciamelo salvare, e poi potrai divertirti con me per l'eternità».

Rise di nuovo, ma questa volta molto più divertita. «Salvare chi? Il tuo bell'Imperatore? È andato via da un pezzo, ormai».

Il dolore prese completamente il posto del panico. Fu come se una grossa mano scavasse un solco nel mio petto, togliendomi il cuore ed il respiro. Il muscolo continuava a battere nella gabbia toracica, ma era solo un eco di ciò che era stato. «Stai mentendo», sussurrai, nella speranza che fosse solo una bugia.

Ma i suoi occhi erano fermi, decisi, ed un sorriso soddisfatto le distorceva il volto. «Ti farei vedere il suo corpo, ma l'abbiamo buttato oltre le mura prima che cominciasse a puzzare», spiegò, godendosi la mia smorfia e le mie lacrime.

«No», singhiozzai. «No». Non poteva essere, il mondo aveva appena perso la sua ragione di esistenza. La mia vita aveva perso una motivazione per esserci. Era come se la Terra fosse scomparsa, lasciando la Luna errante per l'infinito, come avrebbe ritrovato la sua orbita? E che orbita, poi, visto che il centro di tutto non c'era più?

«Divertiti nella tua solitudine», disse spavalda, lasciandomi di nuovo sola.

Mi accasciai, piangendo. Non poteva essere morto, non poteva avermi lasciato sola. Debolmente continuavo a colpire le sbarre di ferro, mentre il freddo intorno a me diventava più pungente. Mi passarono un tozzo di pane, ma io voltai le testa, rifiutandolo. Avevo lo stomaco chiuso,e volevo restare a piangere nella mia solitudine.

Il dolore era così forte da darmi problemi a respirare regolarmente, e con le lacrime agli occhi provai anche a strapparmi le forcine dai capelli e scassinare la serratura, ma tutto fu vano.

La mia vita era appena diventata vana.

La gonna del grande vestito bianco che indossavo stava diventando scomoda, non solo perché era piuttosto pesante, ma perché era lì a ricordarmi un sogno infranto, quello di vivere per sempre con lui.

Ormai anche pensare al suo nome faceva male, ma dovevo farlo. Non potevo permettere che venisse dimenticato, che io lo dimenticassi. Avrei dato qualsiasi cosa per sentire di nuovo le sue mani strangolarmi perché non volevo dirgli dove si trovava la segreteria.

Alla fine fu la stanchezza a vincere il vuoto nel petto, e poggiai la testa sulla fredda roccia, cercando un momento di sollievo da quell'incubo ad occhi aperti.

Un rumore infernale mi riscosse non so quanto più tardi. Aprii gli occhi più per abitudine che per volontà. Di fronte a me stava Mildred, protesa verso le sbarre come se stesse assistendo ad un bello spettacolo. Quello strano suono era la sua risata distorta a causa della mancanza della lingua.

«Vattene», mugugnai, distogliendo lo sguardo.

Le risa si fecero più alte, ma non diede segno di volersi allontanare. Mi rannicchiai - gonna permettendo - e strinsi le mani sulle orecchie, cercando di non dare ascolto a quella donna che si stava beando delle mie disgrazie. Soffrivo già abbastanza da sola.

Silenzio. Alzai lo sguardo, per accertarmi se ne fosse andata, ma lei ora era seria e mi stava porgendo qualcosa. Quando vide che non mi avvicinavo, oscillò la mano come ad invitarmi a prenderlo. Sospirai e mi allungai, ma all'ultimo lei si allontanò, lasciandomi stringere tra le mani un pungo d'aria.

Quello che sarebbe dovuto essere uno sguardo furioso si rivelò solo un'occhiata sofferente. Al diavolo lei, al diavolo i Silentowl, al diavolo tutti. Volevo solo rimanere nella mia solitudine, che spesso avevo quasi venerato, ma che ora maledicevo con ogni fibra del mio essere. Come potevo essere sola, dopo aver conosciuto la sua compagnia?

Mildred agitò quello che mi stava porgendo poco prima, e riconobbi la cravatta bianca di Alexander. Era perlopiù sporca di sangue rappreso, si salvavano solo il nodo e qualche centimetro. Una fitta di dolore si fece spazio nel mio petto, mentre osservavo quell'accessorio di un sogno rubato.

«A quanto pare una delle due è di buon umore», dissi affranta, mentre lei continuava a sorridere giuliva. Non riuscivo neppure a riconoscere la mia stessa voce, aveva un tono troppo cupo per appartenermi.

Sotto il mio sguardo spento, tirò fuori un accendino e lo accese, per poi avvicinare la punta della cravatta alla fiamma.

«NO!», gridai con tutto il fiato che avevo in corpo, fiondandomi sulla grata, allungando le mani per cercare di sottrarle quel prezioso oggetto. Lei però si tenne indietro, gustandosi come le lingue di fuoco avvolgevano la cravatta, annerendola.

Le lacrime tornarono, e mi ripromisi di non aprire più gli occhi. Prima Adelaide, ora Mildred. Chiudere gli occhi nascondeva la realtà dei fatti, precludeva la mia mente al mondo. Lì, appena dietro le palpebre serrate, c'erano i miei ricordi di Alexander, che avrei custodito come il più grande dei tesori.

Probabilmente mi avrebbero tenuto lì per l'eternità, a crogiolarsi delle mie disgrazie, ed io non potevo permettermi di dimenticare il suo sorriso, i suoi pizzichi, le sue fossette.

Un singhiozzo mi riscosse, e poi un altro ed un altro ancora. Quella che era diventata la vita perfetta aveva mostrato il rovescio della medaglia, le ombre inevitabilmente create dalla luce.

Deimon 3 - La congiura del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora