Capitolo 10. Villa labirinto

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Io non ho che te, cuore della mia razza.

Salvatore Quasimodo

SIMON

Non c'è altro modo, devo combattere.

Siamo sui condotti sopra la stanza di videosorveglianza, con tutti i comandi delle varie stanze come, per esempio, chiudere le porte o spegnere le telecamere. Questa camera ci darebbe un enorme vantaggio perché comanderemmo questa fortezza che è praticamente un labirinto ricco di trappole. È buia e le uniche luci provengono dai numerosi schermi e c'è un gigantesco apparato di pulsanti che ho cercato di studiare nei dettagli, perché un minuscolo bottone potrebbe far esplodere qualcosa.

Senza dubbio è una delle più controllate, ci sono diverse guardie e non so se riuscirò a farle tutte fuori. Anche se insieme a me ho dei soldati, ma devo riuscire per forza nel mio intento. Madison sarà in pochi minuti nella stanza prefissata nella quale deve condurre gli Harrison e William Torres e poi devo disattivare le telecamere degli uffici dove i miei fratelli e la mia ragazza sono in questo momento. Se non lo faccio li vedranno, perché non questa non è l'unica stanza dei comandi, ma di sicuro è la più complessa e di rilievo. Ecco perché sono proprio qui.

Penso soprattutto a Stella, al fatto che devo proteggerla a distanza. In me scatta qualcosa, un istinto di sopravvivenza ma soprattutto protezione. Dopo ciò che è successo a Madison e Jack non riesco a non stare vicino a Stella o avere la conferma che potrebbe succedere anche alla nostra coppia. Io non do più per scontato nulla e il pensiero di vivere senza di lei o vederla come Madison ha visto Jack con dei proiettili in corpo mi causa un dolore lancinante.

No, non posso pensarci e non credo di avere tutta la forza che nasconde Madison per sopportarlo. Ma se qualcuno dei due deve morire sarò io e prendo spunto da ciò che ha fatto Jack. Se penso che io morirò e non Stella sento ancora di più forza per sacrificarmi e buttarmi lì sotto. Probabilmente con gli spari attirerò di sicuro l'attenzione di guardie fuori da qui, ma riuscirò a barricarmi in questa stanza. Spero, perlomeno.

Dunque, l'unico ostacolo è solo una quindicina di guardie.

Si può fare.

Mi giro verso i soldati dietro di me, per quanto riesco a vederli essendo piuttosto buio qui e fuori penso che ormai sia sera.

"Ascoltate, dovremo combattere. Ci siamo allenati a sufficienza e sono sicuro che potremo farcela. Non preoccupatevi di fare rumore, è inevitabile. Ho bisogno che mi coprite, in questo modo posso gestire i sistemi di sicurezza. Tutto chiaro?"

Intravedo gli occhi dei soldati, seri ma decisi. Non rispondono ma annuiscono.

Quello che posso fare è inserire i miei occhiali nella custodia, il rischio che si rompano è decisamente alto. Ultimamente non mi riconosco, mi sento più... deciso e forte.

Stella, questo è per te.

Con un calcio la grata cade e colpisce in pieno un soldato.

Io gli salto addosso dal soffitto che è più alto di tre metri e mezzo di altezza, credo di avergli fatto male. Meglio così.

Con una capriola rotolo verso dei soldati e dal pavimento con un calcio piuttosto potente mando le loro facce di merda all'indietro. Non hanno neanche il tempo di realizzare cosa sta succedendo.

E poi ho pensato una parolaccia, sto proprio diventando cattivo.

Le guardie mi raggiungono, mi alzo in piedi e sparo alla gamba di altre due davanti a me. Sento che qualcuno mi atterra e una guardia si mette a cavalcioni sopra di me. Cerca di tirarmi un pugno sul viso, lo schivo. Con una mossa di arti marziali lo prendo dalla giacca di pelle sotto il suo braccio e con un calcio lo capovolto mettendomi io sopra di lui. Gli sferro un pugno, due, tre.

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