Il miele prezioso

16 0 0
                                    

La luce attraversò le tende, colpendo i miei occhi, bruciavano per la truppa luce, mi rigirai nel letto alla ricerca di un po' di buio

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.

La luce attraversò le tende, colpendo i miei occhi, bruciavano per la truppa luce, mi rigirai nel letto alla ricerca di un po' di buio. Non volevo alzarmi, non riuscivo, non sentivo il mio corpo. Nella mia mente riaffiorarono le immagini del giorno prima: il volto addolorato di mia nonna, la torta di mele nel cestino, le carezze di mia madre. Non potevo continuare a vivere così, una sofferenza continua, che pian piano stava distruggendo la mia anima fragile. Qualcosa vicino al letto si mosse, mi alzai a sedere per vedere meglio, una piccola palla di pelo saltò sul letto miagolando. Accarezzai il grosso gattone che era vicino a me e iniziò a fare le fusa in modo dolce. "Ciao palla di pelo" dissi sorridendo, il gatto sgranchì le zampe, appallottolandosi. Mi alzai dal letto pigramente, lessi l'ora sulla sveglia "03:00". Mi voltai guardando fuori dalla finestra: "Com' è possibile? Fuori è giorno" pensai. Iniziai a sudare, non riuscivo a comprendere cosa stesse accadendo, cercai di ragionare: "Forse la sveglia è rotta? Sicuramente sarà così, può capitare" dissi ad alta voce ridendo, presi il telefono per confermare la mia teoria. Lo schermo si illuminò, rivelando l'orario.
Lessi l'ora con un nodo alla gola: "Le 03:00 del mattino".
Non riuscivo a capire, con uno scatto mi diressi verso la porta della stanza, era chiusa a chiave, cercai di forzare la porta ma fu tutto inutile, non riuscivo ad aprirla. Il gattone seguiva con lo sguardo i miei movimenti, mi inquietava, non sembrava il gatto che conoscevo. Il suo sguardo sulla mia schiena bruciava, come se mi stesse marchiando, sentivo i numeri incisi sulla mia pelle, il dolore aumentava. Mi toccai la spalla, era calda, sotto le mie dita sentì un piccolo solco. Mi avvicinai allo specchio, scoprendo la schiena, guardai il suo riflesso, sotto i miei occhi comparve un numero "002".
Una tetra risata richiamo la mia attenzione, mi voltai lentamente, tremando; il gatto era a un passo da me, rideva guardando la mia schiena. La sua testa si mosse in modo innaturale, ebbi paura, "Cos'è? Chi è realmente quel gatto?" pensai. Il gatto iniziò a parlare con una voce stridula: la sua testa girava su sé stessa; le zampe scricchiolavano, come se si stessero spezzando; la coda si muoveva come se fosse un serpente, sembrava che si stesse staccando dal corpo. Un sibilo si impadronì della stanza, era un qualcosa di acuto, forte, non si poteva annullare quel rumore.
"Ciao mio vecchio amico, ti ricordi di me? Ma ovviamente ti ricordi.
Ricordi le notti passate a piangere rinchiuso in un armadio? Sentire la tua sofferenza mi manca, i tuoi lamenti erano una dolce ninna nanna. Su torna con me, nel mondo della meraviglia. Ricordi come giocavamo con il vetro? Il tuo sangue che colava sul mio pelo, mi beavo di quel leggero calore. Dai amico mio torna. Voglio sentire ancora una volta il tuo lamento, voglio sentire ancora la tua anima che si piega dinanzi a me. Ritorna da me, bambino senza famiglia. Sai che nessuno ti vorrà realmente bene, guardati. Fai paura, sei destinato a vivere nel dolore, è la tua unica cura."
Il gatto mi guardò, deglutii, aveva ragione, non ero pronto o degno per la vita. Guardai il mio riflesso nello specchio: ero uno scheletro ambulante, il volto scavato, i pochi capelli in testa, sottolineavano maggiormente la mia magrezza.
Facevo paura, ero disgustoso. "Chi avrebbe mai amato un essere del genere?" Pensai. La stanza intorno a me si fece sempre più piccola, tutto intorno a me si sbiadì, i mobili iniziarono a marcire, una forte tanfa invase le mie narici, un conato di vomito risalì la mia gola. Tutto vorticava, non riuscivo a reggere il mio copro.
Caddi al suolo.
Il gatto fissava la mia figura, lo sentivo. Il suo sguardo scivolava sul mio corpo, scrutando ogni centimetro, sentivo la testa pesante, non riuscivo a respirare. Agonia.
Qualcosa mi tappava la bocca, mi stringeva a sé, non potevo sfuggire.
Il mio corpo si stava fondendo con il pavimento, cercai di muovermi, ma la sua presa aumentò, non esisteva alcuna salvezza.
Dolore, agonia, sofferenza.
Le forze abbandonarono il mio involucro, mi lasciai trascinare, ritornando al
mondo della meraviglia, dove la mia sofferenza avrebbe raggiunto l'apice. Non riuscivo a lottare nuovamente. Da esso, dal mondo della meraviglia, puoi scappare solo una volta, tutti lo sapevano, tutti lo urlavano e lo cantavano.

"Meraviglia. Madre eterna, non rinnegare i tuoi figli, accetta coloro che tornano a te. Colore che hanno cercato la felicità in altro, rifiutando il dolore eterno. Oh Madre, perdonali, proteggi le loro fragili anime, permettendogli di non allontanarsi più. Il sangue cola delle ferite e la nostra amata Madre le riapre, cercando di provocare un dolore sublime. Un dolore che crea dipendenza, nell'animo fragile di colore che sono destinati all'agonia eterna. Solo una volta un'anima fragile può allontanarsi dalla Madre, solo una volta potrà tornare senza trovarsi dinanzi al Padre"

Un canto delicato mi fece aprire gli occhi, la donna davanti a me portava un vestito lungo, di un bianco candido. "Forse è un angelo" pensai. Guardai l'ambiente intorno a me, era così armonioso e lucente, sembrava il paradiso. La donna continuava ad annaffiare i fiori, cercai di alzarmi, ma era come se fossi attaccato al pavimento. Alzai nuovamente gli occhi sulla donna, era girata vero di me, un sorriso inquietante era inciso sul suo volto tumefatto. Il suo vestito
iniziò a sporcarsi di sangue. Piccoli pezzi di carne caddero dal suo volto, lentamente, con un passo alla volta, si incamminò nella mia direzione. La voce della Madre interruppe quella scena: "Bambino mio sei tornato finalmente, attendevo con molta ansia questo evento".
Due braccia sollevarono il mio esile corpo, mi inchinai al cospetto della Madre, non potevo fare altro. La Madre accarezzo le mie guance, le sue unghie graffiarono il mio volo, piccole gocce di sangue bagnarono il mio petto. Respirai profondamente per reprimere il dolore, ma fu inutile, la Madre si ciba di dolore, è il suo cibo prediletto.
Delle grida, interruppero quel momento: "Fermo, Ivo, stai fermo, fermati". La
Madre trasalì, tenendomi stretto a sé: "No, il mio bambino, non puoi portare via il mio miglior miele".
"Ivo, sono io, guardami, fermati per favore", riconobbi la voce: "Nonno" pensai.
La testa faceva male, guardai il volto di mio nonno, era spaventato e preoccupato.
"Ivo, mi senti?" disse dolcemente, feci un cenno con il capo.
"Ho avuto una crisi?" sussurrai debolmente, nonno non rispose, mi abbraccio delicatamente. Guardai le mie mani, erano sporche di sangue, toccai il mio volto, un bruciore nacque sotto i miei polpastrelli che si tinsero di rosso. L'avevo rifatto, un altro taglio da aggiungere alla lista, il mio volto era pieno di cicatrici, non riuscivo a smettere. La Madre obbligava al mio copro di farlo e io non riuscivo a rinunciare a quel dolce dolore che placava la mia anima tormentata. Nonno mi pulì la ferita, cercando di essere il più delicato possibile, ci riuscì, le sue grandi mani mi trattavano come se fossi uno dei suoi fiori. Ero in pace, quando ero con lui.

 Ero in pace, quando ero con lui

Oops! This image does not follow our content guidelines. To continue publishing, please remove it or upload a different image.
You've reached the end of published parts.

⏰ Last updated: Apr 09 ⏰

Add this story to your Library to get notified about new parts!

Il dolore di un ricordo Where stories live. Discover now