– Ti ho dovuto rattoppare un'altra volta. – Anachor si sporge sopra di me. – E anche questa volta non è abbastanza. Incredibile come tu possa andare avanti a vivere così.

Gli racconto di Zteratoth senza glissare sull'enormità del mio delitto contro l'umanità, e poi dello scontro finale coi superstiti della Congregazione nella desolazione di Paxalba. Ascolta senza fiatare, adocchiando di tanto in tanto la pentola che borbotta sulla colonna pranopirica, la porta socchiusa animata da una lieve corrente, finché non mi placo e un silenzio tombale cala algido su di noi. Più doloroso di quel credessi, questo ricostruire le trame delle mie azioni mi restituisce solo un profondo senso di insoddisfazione, come se, nonostante la cruenta determinazione, tutto quello che sono riuscito a ottenere sia solo una volontà svilita dall'incapacità di superarsi, violarsi fino all'annullamento. Anzi, ora che ogni mio sforzo e atto blasfemo sono stati profanati dalle parole, vedo con chiarezza che la redenzione a lungo vagheggiata mi è inaccessibile, negata dalla natura incontrovertibile dell'universo, per cui redenzione non è altro che una parola e un fantasma invocato da esseri miserabili per convincersi di avere avuto una qualche ragione, anche quando significa solo tormento, inganno, intenzione.

– Sai già che non caverai un giudizio da me, – dice Anachor, – e ammettere che non mi pento di averti salvato è tutto quel che riceverai. Forse l'ho fatto più per la ragazzina. – Si sposta verso la colonna pranopirica per spegnerla. Alza il coperchio e dalla pentola sfugge l'odore prepotente del gulasch di yotecl. – Cosa sceglierai ora? Vivere o morire?

Mi tiro su fino a poter poggiare la schiena contro il muro dietro la branda, un sorriso stupido mi storpia i tratti. Il corpo disastrato non strepita più e mi sento nella risacca del dolore, mentre il male letale dorme subdolo nelle profondità della carne. Il profumo robusto della zuppa e gli aromi selvaggi mi spillano le parole. – Sto morendo di fame.

Anachor prepara una scodella abbondante e me la serve. – Rispondi.

I bocconi scuri e fibrosi affiorano dalla zuppa densa e fumante e il calore mi scalda la mano, le dita d'acciaio dell'altra rumoreggiano inquiete contro la latta. – Andrò a finire quel che ho iniziato.

– Se le radiazioni non ti divoreranno prima. – Ora mi fissa con quel suo occhio limpido e implacabile. – Devi andare a Logya-wu.

Gli lancio un'occhiata obliqua, poi ritorno al gulasch. – No. – Faccio per prendere una prima cucchiaiata, ma Anachor mi ferma la mano. Ritornare a Logya-wu... Senza levare lo sguardo mormoro: – Non posso. – La sua mano continua a premere sul mio polso. Non posso tornare a Logya-wu. Non posso tornare da... Gli occhi mi si riempiono di lacrime, la mano intrappolata trema. Un viso balena nello squarcio notturno di un ricordo che è quasi un sogno. Ho paura di non ritrovarla. Nella nebbia dorata dell'estasi rivedo l'ombra del corpo che mi ha accolto e il suo calore e il suo profumo. Ho paura di non poterla abbandonare più...

Avverto lo sguardo di Anachor, la sua presa si allenta, deve aver scorto le lacrime. Mi molla, si allontana bestemmiando. Esce dalla stanza e io resto ancora un poco con la fame, che non può compensare la mia fragilità, o sanare la mia follia. Poi inizio a mangiare, la carne si scioglie in bocca, scende col brodo caldo a consolare il mio nucleo molle, che ancora pulsa e vive sotto le spoglie del mostro. Di umano mi resta poco e solo perché altri lo trattengono. Potessi trattenermi nell'immagine che loro hanno di me, scartare questa mostruosità come la scoria di un destino correggibile! Ma non c'è nulla davvero che io possa fare, se non prendermi la testa del mostro a chiusura di questa tragedia e in qualche modo trionfare sulla mia stessa vita.

Attacco con foga la zuppa, in breve vuoto la scodella e mi rilasso, sazio e appagato. Come se il mondo non fosse che questo, una leviatanica fisiologia che si pasce della sua stessa opulenza, senza illusioni, senza differenze, un continuum ingordo di dolore e di piacere che non rigetta niente, un eterno accogliere tutte le concessioni della potenza. Ma c'è anche l'umano che getta sangue per cavare un senso che puntuale lo rifiuta, e allora si agita incontrollato e sbatte contro i cascami della sua stessa ragione, che ha tentato per un breve istante di illuminare il nulla, ma non ha fatto altro che vivisezionare se stessa.

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⏰ Last updated: Mar 25 ⏰

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15. PromessaWhere stories live. Discover now