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Sull'orizzonte bruciato che gira tutto attorno a una coscienza esausta riposo lo sguardo e in ogni direzione resta sospesa una consolazione, come un miraggio che mi trattiene dall'affondare nelle amare sabbie che sono diventate la mia patria. Avevo un ricordo e poi l'ho perso, tradotto nelle infinitesime parti di una realtà scompigliata e ostile, quasi avessi scelto con questa mia vita di farle guerra anche solo respirando e alzando un po' di polvere con i miei passi incauti. Fosse solo questione di volontà, e una volontà imparziale, volubile, che sbilanciandosi di continuo tenta di star sulla fune di una giustizia indefinita, capace solo di assolversi da sola e fare ammenda quando serve, poco più che un inchino alla sua inadeguatezza. Ma questa è solo una vana pretesa, perché è una volontà insondabile a dominare l'universo, sempre parziale e pronta a oltraggiare qualunque umano giudizio, quasi a rammentarci che è un diritto solenne della prepotenza cosmica non dover rendere conto a niente dei moti del divenire. La saggezza dell'abisso si leva in un sussurro, una rivelazione che non vuole essere accettata ma vissuta, e se pure in fondo al baratro balena uno specchio come un'accusa e un invito, mi è ancora impossibile confondermi con questa volontà superiore e spietata.

Contemplo i miei atti attraverso le lenti deformanti della memoria e sprofondo nelle sabbie e mi agito fino a impazzire sotto un sole crudele. La terra arde ai confini della percezione mentre continuo a reclamare questo deserto, a versare sangue sulla sterilità dei miei intenti bestemmiando contro il frastuono della morte, delle vite che si consumano tentando di raggiungere la mia patria, che sia per ferirmi o per amarmi non fa differenza, tutte in qualche modo alimentano la tragedia cucita al mio destino. E la ricerca del senso continua ad aleggiare come una condanna sull'assenza sterminata in cui esangue mi contorco.

– Vuoi davvero andare fino in fondo a questa follia? – La voce di Anachor sbatte contro le mie resistenze. Non voglio rispondere, non voglio neppure ascoltare. Apro gli occhi sul soffitto affumicato del suo laboratorio e quel che provo è solo nostalgia del dolore. Infradiciato di sudore e soffocato dai miei pensieri, non vorrei dovergli nulla, neanche una risposta. Sembra che mi abbia salvato la vita ancora una volta solo per farmi a pezzi, una crudeltà più che adeguata alla limpidezza del suo spirito. Per un setaccio assai fine è passato quest'uomo e del suo corpo maciullato non resta che l'essenziale, ciò che è più prezioso.

– Forse ti avrebbe fatto un favore a lasciarti là in mezzo ai rottami sanguinolenti.

Rebis deve avergli raccontato tutto. – Dov'è ora?

– Fuori coi ragazzi – dice Anachor. – Non c'è motivo di preoccuparsi. Starà bene. Finché resterà qui.

È come se Anachor alzasse uno specchio per mostrarmi la mia mostruosità, di cui sembro non essere mai abbastanza conscio. – Credi che l'abbia costretta a seguirmi?

– No. – I suoi cingoli raspano il pavimento, potrei girare la testa e incontrare il suo sguardo, ma preferisco evitare. – Ma non glielo hai impedito.

Eccomi inchiodato a un pentimento che non mi posso permettere, anche Anachor lo sa, lui che ha un occhio ben più onesto del mio, uno sguardo gettato all'indietro immune agli inganni di una memoria che vorrebbe fare del passato una dimensione ancora colma di possibilità irrisolte. Ma è forse inevitabile tormentarsi per la sofferenza causata a chi teniamo, seppur certi che non si potesse fare altrimenti.

Se non avessi sconfitto gli agenti, che ne sarebbe stato di Rebis? Magari sarebbe riuscita a fuggire. Allora l'avrebbero braccata e prima o poi catturata e distrutta. Non ho pensato per un attimo a lei quando mi sono scagliato contro quella schiera di assassini. Lei invece è rimasta, non è scappata neppure quando ero sul punto di venire sopraffatto... Sempre più indegno della sua amicizia, ma incapace di rinunciarvi. Mi chiedo se riuscirò mai a comprenderla.

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⏰ Last updated: Mar 25 ⏰

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15. PromessaWhere stories live. Discover now