*

Finn fece di tutto per mettermi a mio agio, disse che avevo bisogno di abiti più pesanti e che mi avrebbe procurato tutto l'occorrente.Ma per quanto mi sforzassi, mi sentivo tremendamente fuori posto.
Ero come il pezzo di puzzle messo a forza nell'incastro sbagliato.
La ferita che portavo addosso aveva lasciato solchi frastagliati su un cuore spezzato, non avevo idea di quanto ci avrebbe messo a rimarginarsi e neppure se mai lo avrebbe fatto.
Mi sentivo schiacciata dalla sequela di dolori che la vita mi aveva messo di fronte.

Se fossi stata una bambina perfetta, forse papà non sarebbe mai partito.
Se non mi fossi ammalata quel giorno, forse il nonno non sarebbe uscito con il mare alto per pescare Pollock da cucinare alla griglia.
Se non fossi salita sull'auto, forse mamma sarebbe ancora viva.

Come una banshee dai capelli di fuoco dentro una leggenda irlandese ero in preda a una maledizione: tutto ciò che amavo mi avrebbe sempre abbandonato.
Non parlai molto, avevo ancora addosso la stanchezza del lungo volo, sentivo gli occhi pesanti e il lancinante dolore al petto farsi strada lentamente.
Era ormai un chiaro segnale per me, un avvertimento che mi spingeva a isolarmi, a soffrire in silenzio nel buio.
Era iniziato tutto dopo l'incidente, come se qualcosa dentro di me si fosse frantumato definitivamente.
Era una fitta acuta che si propagava tra le costole, mi mozzava il respiro e nelle notti peggiori mi faceva annegare tra i miei stessi respiri.

Mi congedai di fretta da Finn quando mi accorsi che non sarei riuscita a fingere ancora per molto che andasse tutto bene.
Appena fui di sopra entrai in bagno, sciacquai il viso con acqua gelida e mi guardai allo specchio.
Solchi scuri mi contornavano gli occhi, risaltando sul pallore della pelle.
La condanna peggiore era che ogni cosa di me, ricordava lei.
Persino le ciglia ramate e arricciate, o le lentiggini sul naso.

Mamma aveva lo stesso neo sopra il labbro, il collo sottile come il mio e la clavicola leggermente pronunciata sotto le spalle.
Più di tutto, ciò che ci legava, era il rosso dei capelli, una criniera infuocata impossibile da ignorare.
Mi sembrò di vederla accanto a me mentre con destrezza me li raccoglieva in una treccia ordinata.
La voce delicata, il tocco leggero e la sue parole pronte a rassicurarmi mi mancavano come niente al mondo.
Mi rannicchiai nel letto, guardai la neve danzare fuori dalla finestra accompagnata da lievi folate di vento. Per dimenticare il dolore mi concentrai sugli enormi fiocchi che uno a uno si posavano sul davanzale e non so come, mi addormentai.

*

L'incubo era lo stesso ogni notte.
Così realistico da farmi credere di essere ancora lì, sdraiata e scomposta sul bordo della strada, con le ossa rotte, un rivolo di sangue accanto al viso riverso di lato e l'odore acre di gomma bruciata impregnava l'aria che respiravo a fatica.
«Mamma!» ansimai, drizzandomi agitata.
La penombra della stanza mi riportò vigile e attenta.
Percepii il sudore freddo che mi imperlava la fronte, il cuore acceso da un battito frenetico e i polmoni che si dilatavano a fatica, immagazzinando ossigeno.

Era una condanna, ma ero certa di meritarla.
Mi alzai dal letto per riprendere il controllo, avevo bisogno di un bicchiere d'acqua. Uscii nel corridoio per imboccare le scale, ma sentii l'acqua della doccia chiudersi, un tiepido vapore uscire dalla fessura sul pavimento, poi la porta del bagno si aprì, ed io esitai.
Mi ci volle qualche istante per mettere a fuoco il corpo che si stagliò imponente sulla soglia. L'umida nebbia di calore si dissolse piano, scoprendo il collo affusolato di Jamie, una linea perfetta che scendeva su due spalle nude e scolpite.

Coperto solo da un asciugamano legato in vita, mi squadrò.
Un intenso profumo di pino selvatico mi raggiunse quando avanzò con fare predatorio, nel buio la gocce d'acqua sulla pelle chiara rilucevano appena.
Indietreggiai finché le mani non sfiorarono le tavole di legno della parete.
Jamie sembrò percepire il mio smarrimento, e sembrò persino essere consapevole dell'effetto che sortiva sugli altri. Lo capii dal modo sicuro con cui si avvicinò, lento e preciso sfoderò un'espressione ingannevolmente mansueta. Come se il suo più grande desiderio fosse risultare innocuo prima di braccare la preda e mordere.

Me lo ritrovai davanti in tutta la sua altezza, troppo vicino persino per emettere un solo sospiro senza toccarlo.
La folta chioma scura gli ricopriva la fronte e il disordine dei ciuffi ribelli strideva con l'impeccabile bellezza del viso.
«Non dovresti uscire dal letto a quest'ora...» cantilenò.
Aveva una voce che ti entrava nelle orecchie, con una nota dolce ma anche aggressiva risultava impossibile non prestagli attenzione. Tutto di Jamie sembrava poter plasmare senza alcuna esitazione la volontà di chiunque.
«...a Jackson Hole, i lupi cacciano di notte» continuò senza distogliere lo sguardo dai miei occhi.

Se stava cercando di intimorirmi, ci stava riuscendo alla grande, perché sentii il cuore fermarsi quando contrasse la mandibola con estrema calma.
«E per tua informazione, Irlandese» aggiunse meno derisorio. «Spero tu te ne vada in fretta. Le vecchie abitudini difficilmente cambiano, non sei d'accordo?» Scoccò la lingua sul palato, tese le labbra in un lieve sorriso e si voltò per entrare nella sua stanza.

The Untouchable LoveWhere stories live. Discover now