scarabocchio

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Un raggio di sole sdrucciola oltre le tende di casa, tiepido sul viso di Manuel. Gli squarcia a metà lo zigomo, rude quanto un pugno nello stomaco. Gli fa aprire gli occhi grandi, il viso accartocciato in modo innaturale.

Tirandosi a sedere, i riccioli gli si impigliano tra le ciglia, morbidi e disordinati in un modo che eguaglia la sua calligrafia. Uno scarabocchio di quelli che si scribacchiano a bordo pagina, confessioni d'amore e versi di poesia condannati ad essere stracciati, dimenticati.

Sospira, scostandosi i capelli dal viso con le mani. Se li è lasciati crescere, durante l'estate. Non è che l'abbia fatto per chissà quale motivo, ma una sera di metà giugno, di ritorno da un pomeriggio passato con Simone a fingersi meccanici con la vecchia motocicletta scassata di Dante nel solito e vecchio garage, il sopracitato ragazzo gli ha accennato di come con i capelli più lunghi stia bene, perché gli fanno uscire fuori gli occhi. Manuel gli ha risposto con una delle sue solite battutine: «Perché invece, nun pensi agli occhi tua? Che se pensi che con n'cespuglio in capoccia sto bene, forse te serve anda' dal dottore pe farteli visita'.» Comunque, da allora non se li è più tagliati.

Nina pensa che gli stiano male. Glielo ha detto l'altro giorno, mentre mettevano a letto la piccola Lilly. Dice che gli danno un'aria disordinata. Peccato, che Manuel, di ordinato non abbia mai avuto granché.

D'altronde, non è che lei possa saperlo. Non hanno mai avuto quel genere di conversazione. O meglio, non è che abbiano mai avuto un granché di conversazioni, se non si contano quelle riguardanti la bimba o i sussurri biascicati tra un bacio peccaminoso e l'altro. Nonostante ciò, quello stupido commento gli ha fatto indubbiamente storcere il naso.

«Manuel, scendi da quel letto, su! Che non ci fai una gran figura ad arrivare in ritardo il primo giorno.» Anita entra nella stanza energica, tirandogli via le coperte di dosso, le sopracciglia aggrottate in un moto di serietà. Nonostante ciò, Manuel legge dietro alle sue iridi castane, la tenerezza struggente di una madre che guarda suo figlio. Poetico in un modo che gli fa venire il voltastomaco.

«Tanto ormai quelli ce so' abituati, ma'. Un giorno più uno meno non glie cambia niente, a quegli stronzi.» Borbotta lui di rimando, lasciando la branda con lo stesso entusiasmo con la quale un condannato a morte lascia la sua cella.

«E non iniziarmi con 'sti discorsi la mattina, Manuel. Vestiti e non famme storie, va'.» Tuona la donna, scostandosi con una mano i capelli bruni dietro le orecchie. C'è quel modo in cui le sì incurva il labbro superiore, che però ancora una volta, la tradisce.

«Va bene, va bene, ma'! Dammeli però, du minuti.» Manuel le poggia una mano sulla spalla, mentre sbotta, incalzandola ad uscire fuori dalla sua stanza. Sua madre scuote la testa in un gesto di rassegnazione, squadrandolo con pupille sature di una mesta malinconia. Quella malinconia di una madre che vede il suo piccolo diventare sempre meno piccolo è sempre più... beh, grande.

«Due minuti, eh!» Borbotta lei, chiudendosi la porta alle spalle.

«Sì, sì, certo.» È la risposta di Manuel, che svogliato recupera un paio di pantaloni e una maglia dalla pila infinita di vestiti scaraventati alla bene meglio sulla sua sedia.

Di minuti, però, ce ne mette ben otto. Recandosi in cucina con lo zaino già in spalla, mamma gli porge una fetta di pane e marmellata, prima di lasciargli un bacio sulla tempia.

«Mo basta co' ste smancerie, però, ma'. Non ho più tre anni.» Borbotta, poggiando una mano sulla sua spalla in un modo che volge al premuroso, nonostante l'intento di scostarla pur di ritrovare il suo spazio personale.

La donna ride in un eco terso, l'arco di cupido divenuto solo un'ombra nel gesto di tendere le labbra in un sorriso. «Sarà, ma per me rimarrai sempre il mio bambino.»

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⏰ Last updated: Feb 17 ⏰

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