"I know you're nothing like mine"

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Alex era sempre stato convinto di non essere in grado di amare. Le sue relazioni erano sempre state più dei passatempi che altro, un modo per sfogare voglie sessuali senza spendere soldi in prostitute o ubriacarsi abbastanza da attingere a notti casuali  in bagni sudici di squallidi pub. Non era mai stato un uomo fedele, sebbene cantasse di amore in quasi ogni sua canzone; forse perché lo desiderava un po', l'amore che tanto osannava.
Così s'accendeva una sigaretta in balcone, sedendosi su una di quelle sedie in plastica di colore ceruleo, la chitarra sulle gambe, tenuta dal manico dalla mano libera dalla sigaretta, con ancora il petto nudo e i capelli scompigliati. Guardava le stelle e scriveva su quel libretto, ormai quasi consumato, accompagnato da accordi che già pensava a come sarebbero suonati su un palco, mentre l'ennesima distrazione si rivestiva sul suo letto.
Poi lei se ne andava dopo essere stata scacciata e averlo insultato, come se gli importasse di ciò che gli veniva detto.

Andava così da anni, forse quattro, forse cinque. Non aveva voglia di impegnarsi, la trovava una perdita di tempo da quando quella donna gli aveva strappato il cuore dal petto e sgretolato davanti i suoi occhi, ridendo e beffandosi di lui. Così si lasciava andare ad incontri casuali o relazioni di pochi mesi, tanto per non essere solo, sebbene si sentisse tale.

Tutto ciò fin quando la vide in quel bar sulla settima alle tre del mattino. Sola, vestita di quell'abito nero vellutato e calze a rete, accompagnate da un paio di anfibi e guanti che le lasciavano scoperte le dita. Portava un giubbotto di pelle che sembrava riflettere le luci calde e soffuse del bar. Aveva un alone di mistero attorno a lei, appartata in un angolino e immersa nella lettura di un libro che lui faticava a riconoscere, con a lato un bicchiere ancora mezzo pieno di qualche alcolico. Non poteva fare a meno che esserne attratto.
Così si portò indietro i capelli e la raggiunse al tavolo con passo sicuro, certo di potersela portare a casa nel giro di dieci minuti.

Lei alzò gli occhi sulla sua figura, guardandolo con sufficienza, per poi posare riluttante il libro sul tavolo. Alex diede una fugace occhiata all'autore: Edgar Allan Poe, poi le rivolse un sorriso sornione e quasi compiaciuto, credendo di averla già in pugno.

"Tipa da horror, mh?" Disse, alludendo al libro che lei prima sfogliava con tale attenzione.

"Così dicono." Rispose semplicemente, con una nota di fastidio data la sua presenza e interruzione. Prese un sorso dal drink, facendo tintinnare contro il bicchiere i vari anelli argentati che portava alle dita affusolate.

"Così dicono?" Alex ridacchiò. "E chi lo dice?"

"Disturbatori." La sua voce risultava vellutata tanto quanto Alex si immaginava fosse il suo vestito nero al tatto. "Un po' come te ora." Fu un invito ad andarsene che Alex decise di ignorare.

"Può un umile disturbatore sapere il suo nome?" Azzardò con un ghignò impresso sulle labbra.

"Ci penserò, se quest'umile disturbatore prima mi rivela il suo." Ad ogni risposta, l'attrazione che provava nei suoi confronti aumentava. Le porse la mano con sguardo furbo, come se avesse appena ottenuto ciò che voleva; ma lei gliela strinse scrutandolo con occhi attenti e intelligenti, come se gli avesse appena firmato la condanna a morte, mentre un fievole sorriso le appariva sulle labbra piene e rosate.

Gli pareva d'essere attratto dalla morte in persona. Pallida; occhi grigi, freddi, lo scrutavano come se sapessero ogni suo più sporco desiderio; capelli tanto neri dal riflettere le luci del bar come il suo giubbotto di pelle, troppo grande per lei. Era avvolta in un mistero, le sue risposte disinteressate facevano crescere la curiosità in lui, accendendo qualcosa di ben più profondo dell'attrazione: il desiderio. Non aveva mai desiderato una donna, solitamente gli si concedevano facilmente, e il desiderio per lui s'accendeva per ciò che sapeva fosse tutto purché suo.

You're So DarkWhere stories live. Discover now