𝒬𝒰𝒜𝒯𝒯𝒪𝑅𝒟𝐼𝒞𝐼

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La secondogenita, Amiylah Martin, all'epoca ventiduenne, era sempre stata uno spirito libero. Appena diplomata, lasciò casa per trasferirsi a Ginevra a studiare medicina. La sua assenza era tangibile e mi mancavano davvero entrambi. Amiylah incarnava l'opposto di Jilbert: estroversa, capace di stringere amicizia con chiunque. Mostrava un'eccessiva franchezza e possedeva più sarcasmo che sangue nelle vene. Quel suo temperamento non era apprezzato da tutti e alcuni la consideravano la più "scontrosa" dei figli, mentre altri trovavano proprio quella sua spigliatezza attraente. Jil al contrario era un vero e proprio gentiluomo, riservato e timido. Grazie alla sua cortesia e garbo, riusciva a conquistare facilmente il cuore di qualsiasi ragazza con la semplice arte della parola. Dotato di un linguaggio impeccabile, sapeva intrattenere con discorsi affascinanti. Utilizzava il suo talento principalmente nel lavoro, ma non esitava a sfruttarlo anche con le ragazze. Curiosamente, l'atteggiamento impacciato dava l'impressione di essere un individuo virtuoso, mentre in realtà utilizzava questa maschera per ottenere ciò che desiderava. Io lo ammiravo profondamente; fin da bambina, l'avevo osservato attentamente, studiando il suo carattere con l'obiettivo di diventare come lui, un giorno.

Poi c'ero io, Laetitia Martin, la terza figlia. Frequentavo anch'io la scuola più prestigiosa del paese, riservata a un'élite sociale ben definita. La mia eccellenza accademica aveva suscitato scalpore, diventando nota come la migliore dell'intero istituto. I professori delle università più rinomate mi chiamavano per partecipare a convegni su convegni, ritenendomi un modello da seguire e un esempio per i miei coetanei. Tuttavia, la mia vita aveva preso una svolta dopo lui. Prima di incontrarlo ero una studentessa con voti né troppo alti né troppo bassi. Ma nella realtà di quella scuola equivaleva a un livello di rendimento considerato insufficiente, e le persone all'interno non esitavano a prenderti per il culo per le tue prestazioni scolastiche. Erano fermamente convinti che l'intelligenza fosse da valutare unicamente attraverso i voti, mentalità che già di per sé li rendeva limitati. Anche i professori disapprovavano tale pensiero, ma avrebbero mai osato contraddire chi li remunerava?
Infine, il più giovane dei figli, Kenneth Martin. C'è poco da dire su di lui: all'epoca aveva sedici anni, un anno e mezzo più giovane di me. Era l'unico a distinguersi frequentando una scuola pubblica nonostante il nostro status. Nutriva l'ambizione di entrare nell'esercito, ed ero sicura che ci sarebbe riuscito grazie alle numerose conoscenze di papà. Quest'ultimo avrebbe fatto qualsiasi cosa per assicurare la felicità e il successo di suo figlio.

Entrai nella sala da pranzo e li trovai ad aspettarmi. Papà seduto al capotavola, mentre mamma era alla sua destra. Kenneth mangiava tranquillamente e io presi posto di fronte a lui. Diverse cameriere si aggiravano attorno a noi servendo i piatti e assicurandosi di versare il vino a mia madre, non trascurando nulla sulla tavola. La presenza insolita di papà in città mi colse di sorpresa e vederlo seduto lì al tavolo mi sembrò strano. Appena mi notò, gli occhi gli si illuminarono e io rimasi stranita dalla sua improvvisa apparizione.
-Papà... non sapevo che saresti tornato- dissi. Mi sorrise amorevolmente e mi invitò ad avvicinarmi. -Volevo farvi una sorpresa. Ho preso qualche giorno di riposo in più. Voglio approfittarne per passare più tempo possibile con voi e con la mamma.- Gli risposi con un sorriso teso e, guardandolo, mi resi conto di quanto fossi simile a lui. I capelli brizzolati assumevano una tonalità grigiastra mescolata al castano. Gli occhi ambrati brillavano di gioia essendo felice di rivedermi. Le leggere rughe cominciavano a solcargli il viso, ma nonostante il passare degli anni, manteneva un certo fascino. Mi scrutò al di sopra degli occhiali quadrati che poggiavano sul suo naso e mi invitò a sedermi. -Ogni volta che torno, trovo sempre più attestati. Dovrei farti costruire una stanza apposita!- Scherzò e mia madre rise alla battuta, sorrisi imbarazzata. Le cameriere disposero varie portate sul tavolo e ognuno si servì da solo. -Allora, raccontatemi un po'. Sono passati molti mesi dall'ultima volta che sono stato a casa.-
-Niente da dire, la mia vita è fottutamente noiosa- disse Kenneth mentre mio padre scuoteva divertito la testa e inarcava un sopracciglio. -Alla tua età, la noia non dovrebbe proprio esistere. Hai un gruppo di amici, sei giovane, divertiti finché puoi. Sei d'accordo, Laetitia?- Mi richiamò all'attenzione e alzai la testa dal piatto di scatto.
-Sì, hai ragione come sempre, papà- risposi quasi sarcasticamente ma nessuno dei presenti sembrò coglierlo, per fortuna.

Mio fratello prese principalmente la parola, discutendo della scuola, dei suoi progetti futuri e di come avesse conquistato il cuore di una ragazza. -Sono fiero di te e devo ammettere che la tua bellezza è tutta ereditata dalla mamma- disse mio padre. In realtà non concordavo del tutto. Kenneth assomigliava molto a lui, tranne forse per il taglio degli occhi che aveva ereditato da mamma. Era stata fortunata a nascere con una chioma folta di capelli ricci e ramati, pelle dal colorito olivastro, occhi nocciola, dallo sguardo allungato e curve sinuose. Da un lato, la invidiavo e speravo di mantenere una simile bellezza anche io, alla sua età.
-E tu, Laetitia? Hai ancora i capelli rossi? Mi manca vedere il tuo bel castano.- Quel colore aveva un significato profondo e mi morsi l'interno della guancia per non puntualizzarlo. Papà fu spettatore del periodo più difficile della mia vita, supportata nel momento peggiore. Se avessi menzionato la ragione dietro quel colore avrebbe chiesto spiegazioni. E fornirgliele avrebbe significato risvegliare un periodo che volevo dimenticare, che tutta la mia famiglia desiderava dimenticare. A volte ancora notavo i loro sguardi compassionevoli, quando accennavo della psicologa o semplicemente li sorprendevo a guardarmi in silenzio. Avrei voluto cancellare dalle loro menti ciò che avevano visto, sia perché quel dispiacere mi irritava e sia perché vedermi ridotta in quello stato, era un colpo basso per tutti coloro che mi volevano bene.

-Mi piaccio così- risposi con tono tagliente alzando lo sguardo dal piatto. Mamma posò una mano sulla spalla di papà. -Sai che ai giovani di oggi piace cambiare spesso. Anche questa fase passerà.- Non potei trattenere del tutto la risata; mi spuntò un sorriso sarcastico. Nel mentre parlavano tra di loro, mi scusai e arretrai la sedia lasciandola strisciare sul pavimento sotto lo sguardo dei tre, per poi dirigermi in camera.

Chiusi la porta alle spalle e mi appoggiai alla parete, respirando profondamente. Rimasi sola nella penombra della stanza, lasciando che il corpo si affievolisse, scivolando lentamente fino a toccare il pavimento. Mi sedetti e accoccolai le ginocchia al petto. Pensai che se avessi ancora avuto emozioni, probabilmente avrei provato rimorso per ciò che avevo fatto passare ai miei genitori. Avevano una figlia distrutta dentro fino a non si sentirsi più viva. Non avevo il desiderio di ricominciare; ero andata avanti ma non sarei mai del tutto uscita da quel buio. Le sue tracce sarebbero rimaste per sempre nell'anima, segni lasciati dalla sua breve presenza nella mia vita.

Avrei preferito non averlo mai incontrato; mi aveva frantumata, distrutta, portando via con sé la capacità di provare emozioni di nuovo. Tutti erano così, tutti i ragazzi erano così. E io non avevo più voglia di soffrire per qualcun altro, non avevo energie. Mia madre mi ripeteva spesso che esageravo, che innamorarsi e soffrire per amore faceva parte della vita di tutti. Mi diceva che sarebbe passato e io le credevo. Dio, avrei voluto che avesse ragione... ma per quale motivo dopo che se ne era andato non riuscivo più ad essere felice? Né a provare qualcosa? Mi ripetevano che l'odio era un sentimento troppo forte e troppo intenso per una ragazza di soli diciassette anni. Ma era ciò che provavo nei suoi confronti: odio puro per avermi privato della possibilità di ricominciare a vivere dopo di lui. Lo odiavo.
Nascosi il viso tra le ginocchia... tutti identici, tutti simili, tutti uguali. Ogni ragazzo sembrava interessato a me solo per la popolarità o perché ero attraente esteticamente. O forse volevano solo sesso, mentre io avevo un concetto di amore molto diverso. Desideravo qualcuno capace di connettersi con la mia anima, qualcuno che provasse il timore di perdermi, che si impegnasse a preservare la mia felicità, pronto ad ascoltare i miei discorsi su argomenti casuali per ore. E mi resi conto che era solo un'illusione, un sogno irrealizzabile, perché i ragazzi della mia età erano del tutto estranei a quel tipo di relazione.

-Vorrei... andare oltre alle voci che circolano in giro. Scoprire chi è Laetitia Martin per davvero, non in quanto ragazza più popolare della città, oltre la bellezza, oltre i pregiudizi. Scoprirti in quanto persona, chi si nasconde dietro quella maschera di ghiaccio.-
Non gli credevo... mi sembrava impossibile che un ragazzo apparso dal nulla potesse avere quel desiderio. Difatti non diedi importanza alle sue parole, ignara del fatto che Artem Koval avrebbe davvero provato qualsiasi cosa pur di raggiungere la mia anima.

Baby, i'm yours Where stories live. Discover now