i. riflesso del mondo che fu

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«Sei richiesta nel salone principale, la padrona ha bisogno di accompagnatori per la sua immenete visita ad Auradon City».

La ragazza annuì: «Grazie, mi ci reco subito». Cèline sorrise e le diede una pacca sulla spalla prima di sparire dietro un angolo, di sicuro per andare ad avvertire altri servitori.

Auradon City. Da quanto tempo non ci tornava.

Le notizie che raggiungevano la servitù erano poche e scaglionate, di solito voci di corridoio che si udivano o che riuscivano a cogliere dai giornali che i padroni lasciavano in giro per il maniero. Erano rare le occasioni in cui poteva mettere piede fuori dalla villa, il massimo rappresentato dall'enorme giardino che la circondava o, a volte, il mercato di Londra, dove era stata mandata a fare la spesa.

Mentre si dirigeva verso il salone, non potè trattenersi dal fissare le finestre, la luce del mattino che le baciava le guance pallide e magre.

Chissà com'era cambiato il mondo in quel anno.

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Il salone principale era la stanza più luminosa del maniero, così tanto che spesso Esme dimenticava a chi appartenesse.

Pilastri di marmo bianco e nero correvano fino al soffitto e decori splendenti in ossidiana e avorio si intrecciavano tra loro creando giochi di luce che potevano fare invidia alla cattedrale di Notre Dame, ed Esme sapeva di cosa stava parlando.

Poltrone e divani rossi in pelle finissima erano sparsi qua e là, in tinta con le pesanti tende di velluto che pendevano dalla finestre.

E lì, steso su uno dei lunghi sofà, c'era un ragazzo.

Esme abbassò lo sguardo mentre si avvicinava.

Erano i soli nella stanza, in quel momento, se non si contavano le guardie accostate alle porte, ma all'improvviso le parve di soffocare, come se i muri si fossero ristretti e minacciassero di schiacciarla.

Ogni passo rimbombava nel silenzio come una campana.

Prese un respiro profondo e si fermò accanto al divano, cercando di ignorare l'incessante battere del suo cuore.

«Gli altri?».

Sforzandosi di non far tremare la voce, rispose: «Ho incontrato la signora Cèline vicino alla— mia cella. Credo stesse andando a chiamare chi lavora nei giardini».

«Dovevano essere qui dieci minuti fa». Lo sentì sbadigliare. «Peggio per loro, le conseguenze le conoscete, dopotutto».

«Sì».

«Almeno tu sei stata puntuale, Es. Certe cose non cambiano mai, huh?».

«Già».

Lui ridacchiò: «Ma sì, tu e Cèline andrete bene. Non c'è bisogno di così tanta forza lavoro, dopotutto. Auradon City è luminosa in questo periodo dell'anno».

Esme deglutì, alzando incerta gli occhi.

Carlos De Mon era cambiato molto in quell'anno, e non solo perchè passava i suoi pomeriggi a fare esperimenti su soggetti vivi, catturati in giro per Londra.

I suoi capelli si erano allungati e avevano perso quei morbidi ricci che li caratterizzavano, il bianco che prendeva il sopravvento sui ciuffi neri. Probabilmente era per la condizione di vita migliore, ma sembrava più in forma, snello ma non magro, il viso che iniziava a perdere i tratti morbidi della fanciullezza. Era . . . più bello. Più sano. E una piccola parte di Esme — non sapeva più quanto, o se, fosse veramente presente — ne era grata.

Quando lui girò la testa verso di lei, tornò a guardare il pavimento. «Do—Dov'è la padrona?» chiese, perchè era sempre stata così: curiosa, troppo. «Cèline aveva detto che dovevamo partire con lei».

Con la coda dell'occhio, lo vide sorridere. «Non devi preoccuparti. Mamma è molto impegnata in questo periodo, per questo sarò io ad accompagnarvi». Si stiracchiò, e in quel momento un'altra decina di servitori entrò di corsa nella stanza. Carlos sospirò: «E ora chi glielo dice che passeranno la settimana senza cibo? Odio vederli piangere, è una seccatura».

Su questo era d'accordo.
Esme non piangeva da sei mesi, e si era ripromessa di non farlo più, dopo aver passato le prime settimane di quell'inferno soffocata da mari di lacrime. Non avrebbe mai più provato una disperazione del genere. Si rifiutava.

Per questo, quando Cèline fu costretta a riportare gli altri nelle loro celle, non battè ciglio.

«Sarà divertente» esordì Carlos, ma Esme non capì a cosa si riferisse. «Dì a Cèline di andare a prendere le mie cose e poi vai ad avvertire alla rimessa di preparare l'auto. Partiamo a mezzogiorno».

Ad Esme era vietato guardarlo negli occhi — guardare tutti i Cattivi negli occhi — ma era sicura che se l'avesse fatto, non vi avrebbe visto nulla. Solo un vuoto freddo e grigio in cui lei non poteva neanche perdersi, perchè non le era permesso.

«Come desidera». Fece un breve inchino ed uscì dal salone, prendendo nota per l'ennesima volta in tutti quei mesi della voragine che le si apriva nel petto. Una parte di lei credeva che un tempo contenesse la speranza.

jade speaks! —— questo è un capitolo minuscolo ma semplicemente perchè serve da introduzione per mostravi su grandi linee la situazione di esme e carlos

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jade speaks! —— questo è un capitolo minuscolo ma semplicemente perchè serve da introduzione per mostravi su grandi linee la situazione di esme e carlos. ma dal prossimo iniziano subito i casini.

grazie per aver letto <3

grazie per aver letto <3

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𝐋'𝐄𝐓𝐀' 𝐎𝐒𝐂𝐔𝐑𝐀, descendants²Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora