Mapplethorpe

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«Simo'!» urlò improvvisamente Manuel, mezzo stiracchiato sul letto di Simone.

«Te sento Manu, non c'è bisogno di urlare» rispose quest'ultimo dal balcone, ridacchiando.

«Lo sai quanto tengo a te ve'?»

«Alcune volte penso di saperlo...» aspirò dalla sigaretta e cacciò il fumo verso l'alto.

«E le altre?» Manuel si diede uno slancio col busto e si alzò dal letto, raggiungendolo.

Erano entrambi in boxer, ma a nessuno dei due importava. La casa era vuota e lo sarebbe stata per altre due ore minimo, attorno c'era solo il verde di Villa Balestra e la temperatura era giusta per potersi permettere di ammirare l'uno il corpo dell'altro alla luce perfetta del tramonto.

«Le altre volte penso di non sapere proprio un cazzo». Simone indicò entrambi, cacciando un'altra nuvola di fumo, stavolta direttamente sul viso di Manuel, che arricciò il naso fingendo fastidio.

«Sicuramente nun te odio, questo se intuisce.» gli sfilò con lentezza la sigaretta tra le mani, portandosela alle labbra e aspirando a lungo. Lo guardava dritto negli occhi, ma Simone si decise che non si sarebbe fatto abbindolare di nuovo, e infatti – su quell'affermazione – aveva i suoi serissimi dubbi.

«Io sta dinamica mica l'ho capita...» sussurrò voltandosi per appoggiarsi con le braccia alla ringhiera.

Manuel alzò gli occhi al cielo e si portò una mano sul fianco. «Non capisco perché insisti sul voler capì le cose. Non è meglio godersele e basta?» Azzardò compiendo un passo avanti e facendogli scorrere un dito sulla spina dorsale.

Simone si voltò agitato ponendo fine al contatto e gli strappò la sigaretta dalle mani con l'urgenza di sentire la nicotina nei polmoni. «Io le cose me le vorrei pure godere, ma tu non fai altro che incasinarle.»

«Lo sai o no quanto tengo a te?» insistette il riccio, ignorando l'ultima affermazione.

Simone alzò le spalle e scosse la testa negando. «Francamente no, e non credo di volerlo sapere.» Contrastò l'irritazione nella voce con lo spostare delicatamente un ricciolo dalla fronte di Manuel. «Tanto lo so che qualunque sia la risposta, scapperai di nuovo.»

Manuel si avvicinò ulteriormente a lui ritogliendogli la sigaretta dalle mani e spegnendola sulla ringhiera. Gettò con non curanza il mozzicone per terra e si mise in punta di piedi per lasciare dei piccoli baci sulla fronte di Simone. Il moro chiuse gli occhi, serrando la mascella, cercando di catturare quei momenti di dolcezza per preservarli e conservarli il più possibile, perché una sensazione alla bocca dello stomaco gli suggeriva che sarebbero stati gli unici con Manuel sobrio, gli ultimi con Manuel e basta.

Manuel si staccò dalla sua fronte, lo guardò per un po', poi prese un sospiro enorme come se avesse trattenuto l'aria in corpo per minuti interi.

«Domani parto.»

«Ecco, appunto.» borbottò Simone, come se lo sapesse già.

Aveva sentito suo padre parlare al telefono con Anita qualche giorno prima, discutendo animatamente di qualcosa che riguardava una partenza. Dante sembrava incredulo e ad un certo punto aveva anche nominato Simone, ma lui non riusciva a sentire bene il tutto e aveva smesso di curarsene, pensando fosse una semplice litigata tra fidanzati.

Dopo quella conferma, capì perché Manuel si era presentato da lui quel pomeriggio, senza spiccicare una parola, entrando in camera a testa bassa affondandola con forza nel suo petto e sfiorandolo lentamente da sopra i vestiti – come se avesse scoperto il senso del tatto per la prima volta. Simone non l'aveva mai visto così e per una volta non aveva fatto domande. Scelse di non farlo proprio nel momento in cui aveva più bisogno di risposte, soprattutto quando aveva iniziato a sentirsi letteralmente tra le nuvole nel momento in cui le dita di Manuel si erano infilate sotto la maglietta per percorrere la sua pelle senza intralci. Avrebbe voluto chiedergli perché proprio adesso, perché dopo poco più di due anni dalla prima e unica volta in cui avevano fatto l'amore al suo compleanno, perché in quel modo così dolce, lento, intenso, ma alla fine anche estenuante. Gli avrebbe gridato contro altri mille perché.

Di piccoli grandi ficcanaso e vino rosso | SimuelWhere stories live. Discover now