«È una minaccia?» domando con finto tono confuso.

«Alle mie orecchie suona proprio come una minaccia.» mi appoggia Ace, mandando avanti il teatrino.

«Di questo passo cercherò un modo per trovare gli altri ologrammi e ordinargli di farvi fuori. Uno ad uno. Prima tu» punta l'indice della mano destra nella mia direzione «e poi tu.» si rivolge ad Ace.

«E poi come faresti a difenderti?» domando piccato, mettendola alle strette.

«Questi non saranno fatti tuoi, non ci sarai più. »

«Ma noi non vogliamo che questo accada, quindi seguiremo il tuo piano.» commenta Ace, appoggiando la sua mano sinistra adornata da anelli argentati sulla mia spalla.

«Forza, andiamo.» Savannah si alza di scatto, avviandosi verso l'uscita senza degnarci di un'ulteriore sguardo.

Io e il moro ci lanciamo un'occhiata fugace, un sorriso divertito a dipingerci il viso.

Sarà interessante averla in squadra.

                               ***

«Niente male.» bisbiglia Ace con lo sguardo rivolto verso la bianca facciata dell'imponente hotel a quattro stelle nel quale ci stiamo per addentrare.

«Non è eccessivo per solo una nottata?» domanda Savannah, frugando tra le tasche dei suoi pantaloni alla ricerca della carta di credito che ci hanno fornito gli organizzatori in caso di necessità. Ci sono abbastanza soldi per alloggiare in qualche albergo, per fare rifornimento di cibo o anche solo per toglierci qualche sfizio.

«Preferisci dormire in uno squallido edificio della zona Est?» ribatto, conoscendo già la sua risposta. La zona Est di questo centro città è quella più malfamata, dismessa e cupa.

«Andiamo.» ordina Ace, varcando il cancello in ferro battuto che ci permette di inoltrarci nel rigoglioso giardino, adornato da piccole fontane e statuette raffiguranti divinità greche.

A passo svelto raggiungiamo la reception, un grande bancone al di là del quale si trova un uomo vestito in giacca e cravatta, adetto all'accoglienza dei clienti e alla prenotazione delle stanze. Svolgiamo tutto il necessario in pochi minuti - fornendo i nostri dati personali e altre informazioni strettamente necessarie - ricevendo in cambio un paio di chiavi e un sorriso forzato.

Attraversiamo tutta la hall direzionandoci verso la nostra stanza. Inserisco il piccolo oggetto metallico nella toppa, giro e sento la serratura scattare. Spalanco la porta e quello che mi si presenta davanti agli occhi è un'ampia camera allestita in stile barocco, tre letti singoli, un ampio bagno e un balcone che affaccia sull'immenso giardino curato.

Ace non attende alcun secondo prima di buttarsi a capo fitto sul morbido materasso. «Finalmente.» mugola con la testa immersa in uno dei tanti cuscini.

«Abbiamo un problema.» la voce limpida di Savannah risuona per tutta la stanza facendo voltare sia me che il moro nella sua direzione, in attesa di una spiegazione. «Non abbiamo i vestiti di ricambio.»

Un sonoro sbuffo fuoriesce dalla bocca di Ace, che torna a bearsi della morbidezza del letto.

«Dobbiamo andare a comprare qualcosa.» continua imperterrita.

Mi pizzico il ponte del naso con l'indice e il pollice per cercare di far sbollire il nervosismo.

«È una cosa seria, Theo. Voglio cambiarmi e farmi una doccia.»

«D'accordo, andiamo in qualche negozio e prendiamo qualcosa. Facciamo in fretta, non ho tempo da perdere.» esclamo iniziando ad avviarmi verso l'uscita «Prendi la carta di credito.» le ricordo, sentendo i suoi passi dietro di me.
Lei - in risposta - fa un verso di approvazione.

Percorriamo tutta la hall e raggiungiamo a grandi falcate il cancello dell'hotel.

«Dovevano essere solo "un paio di cose".» l'irritazione nella mia voce è palpabile. Siamo entrati nei vari negozi a mani vuote e con una carta di credito nuova di zecca e siamo usciti con cinque buste e trecento trei in meno sul conto bancario.

«Questi indumenti ci basteranno per più di una settimana. Fidati, mi ringrazierai.» esclama con un sorrisino soddisfatto a dipingerle il viso, mentre si sistema le due buste contenenti vestiti tra le braccia. «Prendiamo l'ascensore.»

«Non ce la fai più?» la provoco, sapendo di starla irritando.

«Ricordami perché sto facendo tutto questo.» esclama in un sospiro quasi inudibile.

«Per i due milioni di trei.»

Ci avviamo a passo spedito verso l'ascensore, aspettando che le porte si aprano. È vuoto.

Entriamo senza troppe cerimonie e andiamo al nostro piano, il terzo.
Una volta usciti, attraversiamo il largo corridoio alla ricerca della nostra stanza. Savannah mi affianca alla mia destra.

«Zacharia, smettila!» una voce divertita risuona alle mie orecchie, e una coppia svolta l'angolo presentandosi ai nostri occhi. Camminano indisturbati, continuando a punzecchiarsi con le parole.

E poi un qualcosa di strano succede: il ragazzo dai capelli rosso fuoco sembra attirato da un qualcosa di Savannah. Le lancia continue occhiata, distogliendo poche volte il suo sguardo da lei, che nemmeno se ne rende conto. Guardo il punto che osserva insistentemente: la clavicola, e noto un piccolo pezzo del tatuaggio essere scoperto dalla maglia di Savannah.

D'istinto passo tutte e tre le buste sul braccio sinistro e getto il braccio destro sulle spalle di Savannah, mettendo il palmo della mano aperto sul tatuaggio e facendo girare quest'ultima nella mia direzione con sguardo confuso.

La ragazza castana si avvicina al rosso sfiorandogli in modo quasi impercettibile la mano - come per attirare la sua attenzione - riuscendo nel suo intento.

E quando passiamo di fianco a loro e mi ritrovo a sostenere l'agghiacciante sguardo di sfida del rosso - che non distoglie i suoi vispi occhi dai miei - capisco.

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