Il secondo anno

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Nuovo inizio, nuova me pronta a partire. In realtà a questo punto della storia non mi sentivo spaesata come l'anno precedente, e neppure sentivo quel forte bisogno di stringere dei legami, anzi. 
Suonò la campanella ed entrai in quella che era una scuola ma pareva un carcere (e difatti lo era). Arrivai in aula, una minuscola e con una finestra che occupava un'intera parete, e non c'era assolutamente anima viva. Iniziamo bene, pensai. 
Allora mi sedetti in ultima fila e aspettai, non senza pensare di aver sbagliato giorno, aula, istituto o mondo. Poi però scoprii che erano tutti con l'insegnante la quale era andata a recuperarli per portarli in aula, e quindi la classe si riempì in un istante. 
La ragazza che divenne in quel momento la mia compagna di banco mi guardava terrorizzata perché il mio tatuaggio era esposto, e in generale qualche sguardo addosso lo sentivo.
Avevo già capito tutto senza saperlo. 
In quei giorni quasi nessuno mi rivolse la parola, e a me stava bene così. 
La seconda cosa che mi lasciò perplessa fu il discorso che fece la professoressa di italiano. Diceva che dovevamo sentirci speciali, noi che avevamo scelto il classico. Noi che avevamo qualcosa in più rispetto a quelli degli altri licei, rispetto a quelli degli istituti tecnici, per non parlare di quelli dei professionali! 
In quel momento pensai: ma questa non è la scuola che apre la mente? Inculcare nella mente di tredicenni estremamente manipolabili di essere migliori degli altri apre la mente? 

L'ultima cosa che mi sconvolse (e si parla solo dei primi giorni) fu l'esito della prima versione di latino. Non proprio l'esito, perché presi un nove e me lo aspettavo, ma quello che ne conseguì: le parole che mi vennero dette dalla professoressa. 
"Brava, non me lo aspettavo da te... da una come te." 
Prego? Da una come me? Perché ho un tatuaggio? Perché ho un paio di piercing? O semplicemente perché sto ripetendo l'anno? Insomma, tutto mi pareva tranne che cercassero di aprirci la mente. Era un ambiente saturo di pregiudizi e stereotipi.

Nonostante tutto, durante l'anno decisi di sorvolare e tentare di dare alla scuola e ai compagni una possibilità. Amavo le materie e i miei erano voti ottimi ottenuti con il minimo sforzo; riuscii persino ad iniziare l'anno con un cinque in matematica e a finirlo con un nove al dieci. Tentai di andare d'accordo con gli altri e con qualcuno ci riuscii anche. 
Con altri invece fu più difficile: avere a che fare ogni giorno con qualcuno che ti ride in faccia perché "hai le sopracciglia spettinate" e rimanere cordiale non è così semplice. 
Insomma, la maturità non era proprio prerogativa di certe persone, eppure molti mi trasmettevano allegria e giunsi persino a cambiare la prima idea, quella del primo giorno, quella secondo cui mi stavano tutti antipatici a prescindere. 
Partecipai ai loro compleanni e arrivai a considerarli amici, andare a scuola era diventato piacevole nonostante le interrogazioni, mio grande terrore. Riuscivo a fare anche le cose che più mi mettevano ansia quasi tranquillamente. 
Mi sentivo compresa, parte di un gruppo seppure non appieno,  e il mio aspetto non corrispondeva più a ciò che ero. Fu in quel periodo che eliminai per sempre i piercing dal mio viso e diventai, più o meno, quella che poi sono anche ora. 

L'anno giunse al termine e fui promossa a giugno, senza debiti e senza dubbi: volevo rimanere lì, quella era la scuola giusta per me. Quella era la mia scuola.

...ci credete?

SCUOLA SUPERIOREWhere stories live. Discover now