17. Ti piace Gabriel?

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Un forte rumore mi fa aprire lentamente gli occhi. Butterei l'aggeggio che sta trasmettendo la canzone We Will Rock You dei Queen, ma il mio udito non riesce a distinguere da dove provenga il suono. «Soph, spegni quell'affare.» borbotta la voce sonnolenta di Gabriel.

Sollevandomi sui gomiti, gli occhi semi chiusi, mi metto alla ricerca del cellulare, quando mi ricordo che il mio telefono aveva finito la carica proprio ieri sera.
Mi lascio andare contro il cuscino e torno a dormire. «È tuo.»

Il letto si muove sotto di me, seguendo i movimenti turbolenti di Gabriel che si allunga sul comodino e afferra la fonte da cui si propaga il rumore. È un enorme sollievo sentirlo tacere.

Mi giro di lato e torno a rannicchiarmi tra le coperte sicure.
Non ho ancora preso coscienza della situazione. Riesco solo a sentire le palpebre pesanti, come se reggessero due enormi macigni, le mani che bramano di stringere il cuscino e il corpo che mi manda brividi di piacere dovuti alla serenità e alla comodità della situazione.

A risvegliare la mia mente è uno sfioro leggero e cauto che mi percorre la nuca.

«Ragazzina.» bisbiglia Gabriel. «La sveglia suona per svegliarti, sai?»

Mi stringo nelle spalle e mormoro: «Shh.»

È un sogno o mi trovo davvero in un letto con Gabriel Rain? È decisamente un sogno.

Ieri sera, una volta addormentato, avevo deciso che mi sarei spostata e avrei dormito in uno degli altri due letti singoli. Ma quando ho tentato di sfilare la mia mano dalla sua, mi sono persa a guardare il suo viso sereno che pareva soffice come le nuvole di un cielo notturno. Non ho saputo allontanarmi.
Ora mi rendo conto di aver commesso uno sbaglio.

Questa volta a rammentarmi di dovermi svegliare per costrizione, è la voce roca e suadente di Gabriel che mi sussurra: «Farai meglio ad alzarti, o non troverò la forza di farlo nemmeno io.» e la coperta mi viene strappata da sopra il corpo.

Un getto d'aria gelida mi fa chiudere a conchiglia.«Stai diventando una rottura di palle come me.»

«Mi influenzi negativamente.»

Mi sorprendo a ridere, mentre mi alzo a sedere e allontano la cascata di capelli biondi impigliati nel viso. Scorgo la figura di Gabriel con l'occhio destro, intento a stropicciarsi le palpebre con la pianta delle mani.

Il mio corpo trova nuovamente rifugio contro il materasso, nel lato dove ha dormito lui. «Non ce la faccio. Lasciami morire qui.»

Come faccio nei giorni scolastici? Suona la sveglia... e mi sveglio? Di solito, a casa, a spingermi fuori da lì e la fretta smaniosa di fuggire da mio padre.

Iniziando il lavoro verso le nove, ha tutto il tempo di sedere in cucina e intrattenermi con i suoi discorsi offensivi mentre faccio colazione. Per evitare di incrociarlo mi sveglio con largo anticipo e prendo il primo autobus che mi porta a scuola. Lì posso anche attendere un'ora intera. Tutto pur di non stare a casa.

Durante le vacanze di Natale non era così semplice sfuggirgli. Le scuse lì finivano presto, e io ero costretta ad accettare l'idea che avrei dovuto sopportare mio padre, più del solito, per due settimane. Il rientro a scuola è stato un sollievo.

«Come sei esagerata.» commenta Gabriel. Sento i suoi passi farsi più vicini, e quando sollevo una palpebra, il suo volto mi appare davanti. Mi afferra per le spalle e mi fa sedere, poi le sue mani premono sulla schiena, prima che dica: «Alzati in piedi.»

Presto mi ritrovo in braccio a lui.
Circondandogli la vita con le gambe, appoggio la testa sulla sua spalla e osservo la curva fine e sensuale del suo collo scoperto. Mi tiene saldamente dalle cosce e mi porta davanti alla mia stanza.

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