Capitolo 21 - Salvata 🌹

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Una volta Göth notò che la manica della sua giacca era leggermente usurata a causa del contatto con il muro e mi chiamò urlando. Entrai in soggiorno. Göth era completamente nudo e ubriaco, e aveva una frusta in mano. Mi ordinò di spogliarmi e quando mi rifiutai iniziò a frustarmi. Poi mi trascinò nella stanza accanto e mi ha buttò sul letto, strappandomi i vestiti e continuando a picchiarmi. Dopo di che provò a violentarmi. La sua amante, Ruth Irene, era di sopra e quando sentì le urla accorse immediatamente e mi liberò dalla sua presa. Göth mi picchiò così violentemente da sfondarmi un timpano e dopo quel giorno non ho più sentito nulla da un orecchio".

Testimonianza di Helen Hirsch, la domestica ebrea di Amon Göth.

Testimonianza di Helen Hirsch, la domestica ebrea di Amon Göth

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«Adesso io e te ci divertiamo.»
Sussurró, in tedesco, quell'uomo dalla corporatura bassa e tozza; con passo strascicato, poi, si avvicinò alla ragazza con un sorriso malefico.
Tea, nonostante non avesse compreso ciò che lui aveva detto, intuì le sue intenzioni quando lo vide togliersi la giacca in tutta fretta e, immediatamente, si spinse con la schiena al muro facendosi forza sulle gambe.

«Ti ha pure legata.» constatò l'uomo, ormai vicinissimo «bravo Shoeder, mi ha reso le cose più facili!» aggiunse, mentre si accovacciava di fronte a lei, appoggiando le mani sulle sue ginocchia.
Tea, a quel contatto, provò a tirargli un calcio ma lui, prontamente, le afferrò la caviglia divaricandole le gambe.

«Non osare toccarmi!» gridó l'ebrea lottando contro la forza del suo aggressore che, però, se la rise facendo scivolare una mano lungo il polpaccio di lei, per poi risalire lentamente.

«Hai delle belle gambe» le sussurrò poggiando le labbra contornate da baffi, su di un suo ginocchio.

«Non mi toccare ho detto!» ribadì lei, cercando di tenere le gambe unite.

«Shhh!» rispose lui stizzito, portandosi un dito sulle labbra.

«Lo dirò al Kommandant!» gridò ancora lei, dimenandosi per allontanarlo.

A quel punto l'uomo, sentendo nominare il comandante del campo, si fece una grossa risata che riempì tutta la stanza, facendola trasalire. Tea lo guardò disgustata.

«Il Kommandant?» chiese e poi si interruppe solo per continuare a ridere.

«Sì!» si difese lei, sibilando a denti stretti.

«Dumm.» le rispose semplicemente lui, continuando a ridere. Tea quell'insulto lo capì: le aveva dato della stupida e, nel momento in cui quelle mani viscide le sbottonarono la camicia, si chiese se non fosse davvero una stupida nel sperare che Mark la salvasse.
Mentre pensava e cercava di respingerlo, Tea si dimenava con le gambe e i fianchi non facendo altro che stuzzicare la bramosia di quell'uomo che, cogliendo l'attimo, le strappò via l'unica biancheria intima che le fosse concessa.

La rosa di AuschwitzWhere stories live. Discover now