6. L'Isola di Peter Pan

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"E' arrivato papà"
Leah ha un sorriso raggiante a illuminarle il volto pallido, quando spalanca la porta della camera.
In mano tiene un pacco dalle dimensioni di una scatole di scarpe, ad adornarlo una carta da regalo blu elettrico ed un fiocco argenteo.
La mano di Frida si blocca, la matita che tiene in pugno preme forte contro il foglio così tanto che la mina si spezza. 
Mantiene gli occhi incollati sul libro di chimica, la schiena tesa, la testa ancora abbassata.
Respira appena.
"Bene"
La scrivania è ingombrata di fogli di brutta, raccoglitori plastificati e penne senza tappo. Le pareti della camera oscurate dal buio della notte. E' quasi ora di cena, in casa c'è odore di patate e soffritto. L'eco di un telegiornale a riempire il corridoio, la voce di un padre che ha dimenticato di essere tale.
Leah è ancora immobile sulla soglia, con le gambe sottili che non riescono ad entrare in un mondo troppo divergente dal loro. Il pacco sui palmi inizia a sentirlo troppo pesante, tra le dita gracili di una che non riesce più a sopportare la gravità delle ostilità.
"Okay - Leah sospira adesso - Tra poco è pronta la cena"
La porta si chiude piano, Frida rimane immobile, gli occhi ancora appiccicati ad un paragrafo da studiare.
Uno spasmo tra la colonna vertebrale, con un gesto rabbioso del braccio, scaglia un libro per terra.
Poi, silenzio.


La famiglia di Frida è convenzionale.
Tipica, una di quelle che come perfetti cliché si trova in ogni canale satellitare. 
Di religione protestate, con il reddito di qualche numero sopra la media, una casa dalle mura giallo pastello e il giardino sempre ben curato.
Un nucleo familiare composto da due genitori ingessati, misurati nelle scelte e sempre d'accordo nelle questioni. E oltre a Frida, Leah, la primogenita. Una ragazza gentile, considerata, con ambizioni ben radicate, determinata a raggiungerle.
E' proprio Leah che durante la cena cerca di intavolare un discorso. Perché c'è troppo silenzio, solo rumore di forchette sbatacchiate e deglutii appena udibili.
"Sai papà - sorride con i denti dritti ben in mostra - Sto frequentando un ragazzo. "
Bill Parker si pulisce la bocca con il tovagliolo, le mani tozze e con della peluria sulle falangi. Gli occhi blu - simili a quelli di Frida - si lucidano.
"Non me ne hai mai parlato"
Ha un tono gentile, caldo. Sembra quasi commosso di trovarsi in mezzo a quelle donne - le donne della sua vita -, di mangiare con loro, di sentirsi a casa.
"Forse perché non ci sei mai, no? - Frida lo sta guardando a labbra tese, la voce fredda - Come potrebbe, altrimenti?"
A Leah è morto il sorriso, con le dita stringe la forchetta che tiene tra le mani agitate. Non dice nulla, parla il suo sguardo.
Ti prego, non adesso.
Bill è rimasto spiazzato, con la bocca socchiusa e le rughe a sfociare sulle tempie. Si scambia un'occhiata con Teresa - sua moglie da ormai vent'anni -  e sospira.
Nella cucina è calato il silenzio: un semplice e candido silenzio.
"Diglielo Leah - Frida fa fatica a parlare per l'intensità dei pensieri - Digli tutte le volte che hai provato a chiamarlo. Chiedigli perché non ti ha mai risposto"
"Frida"
"Frida un cazzo!"
Con un gesto nervoso spinge il piatto contro il bicchiere. Rumore di vetri e un cuore a pezzi. Lasciato a marcire.
Bocche aperte, impotenti. Occhi che guardano, alcuni che non capiscono, altri che non vogliono arrivarci.
Frida si morde le labbra con forza, mentre si alza da quella sedia. Mentre se ne va da quella stanza che puzza di famiglia andata a male.
Che puzza di un padre con l'odore di un'altra, su quelle braccia che la proteggevano, una volta.



Poco più tardi:

Il bilocale di Niall Horan è il rifugio dei bambini infelici. Di quelli che si perdono, non si ritrovano, che non vogliono crescere. Perché il mondo vero fa paura e ce n'è di tempo, per pensarci al domani. L'Isola di Peter Pan, con i muri umidi e l'odore di tabacco impregnato nel divano. Il riscaldamento sempre spento in inverno, l'afa irrespirabile in estate. Il rubinetto che perde in continuazione, i piatti sempre da sciacquare e le solite due tazze Ikea lasciate sul tavolo della cucina, come a ricordare che a vivere lì, non ci sia solo una persona.
Casa di Niall Horan governata dai numeri; anche se la matematica gli sta sul cazzo, anche se ha mollato la scuola dopo il primo anno di liceo. Tre birre aperte sul mobile d'entrata, due portacenere di plastica  - uno in soggiorno, l'altro in camera da letto -, tre pacchetti di Marlboro Rosse dissipati un po' ovunque. Quattro spazzolini consumati in bagno, un letto piccolo e stretto e un divano consumato da troppo serate passate a giocare a Fifa bevendo birra scadente. Una fortezza che ripara chi nel sangue ha miscugli di nicotina, solfiti, codardia.

Erba Cattiva | One DirectionWhere stories live. Discover now