L'Irlandese

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"Bride?" Zia Mel mi guardò preoccupata

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"Bride?" Zia Mel mi guardò preoccupata.
Era successo di nuovo: il suono di un clacson, una frenata brusca, lo stridere delle ruote sull'asfalto e il mio cuore che si era improvvisamente fermato.
Fu una reazione naturale, insita in me, un piccolo dlin che mi trasportò altrove, in un luogo buio nel mio animo scavato con le unghie e in cui nascondevo il mio peggior incubo.
Mi ridestai solo quando Mel mi afferrò per le spalle.

I suoni in sottofondo ripresero vita: passanti distratti che nel caos di fronte all'uscita dell'aeroporto trascinavano bagagli a mano e voci stanche che chiamavano taxi sul bordo della strada.
"Ti ho già detto che andrà tutto bene." Zia Mel mi prese sottobraccio e mi fece sedere sulla panchina di fronte alle enormi vetrate.
Si chinò sulle ginocchia e mi strinse le mani.
"So che ti sembra la scelta sbagliata, e so anche quanto mi stai detestando in questo momento." Respirò profondamente. "Ma è tuo padre, Bride. Ed è l'unica persona che in questo momento può aiutarti."
Aveva ragione, non su mio padre, ma sul fatto la detestassi. Mi stava abbandonando e io non potevo accettarlo.

La me di molti anni prima era già stata lì, al terminal di Jackson Hole, ma niente della ragazza che ero in quel momento ricordava la Bride di un tempo.
Avevo perso l'arroganza, buona parte della mia bellezza, per quanto agli occhi degli altri non fosse così, e avevo il cuore in frantumi.
Erano sei anni che non mettevo piede nel Wyoming.
Non avevo mai accettato la separazione dei miei genitori, tanto meno la scelta di mio padre di trasferirsi dall'Irlanda in America.
Detestavo dover attraversare un intero Oceano per vederlo, ancor di più avere del tempo limitato da trascorrere con lui. Fu più facile per me interrompere i contatti e smettere di andare a fargli visita.

Sei anni senza rispondere alle sue lettere e alle chiamate nonostante le insistenze di mamma, erano troppi persino per un padre e una figlia.
Me ne accorsi quando sentii una voce chiamare il mio nome.
"Bride..."
Aveva un accento poco americano, più vicino al mio inglese, eppure mi parve sconosciuta come tutto ciò che avevo attorno.
L'uomo in piedi a due passi da me, con il volto contrito e qualche ruga sul volto era l'unico pezzo di famiglia che mi era rimasto, ma niente di più lontano dall'unica casa io conoscessi.
Mi alzai meccanicamente, sentii il freddo penetrarmi le ossa.
Stava nevicando.
Guardai Mel quando mio padre mi abbracciò con uno slancio istintivo.
Restai inerme sotto la sua stretta, con le braccia lungo i fianchi, le dita conficcate nei palmi delle mani ghiacciate e il respiro mozzato in gola.
Fu strano respirare il suo profumo, speziato e pungente come i luoghi che ormai abitava da anni.

Era alto, con un lieve accenno di barba attorno alle labbra piene e gli occhi di un verde brillante come i miei.
Gli assomigliavo, ma assomigliavo anche a mia madre, con la chioma folta di capelli rossi e la pelle chiara.
Quel pensiero mi fece rimettere i piedi per terra, al motivo per cui ero lì: mamma non c'era più.
Mi aveva lasciata, se n'era andata, e nel modo peggiore esistesse al mondo.
Eravamo sempre state solo noi, con le nostre lunghe passeggiate sulla costa di Kinsale, con le giornate di sole passate sulla barca che ci aveva lasciato il nonno e le vacanze ad ammirare le onde infrangersi sulle scogliere  e antichi fari abbandonati sul Mare del Nord.
Solo dopo aver perso tutto, il mondo che avevo vissuto mi era crollato addosso, lasciandomi sola sotto le macerie.
Avevo intenzione di voltare pagina e ricominciare, ma non sembrava semplice.
Me ne resi conto quando Mel mi salutò al Gate 22, persino lei non si era voluta accollare il disastro che ero diventata.

The Untouchable LoveWhere stories live. Discover now