Capitolo 43 (X). Silvia Palestro, in Testino

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«Per cui. . . tu, Silvia, non vedi qualcosa di strano in questo che succede? Parliamo solo da un punto di vista razionale, voglio solo capire il tuo punto di vista; fai finta che io sia un tuo amico che non conosca Ilaria. . . », Marco provò a guardarla negli occhi, anche con gli occhiali da sole Silvia sembrava però ascoltarlo attentamente, «e vedo questa situazione: la mamma vera di fronte a te e tu che ti chiami "mamma" con lei presente. Ecco, anche se io non conoscessi Ilaria. . . mi parrebbe un po' strano e te lo direi, ecco.»

 «Marco. . . cosa intendi tu per mamma "vera"?», Silvia gli pose una mano sulla gamba, si tolse gli occhiali da sole e lo guardò negli occhi, «. . . perché forse è questo il nostro equivoco.»

«Non so Silvia. . . », Marco cercò di ignorare il contatto della mano di Silvia, anche se lo turbava un poco, e le disse, calmo: «vorrei dirti la risposta ovvia: mamma "vera" è colei che l'ha partorito, ma non è così, ci sono anche gli adottati, lo capisco; però qui è facile, credo: c'è una situazione di genitori separati, la mamma "vera" è quella separata; la seconda moglie del papà non è mamma "vera". D'accordo. . . qui non saresti la seconda moglie, ma la prima, perché Ilaria non è mai stata moglie di Andrea, però il concetto è uguale: Andrea ha fatto un figlio con Ilaria, non con te. Come sai sono anch'io figlio di separati, mio padre si è risposato ma non ho chiamato mai "mamma" sua moglie, la chiamo "zia Maria", non era mia mamma e non si è mai chiamata "mamma" con me, neppure da bambino: perché dovresti farlo tu? Dimmi.» 

«Perché ogni donna ha una sensibilità differente. Io sono diversa dalla tua matrigna, o dalla tua "seconda mamma", se vuoi chiamarla così, o "zia" anche se mi pare più un gergo dialettale. Poi Emanuele è piccolo: è chiaro che mi affezioni in questo modo, viene spontaneo per una donna. . . oh. . . ma eccolo qui, tesoro!» Emanuele aveva riempito una formina a forma di gelato con sabbia e la stava portando a Silvia; «cos'hai portato a mamma? Ma che buono, un gelato. . . », fece il gesto di leccare dalla formina, «mamma lo mangia tutto. . . », gliela restituì, «vai, tesoro, fai ancora tanto gelato a mamma» 

Emanuele sembrò soddisfatto del risultato; provò a battere le mani, la formina gli cadde, si chinò per riprenderla col risultato di cadere anche lui col sedere a terra; ma non si buttò giù per così poco: la prese, si rialzò, ciondolò fino alla sabbia e riprese a riempire il rimorchio.

«Vedi, Marco», gli disse, allargando le braccia, «cosa c'è di sbagliato? Cosa avrei dovuto dirgli secondo te?» 

«Non so. . . se tu fossi una baby sitter. . . diresti: "che bel gelato hai portato a Silvia"! Non "a mamma".»

«Però io non sono una baby sitter, ti rendi conto di questo Marco? Non mi considero tale, sto per sposare il papà. Gli do amore, cura, attenzioni; anche una baby sitter lo fa, certo, ma lei lo fa per soldi, io lo faccio per amore verso Emanuele e verso suo papà che sposo; comprendi?»

«Ma anche Ilaria lo fa con amore! Questo lo ammetti, o no? È la mamma "vera" lei? Possiamo concordare almeno questo?»

Silvia non rispose subito; si distrassero entrambi, ognuno perso nei propri pensieri; e all'improvviso Emanuele richiese attenzioni con un pianto sconsolato. 

«Oh, tesoro che c'è?» esclamò Silvia, andandogli subito vicino , non si erano accorti che il bambino grande — troppo interessato a quel camion — era tornato alla carica; Emanuele quella volta non aveva fatto in tempo a difendersi, il bimbo grande glielo aveva sottratto e portato via; Emanuele all'inizio era rimasto con gli occhi aperti, sorpreso di quel cambiamento che però non gli era piaciuto affatto: e poi aveva cominciato a piangere sconsolato.

«Oh, il bimbo grande ti ha preso il camion», Silvia vide l'altro bimbo con il camion di Emanuele, lo abbracciò per calmarlo, «o tesoro. . . che facciamo adesso?»

Dolore e perdono (Parte VII. La tragedia)Where stories live. Discover now