Patient 102 | Frerard

De partybugpoison

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#1 in FRERARD ! [30.09.20] #1 in Frank Iero [13.12.20] #1 in My Chemical Romance [02.10.20] gay drama... Mai multe

Prologue
1. Like Every Other Day
2. Patient 102
3. What Should I Do?
4. Apathy
5. That Smile
6. Numbers
7. Look At Me
9. There Is Nothing Outside
10. Happy Birthday To You...
11. Beating Hearts
12. Pear Juice
13. It Can't Happen
14. Flashback
15. Tears
16. You Deserve It
17. River Flows In You
18. Surviving
19. More Than Thousand Words
20. And Without You Is How I Disappear - Epilogue.

8. Dr. Bohan

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De partybugpoison

«È davvero affezionato a quel paziente. Ma non posso permettere di farlo tenere lì per sempre senza sapere il suo passato.»

«Se per il momento non c'è stata alcuna complicazione – anzi, solo miglioramenti da parte del paziente – perché ti preoccupi tanto?»

«Perché non va bene, il modo in cui lavora quel ragazzo. Hanno messo a lavorare l'uomo sbagliato lì dentro. Non sa nemmeno cosa sia la rigidità, la fermezza e l'indifferenza. È così che ci si comporta in quei postacci! Devono essere trattati tutti allo stesso modo.»

«Lo so anch'io, Jack, ma smettila di tormentarti tanto. Troverai lavoro anche tu, di nuovo. Sei un dottore infondo»

L'uomo guardò sua moglie e si accarezzò la barba sospirando.

«Pensi che io sia frustrato, vero?»

«Non è questo... so che è difficile, ma lascia che quell'uomo nel bel mezzo del percorso della sua giovinezza faccia quello per cui ha lavorato. Proprio come hai fatto tu tanto tempo fa» La donna sorrise al dottore, poggiando gentilmente una mano sul dorso della sua.

«...Hai ragione», sospirò.

***

Prese una sigaretta dal taschino, la accese e cominciò a consumarla, insieme alla suola delle scarpe che si grattugiava sfregando sull'asfalto malridotto.

Frank aveva quell'abitudine. Fumare per levarsi i pensieri e le tensioni di dosso, eppure il suo non era un vizio; sapeva benissimo controllarsi, fumava massimo tre sigarette al giorno.

Raggiunto l'appartamento, spense la sigaretta nel lavandino e la buttò nel water.
Si sciaquò il viso, dirigendosi poi verso la cucina per prepararsi qualcosa da mangiare.

La sua vita era abbastanza monotona, se non fosse stato per il lavoro e qualche uscita con Linda e Roy. Di amici suoi lì non ne aveva ancora.
Si era trasferito lì da meno di un anno infondo.

Ad interrompere la sua solita quiete fu il telefono, che cominciò a squillare nel corridoio.

«Pronto?»

«Frank? Frank abbiamo bisogno di te... Mi dispiace, so che sei appena tornato a casa ma-»

«Arrivo.»

Infilò un braccio nella manica della giacca e chiuse la porta, scendendo di corsa le scale.

Finì di mangiare il suo sandwich in mezzo alla strada, mettendosi poi a correre finché non riuscì ad intravedere la struttura sanitaria.

Continuava a domandarsi cosa fosse successo, era preoccupato, e la sua mente premeva ad un solo pensiero: Gerard Way.

Aveva instaurato un rapporto diverso con lui, un rapporto speciale, o come si voleva chiamarlo.
Il paziente si fidava di lui e aveva preso abbastanza confidenza per sentirsi a suo agio, a volte per sentirsi al sicuro lo abbracciava anche.
E tutti, in quella struttura, lo avevano capito.
Frank era l'unico in grado di aiutare Gerard, e di questo ne era consapevole perciò cercava di lavorare più con lui che con gli altri; non per arroganza, ma per il timore che qualcuno potesse fargli del male a causa le sue reazioni.

«Linda, che succede?»

«Per fortuna che sei qui, svelto, raggiungi la stanza 102» Disse la donna preoccupata.

Senza chiedere altro, Frank corse fino a raggiungere la stanza del paziente Way, e non appena la aprì, i suoi occhi vennero inondati dalle lacrime.

Linda gli corse dietro, «Abbiamo chiamato l'ambulanza, è nel cortile, ma lui non...!»

«Va', vai ad aprire le porte. Ci penso io» Frank si chinò davanti al paziente e provò a toccarlo, ma questo si rifiutò di collaborare e lo scacciò.

«Gerard! Smettila! Voglio aiutarti! Avevi promesso...» Fissò gli occhi spaventati di Gerard, che a quelle parole smise di combattere contro di lui, così il moro lo prese delicatamente tra le sue braccia e lo sollevò.

«Non permetterò a nessuno di farti del male, te lo prometto» E detto questo, si affrettò ad uscire dalla struttura con il paziente tra le braccia, accompagnandolo fino all'ambulanza, dove poi lo fecero mettere sul lettino.

Insistì per stare accanto a Way sull'ambulanza, e così gli lasciarono fare. Infondo il paziente non aveva nessuno che potesse prelevarlo e riportarlo al centro di recupero.

Gerard probabilmente perse i sensi fino al viaggio, perché quando riaprì gli occhi era confuso e continuava a fare domande all'infermiera.

«Stia tranquillo, qualcuno verrà presto»

«No... no... ho bisogno di Frank...» Riuscì a sussurrare il giovane, ma l'infermiera dopo aver sistemato la flebo lasciò la stanza.

«Non mi hai... l-lasciato qui... vero?» Continuò a parlare tra sè e sè, cercando di mantenere la calma. Alzò un po' la testa e si guardò le braccia.

Che disastro.
Che disastro che era.

Aveva tentato il suicidio.

Era stufo di quel posto.
Promettevano di riabilitarlo e invece lo buttavano sempre più giù, lo affogavano nelle pillole fino a fargli dimenticare cosa facesse e chi fosse al di fuori di quella struttura, un tempo.
Poteva giurare di non ricordarsi nemmeno quale fosse il suo carattere.
Non sapeva che preferenze avesse, se si parlava di cibo, di vestiti, di donne. Era come in coma, un coma vivente, e quella struttura così priva di vitalità lo stava uccidendo.

Frank era la sua unica, piccola briciola di speranza che aveva in quel brutto posto, ma non poteva bastare a tirarlo su di morale.
Non poteva essere felice.
Non lì, e forse nemmeno da qualche altra parte.
Gerard ormai stava dimenticando cosa gli avesse causato quei problemi al sistema nervoso; non era quasi più in grado di ricordarsi l'accaduto. Quello che lo aveva traumatizzato.

Quelli del centro avrebbero magari detto che fosse una cosa buona, ma non lo era affatto, perché Gerard si sentiva ogni giorno sempre più apatico e vuoto. Non capiva che senso avesse la sua vita.
Cosa avrebbe dovuto aspettare. Non voleva aspettare lì per sempre però, questo era sicuro; preferiva togliersi la vita.

Aveva rotto il piccolo specchietto riposto nel cassetto della scrivania, aveva preso un frammento di vetro lungo e sottile e aveva cominciato a pungersi le braccia.
Pungersi, finché non cominciò ad affondare la punta nella carne. Finché non lasciò dei tagli lungo le braccia, le gambe.
Mentre lo faceva, mentre si dissanguava, rimaneva con lo sguardo fisso sui suoi movimenti. Senza pensare, senza provare.
Quasi come se lo rilassasse, vedere tutto quel sangue. Come se lo sollevasse.
Come se si fosse reso conto di essere, a qualche effetto, un essere umano.

Una voce lo risvegliò dai ricordi.

«Ti ho portato un bicchiere di latte...» Lo lasciò sul comodino e si sedette alla poltroncina davanti al letto. Nervoso, si passò ripetutamente una mano fra i capelli per spostarli all'indietro, ma non osò guardare Gerard.

Quest'ultimo se ne accorse, perciò si sporse e con cautela mise un dito sotto al mento del ragazzo, sollevandolo di poco.
«Perché non mi guardi?» Chiese Gerard con la solita voce bassa, seppur acuta, e le sue parole finirono come un soffio sul viso del ragazzo.

Lui, sorpreso, alzò lo sguardo sul suo viso.
«Scusa, ero... pensavo» Disse leccandosi le labbra secche, alla ricerca della bottiglietta d'acqua che ritrovò nella propria borsa – quella in pelle marrone che usava a lavoro.
Così facendo, distolse di nuovo lo sguardo.

«Frank»

«Sì?» Rispose il moro, cercando di tenere un tono totalmente professionale, senza farsi sopraffare dai sentimenti, dal dolore che stava provando nel vedere quell'uomo sul lettino d'ospedale per un suo errore. Uno stupido errore che non avrebbe dovuto commettere.

«Mi dispiace» Sussurrò.
«Sono stato sleale» Ammise, afferrando una mano all'uomo davanti a sè e stringendola debolmente.
Aveva le braccia limitate dai movimenti per via delle fasciature.

«Non... sì. Non avresti dovuto farlo.» Frank rialzò lo sguardo su di lui. «Ma non lo dico per me. Lo dico per te. Non dovresti farti questo. Non devi, vali molto più di questo»

A Gerard si accese una scintilla strana negli occhi. Cos'era, sorpresa? Eccitazione? Speranza?
Niente di tutto questo.
Era rabbia.

«Che stai dicendo?» Lasciò la mano all'assistente, coprendosi con le lenzuola fino al mento. «Non valgo nulla... nulla»

Frank si morse forte le labbra dal nervoso.
Si alzò dalla poltrona e, chinandosi con il viso rivolto verso quello di Gerard, disse: «Dannazione, vali molto più di quello che pensi. Non è colpa tua se sei finito lì dentro, io so, so benissimo che se...» Aggrottò la fronte, deglutendo, «Se tu reagissi, in qualche modo, se potessi dimostrare che dentro di te... dentro di te provi ben altro oltre la rabbia...»

«Ti sembro un rabbioso? Un pazzo? Mi stai dando del pazzo? Anche tu, adesso?»

«No. Ascolta, non importa. Io... ti farò uscire da lì»

Gerard sentiva di poter piangere. Aveva il bisogno di farlo, e non lo faceva da quanto?
Lo aveva dimenticato, anche quello.
Aveva scordato cosa si provasse a piangere.
Si era totalmente dimenticato di che sapore avessero le lacrime.

Quando il moro notò che il volto di Way cominciava a riempirsi di lacrime, fino a scivolare copiosamente sulle sue guance, mise le mani sul suo viso e lo accarezzò piano.
«Gee...»

«Frank... grazie... non smetterò mai di r-ringraziarti» Disse sforzandosi a non singhiozzare le parole, tirando su un sorriso attraverso quelle lacrime.

Era bello.
Un viso così dolce, rovinato e sgualcito per colpa della depressione.
Un corpo così magro che Frank aveva persino paura a prendere tra le braccia.

«Allora non farlo. Non smettere di ringraziarmi» Disse Frank con la speranza che gli cresceva dentro, insieme alla paura.

Avrebbe fatto di tutto per farlo uscire da lì, dopo averlo visto capace di ridursi in quel modo, e sapeva che non sarebbe stato facile ma avrebbe rischiato.

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