TWICE - Like a storm

Por KellyCherish

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Victoria Wilson, newyorkese di nascita vive la vita che tutte le ragazze della sua età vorrebbero. Figlia del... Mais

Cast
PROLOGO
MY HANDS ARE TIED - Scarlett
THERE ARE CLOUDS ON THE HORIZON ...
YOU CAN'T JUDHE A BOOK BY ITS COVER
WHEN IT RAINS IT POURS
THERE'S NO SUCH THING AS A FREE LUNCH
CLOSE YOUR EYES AND MAKE A WISH
PULL YOURSELF TOGETHER
NO PAIN, NO GAIN
ACTIONS SPEAK LOUDER THAN WORDS
WRAP YOUR HEAD AROUND SOMETHING
A PENNY FOR YOUR THOUGHTS
BARKING UP THE WRONG TREE
LOVE IS A FRIENDSHIP SET ON FIRE
A LITTLE MAN
THAT'S THE LAST STRAW
NO GOING BACK
Hang in there
IT'S UP TO YOU
ADD INSULT TO INJURY
HEARTWARMING
START FROM SCRATCH
YOUR GUESS IS AS GOOD AS MINE
THE BREAKPOINT

THAT SHIP HAS SAILED

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Por KellyCherish


Fammi assaggiare le tue tentazioni. Secondo me hanno il gusto dei miei brividi.
(Fabrizio Caramagna)



VICTORIA'S POV


Dicono che la mente non sia in grado di amare. Che il cervello sia il vetro blindato del nostro organo pompante. Il cuore irradia amore ed il cervello cancella il veleno iniettato, come una sorta di antidoto.

Sciocchezze. Avrei potuto confutare io stessa quella assurda teoria degna un famoso, ma a me sconosciuto, psichiatra di fama mondiale.

Erano passati ben cinque anni ed il tempo non aveva curato proprio un bel niente. Avevo iniziato a pensare che nel mio organismo ci fosse qualcosa di malato, di difettoso. Un pò come se le piastrine fossero sotto il minimo consentito e che non avessero la forza di cicatrizzare tutte le ferite che il mio cuore si portava dietro.

Per non parlare della memoria. Quella non fa parte della mente? Cosa mi diresti della memoria signor psichiatra? Quella impudente me lo aveva fatto immaginare talmente tante volte tra le strade di New York, nei caffè che frequentavo, alle feste aziendali, sotto una delle tante querce bianche di Central Park.

Una volta il suo volto mi era apparso su un corpo robusto e tarchiato solo a causa del suo profumo. Quel mix afrodisiaco di velvet e betulla che tormentava i miei sensi. Non ne avevo parlato con nessuno, neanche con la mia psicologa, la signora Brown. Mi avrebbe fatta internare se le avessi parlato di quelle allucinazioni assurde che ogni tanto venivano a trovarmi.
Ma io non riuscivo ad arrendermi, a lasciare andare il ricordo di lui.

Ed è proprio vero che certe sensazioni sono così infime da convincerti a farti andar bene qualsiasi cosa, anche la più tossica. Il problema è che lui per me non era affatto tossico. Lui era il petalo sbocciato su una rosa rinsecchita, che era la mia vita.

 Vulkan mi aveva regalato il suo cuore. Aveva aperto a conca le mie mani e me l'aveva posato lì, quella sera, a casa sua. L'avevo visto nei suoi occhi ingrigiti dalla sofferenza.

"Non azzardarti a lasciarmi solo". 

Era questo che mi aveva supplicato di fare nella sua cucina, mentre mi confessava di non poter lasciare Pinar prima del termine delle riprese.

Io non conoscevo il suo mondo. Quelle assurde e ridicole dinamiche mi erano del tutto sconosciute. Ma non era l'ignoto a spaventarmi, quanto il fatto che una persona pura come Vulkan fosse scesa ad un patto del genere.

Quante altre cose sarebbe stato in grado di fare per aiutare sua sorella?

Leyla. 

Quel nome mi aveva tormentata per giorni. Non sapevo niente di lei, neanche della sua esistenza. Avevo compreso che Vulkan dovesse prendersi cura di sua sorella, ma il perché mi era del tutto sconosciuto e non avrei chiesto, avrei aspettato che fosse lui a parlarmene se ne avesse avuto voglia.

La sua discrezione era stato l'appiglio a cui avevo affidato la mia rinascita anni prima. Non chiedevo di parlarmi di sé, per evitare di dover raccontare di me. C 'era una sorta di patto tacito tra noi. 

Dover parlare della mia famiglia mi rendeva fragile ed insicura, l'avevo imparato a mie spese. Lo evitavo quando potevo, illudendomi di poter sfuggire da quel senso di appartenenza che finiva sempre per ricordarmi di essere una Wilson.

Nell'ultimo periodo i peggiori ricordi erano tornati a farmi compagnia. La ripugnanza di mia madre nei confronti della maternità era palese anche agli sguardi piú disattenti. Si prendeva cura di me solo per vestirmi a bambola di pezza da sfoggiare in società. Anche mentre mi pettinava i capelli a soli 4 anni mi ricordava quanto dovessi essere perfetta per mostrare la mia discendenza dalla famiglia Wilson. Per non parlare di mio padre. Lui mi aveva sempre fatta sentire fuori posto, non desiderata. Come un errore del destino al quale avrebbe dovuto rassegnarsi. Sapevo che avrebbe preferito un figlio maschio a me, si premurava a ricordarmelo. Mancava l' erede, come lo chiamavano i suoi amici del club degli stupidi.

Avidi di soldi, fama e denaro. Tutte cose che ovviamente possedevano a bizzeffe. 


Parlare a Vulkan della mia famiglia avrebbe significato scendere in dettagli che avevo deciso di tenere fuori per non sprofondare in un loop senza ritorno.

Vulkan era stato l'unico uomo a cui avevo lasciato scavare sotto il mio ultimo strato di pelle, quello più vicino agli organi vitali. Conosceva a memoria il suono del mio cuore che aveva fatto ballare a ritmo con il suo. Vulkan comprendeva perfettamente il cadenzare dei miei respiri come il più bravo degli interpreti. Aveva imparato a distinguere i miei respiri a seconda che fossi in preda all'agitazione o all'eccitazione, soprattutto quest'ultima quando mi era accanto. Ed io sapevo che neanche la fantomatica relazione con Pinar avrebbe potuto placare la mia voglia di lui.

Uno strano gioco del destino mi aveva riportata ad Istanbul ed uno ancora più assurdo aveva fatto in modo che lui divenisse il mio capo.
Quante possibilità c'erano di rincontrarci in quel modo? Praticamente nessuna ed io avevo capito di non potermi opporre al fato.




Erano trascorse due settimane. Non l'avevo più cercato dopo quella volta, quella in cui avevo sbattuto la porta di casa sua rintanandomi per due giorni nella mia.

Mi aveva mandato un semplice messaggio per assicurarsi che io stessi bene e mi aveva meravigliato il fatto che non fosse corso a tormentarmi , per non avergli risposto.

Era cambiato, non c'erano dubbi.

Lo ero anche io.

Eppure eravamo sempre lì, ancorati l'uno all'altra, come attratti dal più potente dei magneti.
Scarlett aveva cercato di trascinarmi a qualche festa con i suoi amici, ma l'idea di rivedere anche solo Alp mi aveva fatta desistere.

Sapevo che non l'avrei rivisto fino a Novembre, me lo aveva comunicato Baris durante l'ultima riunione e questo avrebbe significato non rivederlo più. A dicembre sarei dovuta rientrare a New York come da accordi con Archie. Solo allora mi ero ricordata di essere bloccata, intrappolata da una firma apposta in calce ad un contratto, in un gioco di potere dal quale avrei voluto allontanarmi il più possibile.

Quell'accordo sarebbe stato la mia salvezza o forse sarebbe stato la mia condanna. L'ennesima aggiungerei. Ricordavo ancora quando le mie amichette di scuole si lamentavano della loro vita, implorando di fare a cambio con la mia. Eppure, quando vedevo il modo in cui i loro genitori le guardavano, il modo tenero e comprensivo con cui tenevano le loro mani. Quando notavo i sorrisi sui loro volti quando venivano a prenderle alla fine delle lezioni, ero io a voler scambiare anche un solo giorno della mia vita in casa Wilson, per capire come fosse essere amati da una mamma e da un papà. Cosa significasse accarezzare i capelli setosi della propria mamma e non sentirsi dire di stare attenta a non scompigliarli; o di salire sulle ginocchia del proprio padre e non vedersi allontanare in malo modo per il timore di aggrinzire il suo abito sartoriale da 10000 dollari.

Tutta quell' ossessione per i soldi e per il potere aveva finito per darmi alla testa. Avevo lottato per allontanarmi dal loro mondo e dai loro lavori decisamente più importanti di me. Mi sarei trasformata in una leonessa per impedire che mia figlia venisse risucchiata nella stessa tana arida in cui ero finita io. Purtroppo, Archie non faceva altro che ricordarmi quanto fosse simile a mio padre ed io non potevo permettermi di lasciare Charlotte nelle sue mani. Non l'avrei mai fatto.





<< Victoria sono arrivati i soci di Londra e Parigi, dovresti venire di sotto >> fu proprio Scarlett a ricordarmi di essere finalmente arrivati al giorno dell'inaugurazione del Kindy Luxury Hotel. Seguii la mia amica fino all'ascensore ed accolsi i nostri ospiti con un sorriso forzato.

<< Piacere signora Wilson, io sono Lucas Grey >> disse il direttore generale dell'hotel di Londra porgendomi la mano. Ricambiai stringendogliela quando il mio sguardo fu rapito da una figura alle sue spalle.

Era lui, Vulkan. La sua testa bassa ed il suo sguardo assente mi fecero subito intuire il suo pessimo umore.
Superai i due uomini di fronte a me e spinta da una forza sovrumana, mi accostai a lui. Lo osservai dal basso sperando che mi degnasse almeno di un saluto.

Non lo fece. 


Girò i tacchi e si diresse nella sala riunioni. Lo seguii sperando che Scarlett potesse distrarre gli altri dal seguirci nella stessa stanza. Entrai sbattendomi la porta alle spalle. Ero adirata. Mi tormentava il suo essere così labile e sfuggente.

Lo vidi raggiungere il grande tavolo circolare e poggiare i palmi aperti delle mani sullo stesso.

<< Stammi lontano >> affermò guardando altrove.

<< Stai scherzando? >> non riuscivo a controllare la delusione.

Ero intenzionata a portare a termine quella conversazione. Non meritavo di essere trattata in quel modo. Mi avvicinai a lui e lo spintonai, pur non muovendolo di un passo.

<< Guardami codardo >> lo sfidai.

<< Guardami negli occhi e dimmi che non provi niente per me, che per te non conto niente >> proseguii. L'effetto sortito non fu quello sperato. Voltò la testa verso la finestra, dall'altra parte della stanza e strinse i palmi delle mani fino a far sbiancare le sue nocche.

Quello che avevo di fronte, in quella stanza fredda e vuota non era affatto l'uomo che avevo conosciuto e per il quale avevo perso completamente la testa anni prima. Lui mi avrebbe guardata negli occhi e avrebbe avuto il coraggio di rispondere a quella stupida domanda.

<< Dimmi che sei pronto a lasciarmi andare per sempre. Che sei pronto a rinunciare a me ed io starò lontana da te >>

<< Ti lascio andare Victoria >> confermó con tono affranto.

<< Signori dobbiamo dare inizio alla riunione. Tra poche ore ci sarà l'inaugurazione >> Scarlett mi raggiunse cercando di calmare la mia frustrazione. Avevo iniziato a tremare senza rendermene conto.

Fu grazie a quella riunione che scoprii che Vulkan fosse stato nominato direttore generale dell'hotel di Istanbul. Avrei dovuto comunicare con lui, esclusivamente con lui. Qualunque decisione relativa all'hotel avremmo dovuto prenderla insieme. Baris si sarebbe occupato del ristorante, mentre Vulkan del Kindy hotel. Quella notizia mi destabilizzó.
Mi aveva detto che non avrebbe potuto allontanarsi dalle riprese fino a Novembre ed a distanza di due settimane era cambiato tutto. Mi chiesi come avesse fatto a convincere il produttore e la mia risposta arrivò qualche minuto dopo, quando notai che ci fosse una suite prenotata a nome di Burkan Deniz senza una data di scadenza.
L'aveva corrotto per avere cosa in cambio? La situazione era sempre più confusa. 

La riunione proseguì per più di sei ore. Solo una piccola pausa pranzo mi permise di riprendermi da quella situazione paradossale della quale non comprendevo quasi niente.

<< Cosa sta succedendo qui dentro? perché c'è Vulkan e non Baris? >> chiesi a Scarlett sorprendendola in uno scambio di messaggi con Alp.

<< Alp dice che è stato Vulkan ad insistere per avere questo ruolo. Io penso voglia tenerti lontana da Baris ed il perché te l'ho spiegato Viky. Devi stare lontana dall'avvocato, ok ? >> asserì categorica. 

Avevo scoperto del problema di Baris qualche giorno prima. Scarlett era stata costretta a mettermi al corrente di tutto proprio quando le chiamate di Baris si erano fatte più insistenti. Nelle ultime due settimane aveva sviluppato una sorta di ossessione nei miei confronti. Mi chiedeva continuamente dove fossi e con chi e pretendeva che io facessi la stessa cosa con lui. Ne avevo parlato alla mia amica. Le avevo detto di non sentirmi al sicuro con lui e Scarlett mi aveva raccontato del suo disturbo istrionico-narcisistico. Quella confessione aveva acuito i miei timori. Le chiedevo di non lasciarmi mai sola al Kindy e di chiedere ad Alp di tenerlo il più lontano possibile da noi.

<< Io ed Alp stiamo cercando una soluzione al problema. Baris ha le spalle coperte e non è semplice tenerlo lontano dal ristorante. Restiamo sempre insieme e non ti accadrà niente Viky >> disse mentre tornavamo alla riunione.

<< Se insiste lo denuncio Scarlett >> erano giorni che pensavo a quella eventualità. 

<< Baris Koc? L'avvocato più in vista di Istanbul? e con quali prove? >> la sua risposta mi rese ancora più insicura. Effettivamente le prove in mio possesso  erano irrilevanti. I suoi atteggiamenti più preoccupanti erano spesso silenti, celati dietro sorrisi inquietanti. Avrei fatto come consigliava Scarlett evitando di restare sola con lui.

Tornammo nella sala riunioni poco prima dell'inizio dell'inaugurazione. Gli uomini erano sempre lì a discutere dell'organizzazione e di altre questioni attinenti il Kindy Group.

Erano le cinque del pomeriggio quando concludemmo quel lungo incontro. Eravamo tutti stremati. I soci seguirono Scarlett nel suo ufficio per firmare le ultime scartoffie. Io radunai le mie cose e notai Vulkan fare lo stesso. Eravamo rimasti soli. 

<< Non abbiamo ancora finito noi due >> dissi intenzionata a riprendere la conversazione interrotta poco prima da Scarlett.

<< Occupiamoci del motivo per cui sono qui: l'inaugurazione dell'hotel >> rispose impassibile.

<< Dobbiamo parlare di quello che è successo tra noi a casa tua >>

<< Ti sbagli Victoria, non c'è stato proprio niente tra noi >> mi trafisse con quell'affermazione.

<< Per niente intendi dire che ho immaginato una relazione di quasi un anno?  >> la collera mi stava divorando. 

<< Eravamo dei ragazzini senza responsabilità. Ci siamo solo divertiti >>

<< Io non mi sono divertita affatto Vulkan. Non è stato affatto divertente chiamarti per giorni e non ricevere alcuna risposta. Te lo ricordi cosa è successo tre giorni prima che sparissi? te lo ricordi cosa abbiamo fatto Vulkan? Ti ho lasciato superare un confine che per me era invalicabile >>

<< Non sarà stato così difficile superare lo stesso confine con qualcun altro visto che hai già una figlia >>

<< Non sai proprio un cazzo Vulkan. Non dire cose di cui potresti pentirti. Non sporcare quello che c'è stato tra noi >>

I miei occhi stanchi iniziarono a riempirsi di lacrime pronte ad innondarmi il viso e forse anche i vestiti.

<< Te lo ripeto. Non c'è stato niente di importante tra noi >> affermò chiudendo i bottoni della sua giacca . Il suo sguardo gelido ed assente iniziò a vagare per la stanza. Guardava in qualsiasi direzione, tranne che nella mia.

<< Me lo devi dire guardandomi negli occhi Vulkan >> lo implorai con voce soffocata dal pianto. In realtà, sperai che non lo facesse. Supplicai che non mi dicesse quelle assurdità guardandomi in faccia.

Vulkan aveva molti difetti, ma mentire non era tra questi. 

Vulkan non era un tipo da mezze verità, anche quando la sincerità poteva essere letale.

<< Non ho mai provato niente per te Victoria, sei stata un passatempo. Mi piace il tuo corpo, il tuo volto, persino l'odore della tua pelle, ma l'amore non ha niente a che vedere con noi. L'amore non fa per me >> disse incastrando i suoi occhi spenti nei miei intrisi di vane speranze.
Prese il suo blazer e lasciò la stanza. 

" NON HO MAI PROVATO NIENTE PER TE "

" L'AMORE NON FA PER ME "

Mi pietrificai.
Sentii quelle parole scivolarmi addosso come catrame, sporcarmi fino al midollo osseo così che non potessi più liberami delle chiazze che il loro passaggio avevano lasciato.

Vulkan, così come la vespa di mare, mi aveva ammaliata con i suoi tentacoli per poi uccidermi in meno di un minuto. 

Non versai neanche una lacrima, mi ridestai dal dolore e con una lucidità che non mi apparteneva lo seguii.

Non sarebbe bastata quella stupida frase ad affetto per uscire dalla mia vita, mi doveva di più questa volta. Mi doveva una spiegazione esaustiva.

Io la pretendevo.

Uscii da quella stanza e corsi verso l'ascensore che segnava il piano 55.

Presi le scale di emergenza e corsi fino all'ultimo piano, quello adibito ad hotel.

Iniziai a cercarlo vagando per i corridoi ancora deserti.
Lessi ciascuna delle targhette placcate in oro poste accanto alla porta di  ogni  stanza. C'era la suite Jupiter, la suite Venus, c'era persino la suite Universe. Ne erano 35 in totale. Ogni cosa richiamava il firmamento e per un attimo desiderai sentirmi parte di quell'immenso. 

Percorsi rapidamente il lungo corridoio e svoltai a sinistra, lì dove c'era la camera più grande.

La suite Eclipse, 170 mq di lusso e sfarzo. Usai la chiave magnetica e quando la lucina rossa tramutò in un verde accecante spinsi la porta ed entrai.

Non fu necessario addentrarmi oltre. Vulkan era esattamente dove avevo sperato che fosse.

Se non avesse provato nulla per me, come aveva detto, non sarebbe corso nell'unica stanza alla quale io stessa avevo dato un nome. L'avevo fatto pensando a noi, perché quella era l'unica stanza ad affacciare sul " 15 Temmuz Şehitler Köprüsü " , il ponte sul Bosforo. Era stato lui a raccontarmi la storia del ponte che unisce i due continenti. Mi aveva promesso che un giorno avremmo comprato una casa da cui poterne ammirare il riflesso nell'acqua, ogni sera prima di andare a letto.

<< La vista della luna deve essere pazzesca di qui >> disse prima ancora che potessi sbraitargli contro.

<< La vista della luna è meravigliosa da qui >> ammisi avvicinandomi a lui.

<< Eclipse, eh? sei stata tu a scegliere il nome di questa stanza? >> chiese nascondendo un mezzo sorriso.

Non risposi. Odiavo le domande retoriche. Che senso ha chiedere qualcosa quando si è assolutamente certi della risposta?

<< Ti ha seguita qualcuno qui? >> si recò alla porta e temetti stesse andando via, di nuovo. Invece, lui la aprì leggermente per dare uno sguardo all'esterno e poi la richiuse digitando il codice di blocco interno.

Se sospettava che potessi scappare non aveva affatto inteso le mie intenzioni.

Non sarei mai uscita di lì prima di parlare con lui, non quella volta.

<< No, ma ho chiamato Pinar e Baris. Ho proposto un quad. Pare abbiano accettato >>

<< Non farmi incazzare Viky. Pinar non la sfioro da quando hai rimesso piede ad Istanbul e Baris non devi neanche pensarlo. Hai capito? >>

<< Sarebbe un peccato non pensarlo perché è un gran figo >> lo provocai.

<< Victoria smettila >> mi redarguì.

<< Altrimenti? >>

<< Tu finirai per farmi perdere la testa >>

<< Pensavo non ti importasse di me, che non avessi alcuna influenza su di te. L'hai detto tu poco fa >>

<< Lo dico per te. Baris è pericoloso quando viene respinto e penso che te ne abbia già parlato Scarlett. Quindi fatti un favore e tieniti lontana  dai guai >>

<< Diventa pericoloso quando viene respinto. Potrei non respingerlo, potrei giocarci un pò >>

<< Fa come vuoi allora Victoria, adesso io me ne vado >> disse dirigendosi verso la porta d'ingresso. 

<< D'altronde non penso possa scandalizzarti immaginare la lingua di qualcun altro tra le mie cosce Kurt >> avevo deciso di portarlo al limite. Avevo bisogno di capire quanto ancora contassi per lui. 

<< Vuoi vedere la lingua di qualcuno sul bancone di una macelleria Wilson? >> mi si avvicinò con un paio di falcate, ma mi costrinsi a restare lucida.

<< Potrei volerla vedere altrove in realtà >> iniziai a girovagare per la stanza per stargli alla larga. Qualunque contatto tra noi avrebbe interrotto quel giochino rischioso che stavo conducendo.

<< Non scherzare con me Victoria, non farlo >>

<< Quanto ti rode Kurt immaginarmi con qualcun altro? immaginare il mio corpo nudo esposto al tocco di un altro uomo ? >> 

 Vulkan azzerò totalmente le distanze tra noi e mi zittì con il suo indice.

<< Ah Vulkan Kurt, sei un pessimo attore >>

<< e tu sei la mia condanna Wilson, il mio fottutissimo castigo >>

Sollevai lo sguardo e puntai i miei occhi dritti nei suoi. La terra prese a girare intorno a noi, in quella stanza, nell'esatto momento in cui le sue labbra finirono sulle mie già pronte ad accoglierlo. Il contatto delle nostre lingue, dei nostri sapori mi inebriò al punto che temetti di perdere i sensi.

<< Tu non hai la più pallida idea di quanto tutto questo sia sbagliato Wilson >> disse allontanandosi appena da me. 

<< quanto Kurt? >> 

<< Se adesso ti sfioro, non sarò più in grado di fermarmi Viky e tutto intorno a noi prenderà fuoco >> 

<< Potremmo bruciare per poi rinascere. Non è così che fanno le fenici? me l'hai insegnato tu >> lo desideravo come non avevo mai fatto prima. Lo volevo in ogni modo possibile.  

<< Tra un'ora c'è l'inaugurazione. Pensi possa bastarmi una sola ora con te santarellina? >>

<< Sto prendendo fuoco Kurt e qualcuno dovrà spegnerlo. A te la scelta >>  

La lussuria prese a campeggiare nei suoi occhi ammiccanti. Si precipitò sulla mia camicetta in lino e lo supplicai di non strapparmela intuendo la direzione dei suoi pensieri. Ne sbottonò uno ad uno i bottoncini e la lasciò cadere sul pavimento.

<< Come è possibile che tu sia più bella di come ti ricordassi? >> disse osservandomi i seni stretti in un corpetto cipria leggermente ricamato.

Posò le sue labbra sul mio petto e con maestria sganciò il gancetto del reggiseno facendogli fare la stessa fine della camicia. Prima che potessi accorgermene mi prese per le cosce a mi sollevò contro la parete agganciandomi ai suoi fianchi. Gli sbottonai la camicia vogliosa del contatto con la sua pelle. Morse avidamente le mie labbra come il più affamato degli animali. Mi trascinò sulla scrivania alle nostre spalle e mi poggiò su essa ponendosi tra le mie gambe. Riprese a mordere ed a leccare le mie labbra condannandomi alla più atroce delle sofferenze. Avevo voglia di lui e lo sapeva.

La sua camicia finalmente aperta mi mostrò i suoi pettorali scolpiti e tonici. Avvicinai il mio volto per respirare il profumo della sua pelle. Avrei voluto fermare il tempo. Presi a baciargli il petto lambendo ogni singolo centimetro di pelle.

Mi allontanò per dedicarsi al mio collo. Risalì lentamente prendendo d'assalto la zona limitrofa al mio orecchio. Tirò giù la zip posteriore della mia gonna e sollevai il bacino per permettergli di toglierla. Solo lo slip era rimasto a coprirmi. Si allontanò ancora una volta e mi osservò attentamente. Si leccò le labbra e mi dedicò il più libidinoso degli sguardi, poi sorrise.

Quel sorriso era l'emblema del suo fascino prorompente.

Era l'arma con la quale Vulkan Kurt otteneva qualunque cosa volesse.

<< Le mie lune >> disse passandoci sopra l'indice e quel semplice contatto mi fece vibrare in preda all'eccitazione.

Si avvicinò al mio capezzolo e lo strinse tra i denti, poi lo baciò delicatamente, prima solo con le labbra umide, poi con la lingua bollente. Fece scivolare una mano tra le mie cosce , avvicinandosi ovunque tranne dove volesse io. Scostò di lato le mie mutandine ed accarezzò esternamente le mie labbra continuando a torturarmi entrambi i seni con la bocca.

<< Vulkan >> lo implorai.

 Volevo di più.

<< Dimmi cosa vuoi santarellina? >> rise malizioso.

 Sapeva benissimo cosa volessi.

<< Te. Voglio te >> 

<< Ma io sono qui >> voleva giocare, ma io non ne avevo più le forze. 

<< Vulkan ti prego >> mi morsi il labbro in preda all'estasi. 

<< Devi dirmi esattamente cosa vuoi santarellina >> me lo sussurrò nell'incavo tra collo ed orecchio e temetti sul serio di raggiungere il climax solo a causa di quelle parole. 

<< Voglio sentirti Vulkan >> dissi sbottonandogli con impeto i pantaloni ormai stretti sulla sua vistosa erezione. 

<< Vuoi sentirmi qui Wilson? >> disse scostando le mie mutandine ormai madide. 

Il suo pollice finì sul mio monte di venere ed i miei umori presero a scorrere lungo il mio interno coscia. Si accovacciò tra le mie gambe, le divaricò ed avvicinò il mio bacino alle sue labbra. Baciò   furtivamente il mio tatuaggio e poi leccò via i miei umori tra le cosce accentuando la mia smania. 

<< Questo è il mio universo e tu l'hai regalato a qualcun altro >> disse prima di avvolgere il mio clitoride tra le sue labbra carnose. Dovetti trattenermi alla scrivania per non cadere. Le scosse di piacere invasero prima le mie gambe, poi tutto il mio corpo. Proprio quando ero sul punto di esplodere si scostò da me e corse a baciare nuovamente il mio interno coscia. 

<< Dovrai farti perdonare Wilson >> 

<< Tu invece hai indossato la cintura di castità per tutto questo tempo Kurt? >> lo schernii più eccitata che incazzata.

<< Le mie labbra non finiscono ovunque Wilson, lo sai benissimo >> infilò l'indice tra le mie piccole labbra e fece circolare con delicatezza il pollice sul mio clitoride. Voleva farmi impazzire, come se non lo fossi abbastanza. 

<< Vulkan così impazzirò >> mi lagnai.

Aumentò il ritmo della mano e si sollevò accostando le sue labbra al mio orecchio.

<< Rivestiti santarellina >> disse allontanandosi di scatto da me. 

<< Sei impazzito Vulkan? >> il cuore prese a pulsarmi anche nelle orecchie. 

<< Te l'ho già detto. Non qui , non per pochi minuti. Questo era solo l'antipasto >> avrei voluto avere la sua lucidità. Ero allibita. 

<< Viky sei qui? >> la voce di Scarlett mi fece balzare giù dalla scrivania. Sollevai la gonna e cercai di tornare presentabile, per quanto poco fosse possibile. 

Vulkan aprì la porta lasciandola entrare. 

<< Sono qui per dirvi che venerdì prossimo dovrete partire insieme per l'inaugurazione del Kindy Luxury Hotel di Parigi >> disse rassegnata alla nostra sconsideratezza.

<< Così potrete inaugurare anche una di quelle suites >> aggiunse quasi disgustata.

<< Non abbiamo fatto sesso Scarlett >> replicai impettita.

<< Signorina Wilson durante l'inaugurazione. E' proprio una cattiva ragazza >> mi derise lui sistemandosi la patta dei pantaloni. 

<< Vaffanculo Kurt >> 

<< Non vedo l'ora Wilson >>  fu il suo occhiolino allusivo a farmi immaginare tutte le sue cattive intenzioni.


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