Infinite Darkness | Mattheo R...

De ViolaWyse

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A volte il silenzio, l'indifferenza e la solitudine diventano parte della tua vita, diventano quotidianità e... Mais

Dedica
Playlist
CAST💫
Prologo
1. Again
2. Secrets, lies and fake pieces
3. Eavesdrop and Discover
4. Controlled Mind
5. Compulsory education
6. Punishment and hate (1)
7. Punishment and hate confused (2)
8. I know you try to fool me but maybe you don't for a few seconds
9. I don't see the common thread even though I know it exists
11. We can't speak
12. No it does not
13. Things change because i want
14. Tackling even just a small piece is already a lot
15. Strange moments, astral if you can call them that
16. The pieces came together without thinking about it
17. You are so obnoxiously you
18. You're an imbecile asshole

10. Instinct

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De ViolaWyse


«Per quanto basso sia un istinto è sempre a portata di mano.»
Mirco Stefanon

SHEILA

Rimasi tutto il giorno a scrivere e perdermi nei rumori della foresta, del lago e delle sue acque così nitide e intonate a un suono calmo e naturale.

Mi calma sempre questo posto. Mi ricorda lightmare, solo che qui c'è solo un più di pace.

Persi la cena e le lezioni ormai erano dimenticate, sarebbe stato un problema di domani.

Non mi interessa di nulla, assolutamente nulla, se non capire e rilassare le informazioni contenute nella mia mente, che diventano palline rimbalzanti all'interno della mia testa.

Quelle palline che sono dentro la mia scatola cranica da fin troppo tempo, che però non riesco a far uscire da lì.
Sono troppo pesanti e comode, nel tempo ci ho fatto l'abitudine.

E mi sono arresa al fatto che non se ne andranno mai. Loro fanno parte di me e io non sono nulla.
Non hanno importanza.

Stavo guardando le piccole onde create dal vento spargersi per il lago, alcune chiome di albero perdere rare foglie, che ha fine settembre si fanno vedere, e quantificando la quiete in questo meraviglioso posto.

Quando avverto un rumore, come dei passi, un respiro e degli occhi puntati su di me.

È Riddle.

Che ci fa qui lo stronzo? Giuro che lo uccido se continua così. Inizio a pensare che sia ossessionato da me, essendo che mi segue ovunque e mi infastidisce molto più del solito.

«Non sono ossessionato da te, piccolina.» specifica leggendo nella mia mente.

Sto bastardo.

È ancora dietro di me. Posizionato probabilmente a cinque metri di distanza e sarà appoggiato a un albero. Non mi giro per guardarlo gli rispondo stando nella mia posizione e guardando avanti.

«Ah no e allora perché leggi di nuovo la mia mente, perché mi segui ovunque e per quale motivo sei qui, pecorella?»

Lui emette uno sbuffo divertito. «Troppe domande per una che dice di fregarsene di me, non credi piccolina?»

Alzo gli occhi al cielo, ma davvero deve dire ste strozzate?

«No coglione. Sono solo confusa e guardinga sul fatto che tu da quest'anno hai deciso di cagare il cazzo ancora di più.» lascio in sospeso per un attimo, prendendo la decisione di girarmi verso di lui.

E lo vedo come previsto appoggiato con la spalla a un tronco e ovviamente ha le braccia incrociate. Classico.

«Quindi che cazzo ci fai qui?» finisco poi.

Alza un sopracciglio notevolmente sorpreso e da sfottimento. «È una domanda a cui non riceverai mai una risposta.»

Sospiro e mi arrendo al fatto che non mi dirà assolutamente niente.

«Quindi cosa vuoi fare esattamente?» domando come se stessi fancendo la cosa più complicata. «Sempre se vuoi fare davvero qualcosa. Perché ricordo che scappare ti riesce molto bene.»

«Oh ha parlato la scappatrice per eccellenza.»

«Almeno sono qualcosa piuttosto che essere l'inutilità in persona.»

Chiudo il quadernino e lo metto nella borsa di tela che tenevo appoggiata sul tronco al mio fianco.

Poi lui decide di sedersi sul mio stesso legno, a distanza di sicurezza, tirando di nuovo fuori una sigaretta.

Che non tarda ad accendere.
Fonte di vita a quanto pare.

«Ancora con quelle?» giro la testa per non sentire di nuovo quel odore acre e disgustoso.

«Tu sei troppo brava per fumare una semplice sigaretta, vero?» mi sfotte lasciando uscire il fumo dalla sua bocca.

«No. Semplicemente mi fa schifo e per di più fa pure male.»

«Appunto. Una ragazzina.» ridefinisce un'altra volta.

«Hai finito di dirmi le stesse cose o vuoi continuare a morte?» chiedo stufa del fatto che mi consideri una bambina.

«Non smetterò mai, piccolina.» dice girandosi completamente verso di me, mostrando bene il suo ghigno.

«Se vuoi morire fa pure, non sarò io a impedirtilo. Anzi se muori mi fai pure un favore.» commento ricevendo in cambio un alzata di sopracciglio.

Che da tanto l'aria da "Non ci credi manco tu, ti lascio però nella convinzione che sia così."

E non aggiungo altro perché mi sembra di parlare con un muro, che fa tornare indietro la palla che gli lancio addosso.

Decido di non alzarmi e andarmene, di non ignorare la sua presenza o i suoi occhi che cercano qualcosa.

«Sai perché sono qui?»

«No ma decisamente non avrò una chiara spiegazione da te, quindi lascio perdere.» rispondo decisa a non far intravedere la mia curiosità.

Sì sono curiosa di sapere perché sia qui. La verità è che vorrei capirci qualcosa. Vorrei sapere il motivo del perché è sempre dove sono io. Il motivo per cui lui mi stuzzica ogni momento che può. Vorrei sapere il segreto.

Ma sono tutti vorrei e dei vorrei non te ne liberi così facilmente.

Se una cosa deve accadere allora accade. Ma se lo vuoi non succederà.

Non so spiegarlo bene, è qualcosa di irrazionale e difficile da voler realizzare.
Ma è esattamente così.

Lascio semplicemente che le cose si fanno vedere piuttosto che pensare che cambieranno a seconda di ciò che voglio io.

Come il cielo.

La maggior parte delle persone vogliono che il sole brilli ogni giorno. Che non venga mai oscurato dalle nuvole. Che non si oscurano di grigio pure quelle soffici nubi bianche. Che la pioggia non si faccia mai sentire. E che i tuoni e il vento non rimbombano nel cielo come se fossero fuochi d'artificio scatenati.

Eccetto io.

Secondo è più probabile che accade il contrario.

Io spero che il sole venga oscurato dalle nuvole. Spero che la pioggia ricopra tutto, scendendo con la velocità che preferisce. Spero che le nuvole si facciano scure. Spero che il vento faccia scompigliare ogni cosa, facendo persino volare le foglie cadute, e se fosse possibile anche i miei capelli. E spero così tanto che i lampi e tuoni si spacchino in tutta la vastità celeste o grigia.

Volere è una cosa, sperare un'altra.

E sono due cose dette impossibili da paragonare. Lo penso davvero, come se fosse aria per il mondo.

Uno dei rari e speciali insegnanti datomi da una persona stata la più importante molto tempo fa. Che ad oggi è insignificante quanto una pulce.

«Resterai per molto qui?» chiedo per sapere quanto lo devo sopportare.

«Quanto ci rimani tu.»

«Sai che emozione.» commento sarcastica.

Mi soffermo a pensare al fatto che è la prima volta che non ci insultiamo per più di dieci minuti.

Non so quanto effettivamente starò qui ma mi viene in mente di starci fino a tarda notte, non perché voglia, per capire quanto resiste la pecorella qui con me.

Decido quindi di alzarmi e prendere la fatidica decisione di camminare in aventi verso il lago, lontano pochi metri dall'acqua e sdraiarmi senza pudore sui sassi.

Sapendo che a Riddle avrebbe dato fastidio. Quindi se non lo avrebbe fatto, perché sappiamo tutti che è schizzinoso e caga cazzo, se ne sarebbe stato lontano o per la mia fortuna casuale se ne sarebbe andato.

Ma con mio grande stupore lui si diresse verso di me sbuffando con molta, e dico molta, voglia di uccidermi.

Sì stese di fianco a me senza che io lo guardassi, perché col cavolo che gli faccio pensare che io sia stupita.

Borbottò qualcosa sul fatto delle rocce e dello sporco, soprattutto insultò me per dove mi fossi messa.

Ricordo un minuto di molto tempo addietro in cui io passai molto tempo così. Sdraiata o seduta qui, come se fossi una piccola Sirenetta alla deriva. Una delle tante di cui mia nonna mi raccontava.

Una tra quelle storie così irreali ma che danno un senso di vero. E io mi ci perdevo sempre in quelle parole raccontate dalla voce soave di nonna.

Mi ci trovavo e perdevo allo stesso tempo. Come se fossi sott'acqua. Stavo lì ma non sapevo dove andare.

E mi ricordo così bene le sue frasi ripetute ogni volta. Mi ricordo cosa mi diceva per farmi sognare. Ricordo anche la favola, la lascerò però lì.

In quella scatola chiamata ricordi, quella scatola che contiene ogni cosa bella e unica passata. E che tu non sappia più come eliminare.

«Di nuovo. Piccolina non credevo che fossi così incline al piangere come una bambina.» se ne esce Riddle dopo che avevo dimenticato della sua esistenza.

E con questo suo commento così fastidioso mi rendo conto che una sola lacrime è scesa per la mia guancia sinistra. Ancora una volta.

L'asciugo in più in fretta possibile e mi alzo come se mi fossi ghiacciata.

«Oh ma sentilo. Stronzo piangi anche tu, piangono tutti maddona santa. E ti devi fare un po' i fattacci tuoi.»

Lo dico in tono sarcastico e rivoluto. Lo guardo dall'alto e osservo il fatto che da sdraiato può anche essere considerato come un umano ragazzo.

Invece non lo è per nulla. Lui è un disgraziato orangotango. E io sono solo una stupida a starlo a sentire ogni singola volta.

«Sai che c'è me ne vado.» decreto infine, stanca di tutto questo e dei suoi commenti.

«Non fare l'offesa. Non come un bambina.»

Ma fa sul serio? Dio come è caduto in basso.
Lui è ancora sdraiato e sta fumando mentre io in piedi, così per far chiarezza mi inginocchio davanti a lui, tra le sue gambe.

«E allora non ti rendi nemmeno conto che il bambino lo sei più-» lo fermo prima che posa ribattere. «Non ti azzardare» e così poi continuo quello che volevo dirgli. «Se più tu un bambino essendo che mi fa notare di esserlo io. Chi lo dice lo è. È un dato di fatto. E per la cronaca non sono offesa sono solo stufa di sentirti, mi irriti per ogni cosa.»

Restando in quella posizione lo fisso divertita per il fatto che la sua faccia da qui è più orribile e buffa.

«Se per questo tu dici di odiarmi ma per puro caso ti ritrovi sempre in mezzo a me.» dice lanciandomi un occhiata.

«Ma che stai blaterando, idiota.»

Alza un sopracciglio per averlo chiamato di nuovo idiota e poi mi fa capire cosa intendeva. Ed era meglio che non lo diceva.

«Tipo ora se in mezzo alla mie gambe ingionichiata. Non so se vuoi fare qualcosa per me, io lo accetto. O forse no...»

Salto in aria appena lui finisce di parlare, i miei occhi si spalancano e non credo di aver capito ciò che lui ha accennato. Ma sono abbastanza sicura di non voler più trovarmi in una situazione del genere.

«Cos'è la bambina si è scandalizzata?» chiede ironicamente mentre si alza e si posiziona davanti a me.

Io scatto più indietro per non stargli troppo vicino.

Riprendomi dallo shock gli rispondo senza essere discreta, non ce ne è l'assoluto bisogno con lui.

«Affatto. Potrei farti un pompino o una sega senza problemi, non mi crea alcun disturbo» lo dico con una certa sicurezza che lo stupisce. «Il problema sta nel fatto è che dovrei farlo a te e questo mi fa altamente schifo. Quindi sta bene attento a quello che dici, pecorella.»

Enfatizzo l'ultima parola come se fosse un rimprovero, lui mi osserva scettico e divertito ma a me non importa.

Gli lancio per un'ultima volta un occhiata incendiaria e poi inizio a camminare verso il castello.

Determinata a non vederlo per un bel po', decisa sul fatto di non calcolarlo e di non dare retta all'istinto infuocato di rispondergli a ogni sua battuta o presa in giro.

E mentre salgo le scale penso che mi sto incasinato l'anno. Ho saltato la maggior parte delle lezioni oggi, mi sono fatta mettere in punizione perché sono andata in bagno senza chiedere il permesso, questo ovviamente per colpa anche di Riddle, e per aggiunta non ho più nessuno qui.

Tutto è cambiato ma non penso che questo vada bene. Anzi non va affatto bene. È un totale disastro.

Lo ripeto nella mia testa fino a quando non arrivo in stanza e crollo sul letto, non curante del fatto che Nora sia in stanza per una volta e che mi stia osservando.

Fisso il nero dell'interno delle mie palpebre, cercando di regolarizzare la mia respirazione insieme al fracasso che si presenta nei miei pensieri.

«Dove sei stata?» domanda Nora lambendo il silenzio che ergeva qui dentro.

E con questa domanda torna il mio respiro irregolare e la mia rabbia di sempre. Aumentata se si sta parlando della traditrice.

«Che te ne frega.»

Non ho la nessunissima voglia di mettermi a litigare con lei. Certo lo vorrei ma non adesso. Non dopo questa maledetta giornata del cazzo, vorrei solo del silenzio e anche tanto.

«Sai che mi interessa veramente. Per favore almeno dimmi se stai bene?» prova di nuovo come se non la stessi rifiutando da quando ho scoperto la sua falsità.

«Non ti sei fatta scrupolo però a mentirmi.»

Questa conversazione non andrà a finire bene, affatto.

«Pensavo avessimo risolto. Mi avevi detto che era così.» mormora guardami.

«Lo sai bene che ero falsa. Ho preso insegnamento da una delle più bastarde d'altronde.» le riferisco con tono affilato.

La sento sbuffare e poi alzarsi.
Non deve venire qui perché peggiorerebbe le cose soltanto.

«Sheila non volevo. E se dovevi darmi una lezione non mi mentivi perché sapevo lo avessi fatto ma ho voluto essere d'accordo e provare ad andare avanti lo stesso.» dice posizionandosi davanti al mio letto.

Alzo il busto e mi siedo accogliendo il suo sguardo con uno glaciale e da stronza.

«E allora sai che devi lasciarmi in pace. Dio trascorri il tempo con quelli, ti rendi conto» sbuffo facendo notare il fatto più importante. «Ma non è nemmeno questo il problema, che tu voglia passarci del tempo che me ne frega a me. Il problema sta nel fatto che tu mi hai mentito e usato fino a quel momento. Tu mi hai tradito.» l'ultima frase la butto fuori come se mi pesasse sulla lingua.

Cazzo perché pesa così tanto. È così distruttiva e neanche me ne rendo conto.

I suoi occhi mi scrutano preoccupati e dispiaciuti. «Non avrei voluto farlo. Ma l'istinto ha vinto su tutto, non volevo farti soffrire e ne mentirti.»

Mi sposto più verso la testiera del letto e cercando con le mani di chiudere le cortine, lasciandola fuori da ogni cosa. Dimenticando cosa mi avesse fatto, come mi sentissi e soprattutto silenziando tutto quello dice perché è sempre falso, ogni cosa.

«Non chiudere fuori tutto. Devi smetterla.» mi sgrida, se così si può dire.

In un atto di slancio prendo la mia bacchetta dalla tasca del mantello e con un incantesimo blocco le cortine. Sperando che questo le faccia capire che non voglio vederla e ne parlare.

«Oh ma dai!» esclama poi cercando inutilmente di aprirle. «Non puoi stare lì per sempre, prima un poi dovrai uscire. Che sia per cambiarti o altro, anche domattina io aspetterò.»

Alzando gli al cielo per la stanchezza e la frustrazione butto fuori una bella risposta senza accettare altre contraddizioni.

«Allora vuol dire che non uscirò da questo letto finché tu non sarai effettivamente andata via. E se permetti vorrei dormire, grazie.»

Lei sbuffa, la sento molto bene e dopo borbotta qualcosa come "Se volessi potrei aprirle ma lo faccio per rispetto."

Decido di ribattere perché la rabbia è ancora nel suo angolo e non penso se ne andrà facilmente.

Aspetto finché non la avverto mettersi sul suo letto e poi con voce acida e con un certo disprezzo le rivolgo un commento difficile da digerire.

«Difficoltoso per una che il rispetto non lo conosce neanche per un cazzo.»

Non accetto nemmeno di sentirla ribattere e cerco di dormire con ancora indosso la divisa, tolgo almeno le scarpe ma non mi muovo per fare altro.

E così finisco per addormentarmi, scomoda e irritata, ma lo faccio verso tardi, credo che fossero le cinque del mattino. Così da non dover chiudere gli occhi durante la fase più difficile. E fu un sonno diverso, ma sempre lo stesso. Simile ma così differente da mandarmi in confusione la mattina dopo.


Mi sveglio poi verso le sette di mattina, con una frustrazione peggiore di quella data per il ciclo, apro con il contro incantesimo la cortine.

Con degli sforzi umani scendo dal letto e vado direttamente in bagno, prima di aver ovviamente preso i vestiti puliti. Perché mica andrò in giro con questi ancora addosso. Entro nel bagno con una velocità inaudita, piuttosto mi facci del male che farmi vedere da quella traditrice falsa.

Dopo essermi fatta una veloce doccia indosso quindi i vestiti che avevo preso prima, ovvero una camicia bianca, uguale all'altra, un maglione verde scuro e una gonna nera, dalla forma scolastica ma che non avevo per niente acquistato pensando fosse simile. E metto infine delle calze nere e le mi solite scarpette nere, le adoro.

Sistemo il mio viso con del leggero trucco, perché certo che non me frega di nessuno ma non vado di sicuro in giro come uno zombie appena svenuto.

Uscita dal bagno controllo l'orario e mi rendo conto che tra meno di cinque minuti finisce la colazione e per una singola volta la voglio fare.

Raccolgo la borsa con i libri e tutto il resto, sfreccio poi fuori dalla stanza percorrendo la sala comune in fretta, non incrociando neanche uno degli sguardi degli altri ragazzi.

Ne sento però uno più persistente degli altri. Uno bruciante e rabbioso verso i miei confronti.

Capisco di chi si tratta all'istante, mi infurio per il fatto che mi stia guardando, ma decisa nella mia convinzione di ignorarlo esco dalla sala come se non fosse successo niente.

Effettivamente non è successo niente e io non mi devo preoccupare di un nulla. Se non di fare altri casini con le lezioni.

Penso questo mentre entro in Sala Grande, e penso anche che questa mattina sembra essere impegnato a fissarmi più degli altri giorni e non ne capisco minimante il perché.

Varcando la soglia della sala mi accorgo che sono tutti seduti, tutte le case, e io con una faccia confusa e indifferente mi vado a sedere all'unico posto disponibile, diciamo l'unico che non fosse troppo vicino a quei coglioni.

Ovvero ci fianco alla ragazza di ieri a pranzo, mi ricordo il bene il suo nome, stranamente direi.
Chloe Berkshire.

Mi affianco a lei senza provare disgustoso o voglia di scappare perché la volta scorsa mi è sembrata una persona buona, e all'apparenza non mi fido questo è ovvio, ma il mio istinto morto decide di prendere in mano la situazione e fregarsene dell'apparenza.

E io cerco di seguirlo evitando di inciampare in una buca.

«Verdina!» esclama lei felice, in tono basso ma emozionato, perché mi sono seduta di fianco a lei.

«Gioetta. Noto che sei sempre energica.»

«Quasi sempre sì. Credo sia un mio tratto particolare.» lo dice pensierosa e poi mi guarda spostando lo sguardo al cibo e bevande poste su tutta la tavolata.

Lo faccio anche io e noto che ci sono molte delle pietanze che mi piacciono quindi mi sento un po' sollevata. Di solito non c'è mai niente che mi aggrada, forse perché non ho mai fame, ma questo è un altro discorso.

«Hai molta fame vero?»

«Sì, decisamente molta. È sempre tutto così buono e io ho sempre tanta fame la mattina.» conferma e dopo poco tempo avverto un brontolio.

All'inizio penso sia del mio stomaco ma poi mi ricordo che non lo fa mai perché effettivamente non sento il pesante bisogno di mangiare. Quindi è la pancia di Chloe che brontola come se si stesse incazzando.

«Dai mangiamo, prima che il tuo stomaco si metta a strillare.»

E dopo aver fatto una piccola esclamazione felice iniziamo a fare colazione. Parliamo tra un biscotto e l'altro, di molte cose, come le lezioni noioso di Bing o di Piton che sembra sempre strano, severo, ma che alla fine trovi del divertimento in quel espressione burbera.

Mi parla anche del fratello, non sa ancora che giorno ma arriverà qui e lei è talmente elettrizzata da farmi paura, anche se mi rendo conto sia umana come cosa.

Continua a parlare e io l'ascolto, e non annoiata e scazzata come sempre, quel poco che basta che se dovesse farmi la domanda "Stai ascoltando?" io gli avrei risposto con un sì accentuato da un bel po' di dettagli.

Le ore mattutine passano velocemente, le ore di lezione passano veloci e lenti allo stesso tempo. Asfissianti come ogni dannata volta, sempre con quel loro tratto distintivo. L'argomento.

Ed è lì che cambia. Se l'argomento trattato mi interessa allora intervengo e espongo le mie tesi ma nel caso fosse noioso e non di mio interesse passerei l'intera ora a scarabocchiare su una pagina dei disegni.

A volte disegno per ore, altre scrivo. Mi intrattengo molto.

Comunque la mattina passa e arriva faticosamente il pranzo, questo aggettivo perché non ho la più pallida voglia di rivedere tutti quegli sguardi addosso ma che devo affrontare se non voglio saltare il pranzo.

Oggi ne ho davvero bisogno. Probabilmente perché i giorni scorsi ho saltato più pasti del previsto.

Sedendomi di nuovo con Chloe, ormai è un posto assicurato, almeno non è vicino alla gang degli stronzi.

Anche se mangiando mi rendo conto che quegli esatti stronzi mi stanno osservando in malo modo.

Ora che hanno, sti bastardi?

Decido di andare là e strepitare in faccia a loro tutte le ragioni per cui la devono smettere, perché non voglio passare l'intero pranzo a essere guardata male, men che meno da quelli.

«Si può sapere che avete da guardare? So che sono spettacolare però vi pregherei di girarvi o vi cavo gli occhi.» dico deligente e con una nota di sadicismo.

Mi sono posizionata tra Nora e Tedore, non mi neanche passato per l'anticamera del cervello di mettermi tra quella Pecorella e il furetto bianco sporco.

Il loro sguardo non si è mai staccato da me e da qui si capisce che è anche ommicida.

«Non parlarci così, ragazzina.»

Asserisce Riddle incazzato.

«Perchè mi farete del male? Non mi interessa un beato cazzo.»

Draco e Theodore fanno un "Uhhh" finendo per essere fulminati male dal rovina feste di Riddle.

«Vuoi farci credere di non sapere perché siamo incazzati con te, ragazzina?» domanda retorico lui.

«Detto sinceramente avete sempre qualcosa contro di me. Tipo ieri ma non farò accenno a questo. Ora o la finite o volete fare la fine di Voldemort?»

La maggior parte delle persone che mi hanno sentito si sono scandalizzate e neanche faccio in tempo a pronunciare il suo nome che poi un Riddle infuriato mi prende per il colletto.
In meno di un secondo ha fatto il giro del tavolo o si è smaterializzato, senza permesso, addosso a me.

«Prova a dire un'altra cosa e non avrai più la forza di respirare.» ringhia a due centimetri dalle mie labbra, ma io non reagisco.

Il mio cervello è andato in tilt. Totalmente fuori uso.
Il mio sistema nervoso non esiste più, collassato su stesso.

Le mani rudi che mi tengono ferma per il collo, la voce cruda e rabbiosa verso di me, la mia assoluta attenzione ai movimenti e la normalità che piano piano scompare dalla mia vista.

L'inferno nel mio petto e la versione tarocca di Satana addosso a me.

•••

Non mi ero mai permessa di dire una cosa del genere a mio padre, mai, perché se ci avessi provato sarei finita come ora e non avevo la nessunissima capacità di intendere che sarebbe successo lo stesso, nonostante non avessi detto nulla.

La mia bocca, stanca di essere chiusa a chiave dalla paura, decise di sputare fuori quelle maledette parole.

Non avevo nemmeno capito che cosa fosse accaduto ma lo feci lo stesso, incurante del fatto che se fossi stata zitta non sarebbe successo tutto questo.

«Smettila! Lasciala andare brutto stronzo. Tu non hai il ben che minimo permesso di toccarla dopo quello che le hai fatto la scorsa volta» così rabbiosa che non mi importava delle conseguenze. «Forse perché la scorsa volta non ti è bastata. Neanche su di me sei riuscito a buttare fuori l'intero mostro che sei. Vero padre

Lui lasciò mamma in un attimo, fece un scatto che mi portò a fare passi indietro a un velocità sorprendente.

Mi arrivò davanti e mi prese per il collo, stringendolo tanto da non riuscire a respirare bene. Chiusi gli occhi all'istante, spaventata a morte e sapendo bene cosa mi aspettava.

Lo sentì digrignare i denti e fare un ghigno sadico, degno dei più malvagi maghi che ci siano stati in tutta la storia della magia.

Tremai come una foglia, indolenzita dal freddo che mi procurava sapere che lui era lì a tormentarmi, il mio cuore fremeva e si fermava pensando alla morte che vedeva salutarlo e io me ne stavo immobile aspettando il momento in cui lui si sarebbe sfogato, in cui mi avrebbe lasciato andare e in cui se ne sarebbe tornato nella sua tana oscura.

Lasciandomi in balia dell'oscurità e della paura ormai mie compagne.

•••

Avverto il mio corpo cadere e spero vivamente che si sia lasciato andare per un volta.

E invece un pavimento mi accoglie in meno di tre secondi e la botta non è stata forte come mi aspettavo.

Ancora con la mente scoppiata e la vista occupata da immagini passate non mi accorgo che una voce mi chiama, continuamente.

Se ne aggiungono altre ma non le capisco, non le conosco, non so chi siano, non so neanche perché mi dovrebbero chiamare.

Chiazze viola, sangue e lacrime occupano tutta la mia testa. Le orecchie avvertono solo colpi e i miei occhi sono chiusi come quando stai dormendo e l'incubo ti assale.

Tra tutto questo chiasso sento una mano acchiappare la mia, ritraggo subito la mano e cerco di allontanarmi. Però quel arto mi è sembrato così familiare.

Ci riprova un'altra volta e io l'accetto, pensando che fosse qualcos'altro, e essa mi guida verso una parte. La seguo, seguo dovunque quella mano perché mi ha tirato fuori dal caos.

Neanche me ne ero accorta ma quelle ossa e quella pelle mi ha distratto dal rumore incessante e io non ne sono nemmeno resa conto.

Dopo minuti che mi stava portando in un luogo riesco finalmente a vedere, percepire, udire e toccare il mondo esterno.

E forse era meglio che non succedesse.

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