Capitolo 1

24 2 1
                                    

Sette volte.

Erano sette le volte in cui sedevo su quella sedia malridotta lasciata in un sudicio angolo del corridoio che conduceva nello studio del preside Mirabello.

Erano state sette le volte in cui, in soli due mesi, sedevo su quella sedia malridotta e, attualmente, mantenevo una media di una volta ogni 9 giorni.

Erano state sette le volte in cui Christian era stato beccato con le mani nel sacco mentre ne combinava una delle sue, ma altrettante erano state le volte in cui l'aveva passata decisamente liscia.

Infinite erano invece le volte in cui avrei voluto strangolare Christian Conforti.

I miei pensieri, abitati da scenari che vedevano protagonista la morte del mio migliore amico, erano però continuamente interrotti dal ticchettio delle lancette dell'orologio, appeso sulla porta del Major, che segnavano ormai l'ora di pranzo e dallo sguardo di Anne, la segretaria, che secondo il giornalino scandalistico della scuola era l'amante numero tre di Mirabello, subito dopo Mrs. Cwo, la mia odiosa insegnante di chimica, e Clare, la bidella del nostro istituto.

Non che io leggessi o dessi retta a certa roba, ma insomma, mi chiedevo solo come facesse a sopportare tutto ciò la madre di...

"Conforti, non mi faccia pentire di nulla, all'ottavo canestro è fuori, OUT, sostituzione, ca..."

"Si spengono le luci, tutti i tifosi a casa, i giocatori sotto la doccia, e si aspetta la prossima. Tranquillo Carlo, so come si gioca a basket" - certo, il mio migliore amico si era dovuto fumato quel dannato cervello che si ritrovava per rispondere così ad un nostro superiore, non vi erano altre motivazioni- "Oh, eccoti qua tu" - disse poi guardandomi con una faccia fintamente sorpresa- "quante volte ti ho detto che non devi aspettarmi mai fuori da questo inferno?"

Io lo ammazzo, prima che lo ammazzi il sistema, lo ammazzo io.

Non faccio nemmeno in tempo a mostrare la giusta falsa riverenza nei confronti del mio quasi adorabile "capo" che Christian già mi trascina via da quella scena che, come sa, gli costerà una bella ramanzina anche dalla sottoscritta.

"Tu sei da riformatorio Ian, quello potrebbe sbatterti fuori da questo istituto quando e come vuole, e poi cosa hai fatto questa volta?" gli chiesi in chiaro tono di rimprovero.

"Anche la più feroce bestia conosce un minimo di pietà. Ma io non ne conosco, perciò non sono una bestia" citò mentre percorrevamo il corridoio principale dell'ala destra della scuola che ci avrebbe portato, anche se in ritardo, direttamente in sala mensa, pronti per la vera star della giornata: il polpettone.

"RICCARDO III? Davvero Ian? La metti davvero in questi termini? Stai cercando davvero di ammaliarmi con Shakespeare per sfuggire al mio interrogatorio?" - purtroppo Christian mi conosceva fin troppo bene da sapere che una frase del genere avrebbe suscitato in me la voglia di perdermi in un monologo tutto mio sull'importanza dello studio dei gran classici e sugli insegnamenti che tali opere comportavano, senza escludere ovviamente la bellezza dei testi.

Ma non questa volta, questa volta non avrei ceduto ai suoi sporchi giochetti.

"Nina" - pronunciò fermandosi dinanzi a me e guardandomi fisso negli occhi- "zaino nuovo?" – proseguì ironico guardando quell'ammasso di tessuto impermeabile vecchissimo che sorreggevo a stento sulla mia spalla destra.

"Ian, davvero, il fatto che Mirabello sia anche il tuo patrigno non vuol dire che sarà sempre disposto ad accettare e passare sopra i tuoi scherzi, o meglio, le tue cazzate. Abbiamo diciotto anni, è l'ultimo semestre del nostro ultimo anno in questa specie di circo in cui se hai una divisa sei un leone e se sei bravo in altro, beh, se sei bravo in altro..." cercai di mantenere il contatto visivo con lui e contemporaneamente pensare ad articolare una frase di senso compiuto che comunque non alimentasse in lui quel senso di ribellione che lo avrebbe portato alla disfatta sicura.

Ma, proprio mentre ero vicina al mio scopo, lui completò la mia antecedente proposizione al mio posto: "Sei un Nina e Ian: due sfigatelli migliori amici da ben circa diciotto anni e nove mesi"

"Ehi" - dissi sferrandogli una pacca scherzosa sul braccio e incoraggiandolo così anche a riprendere il nostro cammino dato che il mio stomaco era stanco di tutto quel dramma- "a me piace essere una Nina. E poi non so se i nove mesi della gravidanza contano come periodo d'amicizia, insomma, erano le nostre mamme ad essere migliori amiche, non noi".

"Quindi mi stai rinnegando" - sorrise mentre entravamo in mensa e ci apprestavamo a prendere due vassoi.

"Potrei, ma se tu mi raccontassi cosa hai fatto oggi magar..." non potei finire di aggiungere altro perché una grossa palla da basket arancione, e abbastanza logora, aveva colpito violentemente il mio vecchio zaino tanto da farlo collassare sconfitto al suolo accompagnato da tutti i libri e quaderni che avevo riposto in esso.

"Cazzo" - mi affrettai a dire mentre mi inginocchiavo per raccogliere tutta la mia roba seguita da un furioso Christian che, invece di guardare i miei morenti oggetti vicino a quell'obbrobrio arancione, era più interessato a sentire gli schiamazzi e le risa che si erano innalzate nel mentre e a fissare un punto lontano da noi ma al centro della sala.

Sapevo già di chi si trattasse, non vedevo né sentivo nulla imprigionata nella bolla che avevo creato per restare indifferente a quella umiliazione, ma sapevo già chi fosse l'artefice di tutto ciò e la conferma avvenne quando un paio di Nike entrarono nel mio campo visivo.

Pian piano alzai lo sguardo e vidi la figura di Matías Cannes torreggiare su me e Ian come un domatore che guarda le sue bestie dall'alto della sua supremazia, vana in quanto se le bestie si ribellassero molto probabilmente lui sarebbe già morto, ma pur sempre superiorità, anche se solo d'animo.

Avrei voluto rimanere accovacciata sul pavimento fino alla fine della giornata, ma proprio mentre una paura fittizia iniziava ad impadronirsi del mio corpo, la suola di una delle sue sudice scarpe entrò in contatto con la mia copia di "Pride & Prejudice" e questo bastò, più del dovuto, a farmi rimettere in piedi e a sfidare il suo metro e ottantanove centimetri con una spinta ben assestata sui pettorali che, nonostante non lo fece spostare di un millimetro dalla sua posizione, gli conferì la giusta dose di stupore che però non lo frenò dal dire le seguenti ultime sue parole- " Questo è da parte di Lafferty" - e farne seguire un sorrisetto strafottente.

Però, tutta quella irreale scena, fece ridere interiormente anche me e così, mentre tutti guardavano la scena in bilico tra la suspense e il divertimento, mentre Cristian era riuscito a recuperare tutta la mi roba dal pavimento, mentre Lafferty guardava soddisfatto la scena dal tavolo delle "celebrità" e mentre una cheerleader strusciava le sue toniche chiappa sul ginocchio del capitano della squadra di basket, nonché lo stesso Lafferty, io mi avvicinai con cautela a quel brutto muso di Cannes e, senza pensarci due volte, guardandolo negli occhi dissi qualcosa che di certo Ian, membro di quel gruppo formato da due sfigatelli, migliori amici da circa diciotto anni e nove mesi, avrebbe approvato: "Fottetevi, tu e Lafferty".


NiñaМесто, где живут истории. Откройте их для себя