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-Ricordami perché stiamo facendo questa follia!-

Eren spalancò la bocca e rise forte, il vento che gli soffiava fra i capelli indiavolati e le gambe che pedalavano veloci. Le luci del ponte li illuminavano a singhiozzi, al ritmo della presenza degli arbusti lungo la strada su cui stavano sfrecciando, la stretta sui suoi fianchi che lo faceva sorridere ancor di più, sfruttando quel briciolo di incertezza di Levi per compiacersi.

-Come se non ti stessi divertendo!- lo canzonò il giovane, per poi sgranare gli occhi quando intravide una buca sull'asfalto, le mani artigliate ai freni per fermare la bicicletta e le braccia di Levi che gli stritolavano l'addome.

-Santo cielo!- esclamò l'adulto quando la evitarono all'ultimo secondo, i sellini che sobbalzarono ed Eren che quasi perse il controllo del manubrio, aumentando le grida di terrore dell'uomo. -Pazzo! Lo sapevo, l'ho sempre saputo che fossi un malato!-

E più aumentavano le strilla, più le risa travolgevano senza sosta il ragazzo, e Levi avrebbe mentito se avesse detto che le vibrazioni del costato sotto le dita non lo facessero sorridere neanche un po'. Ma, più di tutto, lui sarebbe stato l'unico folle, pazzo scriteriato, a non ammettere a se stesso che la delicatezza del profumo che emanava Eren non lo stesse inebriando.

Lavanda, la flagranza di un fiore: leggiadro a tratti, intossicante se inalato in grandi quantità.

Un po' come il suo carattere, in fin dei conti: decisamente determinato, intenso, insistente, assolutamente travolgente, una di quelle personalità che resta intaccata nella memoria fino alla fine dei giorni, una creatura di cui proprio non puoi non rammentare. Ma vi era anche da considerare il suo aspetto più docile, una segreta eleganza e singolarità a cui nessuno prestava attenzione, se messo a confronto con altri come lui.

-Avanti, dimmi da quanto tempo non ti divertivi così!-

Cielo, e aveva anche ragione quel so-tutto-io di prima categoria: da quanti anni non sorrideva per il genuino gusto di farlo, e non per apparenza, per circostanza?

Eren gli stava mostrando con una semplicità inaudita che non vi fosse niente di più facile di sorridere, di trovare un modo per poter ridere di una vita pungente, una volta tanto, per alleggerirla di poco, quanto bastava per respirare meglio. Ma non l'avrebbe mai e poi mai dichiarato, come se si fosse dovuto vergognare di gioire anche per un breve istante, come se non ne avesse il benché minimo diritto, perché era da ipocriti e da egoisti il solo pensare di trascorrere un'esistenza serena dopo quello che era successo.

Non se lo sarebbe mai perdonato, se avesse osato essere felice senza di lui.

-Tu sei pazzescamente fuori controllo!- sbottò, tentando di mascherare l'adrenalina della corsa sulla bici con un moto di stizza assolutamente inesistente; non poteva mica abbassare la cresta e fargli credere che la maschera dell'imperscrutabile professor Ackerman fosse solo una beffa. Perché non era così, giusto? No, certo che no.

Eren voltò il capo per lanciargli un rapido sguardo oltre la spalla, le ciglia lunghissime che proiettavano sprazzi di luce sul volto come steli di fiori e quelle biglie verdi, immense come l'intero universo, che brillavano come satelliti nell'oscurità.

-Pazzescamente?- lo sbeffeggiò, gustando il broncio marcato sul volto dell'altro.

Aveva un che di così infantile che quasi lo punzecchiò il desiderio di restare ad osservarlo un altro po', per accertarsi che stesse realmente riuscendo a svelare l'umanità di Levi Ackerman, che quell'impresa non era impossibile, nemmeno per uno come lui che era sempre estremamente goffo nelle relazioni sociali.

Era quella la sensazione che si provava ad essere liberi? Ad essere liberi davvero: dalle responsabilità, dalla paura di crescere, dal timore di non essere in grado di farlo nel modo adeguato, dal terrore di non riuscire a gestire le situazioni. Era quella la libertà? No, forse non lo era, ma ci andava così maledettamente vicino.

The last bar Where stories live. Discover now