il n. 1981

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"Ma la storia lasciò l'uomo al numero millenovecentottantuno e l'uomo come congelato non intravvedeva il suo destino | non era il capolinea | qualcosa doveva accadere...".

così inizia 1981, brano criptico ma nemmeno troppo dell'album "Anni Affollati", spartiacque tra le opere del signor G. a cavallo tra anni '70 e '80, primo a capire il sopraggiungere della vacuità di un decennio appena iniziato.

E questo si sente chiaramente nella frase di metà brano in cui Gaber non riesce "a capire come fa la gente a vivere contenta senza la forza vitale di una spinta", così come "senza correr dietro a niente" .

Quindi se pur contento del passaggio al nuovo decennio che ha lasciato indietro anni "troppo" affollati (ndr), è però già chiara e presente questa sensazione di vuoto di anni già caratterizzati dalla manifestazione sempre più crescente del cosiddetto "edonismo reaganiano" che farà del superfluo la propria stessa ragion d'essere.

A tal proposito citerei ancora questo passaggio :

"Ma come fate ora a vivere e a morire

senza qualcosa da inseguire

ma come fate a viver tra la gente

con l'anima neutrale e indifferente.

E' vero, si perde un po' il pudore a riparlare di morale

però mi fa un po' schifo saltellare

dal fanatismo più feroce

all'abbandono più totale"

Ed anche amareggiato da una sinistra che priva ormai di ideali da inseguire, finisca poi per "praticare nei salotti la tecnica furbastra di fare a gara a chi è più a destra"

Atteggiamento questo che è evidente al giorno d'oggi ed ha portato alla situazione in cui appartenere ad una area di influenza di sinistra o di destra ormai sono esattamente la stessa cosa.

Ma poi l'altra dimensione di questo brano galleggia tra un misticismo laico e la pretesa insofferenza tra l'assenza/presenza di un Dio di cui si afferma un'esigenza che fino a quel momento da una certa sinistra militante era stata quasi bandita perfino dalle parole usate nel linguaggio comune.

ma il

"perché Dio c'è ancora, perché Dio c'è ancora, altrimenti mi annoio e non esisto"

riporta l'uomo su un piano non più visto di esigenza di avere un'entità suprema come unico punto di riferimento e guida, ma non per fraintendere il senso, il Dio non è quello classico del termine.

Fino all'ossessivo e quasi inquietante

"Signore Iddio, non so se faccia bene o faccia male 

assistere ogni tanto al tuo definitivo e ricorrente funerale"

In fondo io sono quasi sicuro di non aver capito tutto di questa dimensione mistica del brano, ma le emozioni che emergono nella loro cupa ineluttabilità mi lasciano essenzialmente basito così come l'ossessione per la continua evocazione sopra citata che forse questo altro estratto può aiutare a spiegare meglio il concetto di Dio che ha in mente Gaber che ...

"È un Dio incostante

che non ha mai fermato niente

è un Dio che si rincorre senza scampo

è l'immagine del tempo.

È un Dio un po' strano che ci insegna la follia

di ribaltare sempre il piano

è un Dio ancestrale che è l'essenza del pensiero

la forza naturale che mi spinge verso il vero."


E qui chiudo.

Chiedo scusa se parlo di ... GaberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora