Ero solo tuo padre

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In macchina la musica ha sempre un altro sapore e i pensieri viaggiano veloci tanto da sembrare quasi di non appartenermi. Un macigno sullo stomaco da mancare il fiato e due ragazzine mi passano improvvisamente di fronte facendomi spingere forte il piede sul freno. Lacrime. Non posso non pensarti. Ti ho perduto, ma non ti ho mai avuto. Ti ho pensato, ma non ti ho mai visto. Ti ho immaginato. Ti ho amato. Ma tu, non sei mai esistito. Ricordo il giorno in cui mamma mi disse della tua esistenza. Non sono mai stato così felice. Per me, eri già un bel bambino e un domani un grande avvocato. Alto e bello. Forte e simpatico. In quel momento eri solo una piccola cellula in un grembo aggraziato ed io, ero solo tuo padre.

Non immagini quante volte abbiamo parlato di te e con te. Non immagini quante volte ti ho sognato. La tua presenza era in me, costantemente al mio fianco. Non ero io a portarti dentro, eppure eri ovunque. Ma come una candela negli ultimi istanti, una luce fioca e poi il buio. Ti sei spento nel limbo opaco e nel silenzio assordante della notte. Quel silenzio che quasi ti percuote nel letto quando non sei sereno: «Non c'è più il battito. Il feto è morto». È stata una sentenza. Una condanna a morte già eseguita che mi ha scosso come un fulmine quel mattino. Non c'è appello. Non c'è la possibilità di ricorrere a corti supreme. «Ma com'è possibile?». Non ci credevo. Sembrava un incubo, un film dell'orrore ed io uno spettatore incredulo, parole dette con tanta tranquillità e professionalità, mentre dentro di me un mare tempestoso s'infrangeva nelle pareti del mio cuore. Per un attimo ha smesso di battere, ma era il tuo ad aver preferito il silenzio al rumore. E adesso? Dove sei? Forse in un giorno ancora da vivere. In un domani che esisteva solo nella nostra mente. Chissà se lassù c'è spazio anche per te e qualcuno ti abbia accolto come avremmo fatto noi. Erano giorni, troppi, da quando te ne eri andato, ma noi non lo sapevamo e continuavamo a coccolarti la sera mentre guardavamo le stelle. Una carezza sul pancino e un bacio prima di dormire. Tutto inutile. Non eri lì.

La mamma è stata tanto male sai? Io anche, ma dovevo farmi coraggio per darlo a lei. Volevo piangere anch'io. Urlare forse, ma le forze mi mancavano mentre il mondo mi girava intorno sempre più veloce. All'improvviso pensavo alle settimane in cui sembrava tutto sicuro, scritto e programmato. Dovevamo solo aspettare che piano piano crescessi sereno nel tuo mondo ovattato e bagnato. Pensavo a quella mattina in cui non ascoltai per la prima volta il tuo battito perché ero a lavoro. Non lo sentirò mai più. Cerco di immaginarlo e sentirlo dentro la mia testa. Niente. Non ci riesco. Ma ti ho guardato in fotografia. Quelle scattate dalla ginecologa durante le visite della mamma. Com'eri strano! Adesso, forse, sei luce e sorrisi dei bimbi. Sei innocenza ed allegria. Si, forse adesso sei un sentimento puro, sei pace nel cuore, ma non nel mio, figlio mio. Io sto veramente male e tutto crolla fuori e dentro di me, mentre nessuno se ne accorge. In queste occasioni tutti si preoccupano della donna e del grande dramma fisico e psicologico che sta vivendo. Giustamente. E noi uomini? Ah scusa. Hai ragione. Non so nemmeno se sei maschio o femmina. Anzi, non ti ho dato nemmeno un nome e forse non l'avrai mai. Ma non ne hai bisogno tu. Tu sei dentro di me e ci rimarrai per sempre piccolino. Lì, nascosto dove non servono formalità o generalità. Sei lì e basta. In un luogo che solo io e te conosciamo e dove nessuno mai ci potrà spiare o scocciare.

Ricordi? Quel giorno in clinica? E come potresti. Fu tremendo. Le ore sembravano non passare e il turno di mamma non arrivare mai. Io scherzavo. Facevo quel tipo di battute che forse hai sentito da lontano, dentro mamma. Si proprio quelle. Quelle che non fanno ridere nessuno, ma mamma si. Poi siete andati dentro. In quella sala dove io non potevo entrare. Volevo starti vicino in quegli ultimi istanti. Pochi momenti per dimostrarti almeno una volta quanto ti voglio bene e quanto ti desideravo qui con me. Niente da fare. Sono stato in quel corridoio solo, con quel dolore che nessuno mai potrà capire e colmare. Una ferita che non si rimarginerà mai. Non esiste nessuna medicina o cura. Nemmeno il tempo potrà sanarla. Poi ti hanno portato via. Strappato come qualcosa di inutile. Ho sentito dentro quel momento, nel profondo. Come se mi avessero portato via un organo dal corpo. Sento che non ci sei più, anche se non c'eri più da un po'. Non riuscivo a capire niente mentre portavano mamma via dalla sala operatoria. Si piangeva tanto. Ed era disorientata. Poi ho visto un'infermiera camminare dietro di noi e passare velocemente in un'altra camera con in mano una provetta con dentro qualcosa. Forse eri tu. Ti ho visto per un attimo sai? Eri a due metri da me che sono tuo padre. Mi appartieni, ma ti portano lontano. Sei mio, ma non sei con me. Dove ti stanno portando? E tu? Dove stai andando? Non lontano vi prego! Ti prego! Lasciatelo per solo un istante qui con me!

Pensavo tante cose. Alcune le penso ancora. Dove sei adesso? Lo so, si. Sei nel mio cuore e ti amo figlio mio. Anche se non sarò mai tuo padre e tu non sarai mai mio figlio. Ti sento così vicino da sentire quasi il tuo odore. Ti accarezzo i capelli e ti bacio. Il sole è calato di nuovo, un altro giorno è passato. Sono stanco di pensare. Buonanotte amore mio, angelo mio. Sogna e stammi vicino. Per sempre.


Ero solo tuo padreWhere stories live. Discover now