capitolo 2.

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È sorprendente come la vita, a volte, ti riservi effetti speciali migliori di quelli dei film.
Lo vidi li, appoggiato al muro, con le cuffie alle orecchie ed immerso nei suoi pensieri.
Ancora oggi non riesco a spiegarmi perché rimasi colpita dal suo sguardo perso nel vuoto o perché, semplicemente, rimasi colpita da lui. I suoi occhi erano fissi su un punto preciso ed il suo petto si alzava e si abbassava irregolarmente: era arrabbiato.
Non lo conoscevo ma il suo stato d'animo era evidente ai miei occhi.
Un fresco venticello gli smuoveva i capelli castani, lasciando scoperto  il suo viso angelico. Era bello, era molto bello.
Le prime foglie secche, cadute dagli alberi, svolazzavano, anche loro mosse leggermente dal vento. Gli passavano accanto e sembravano accarezzarlo dolcemente.
Era tutto così surreale: il silenzio, rendeva quell'immagine magica, quasi poetica.
Continuavo a fumare la mia sigaretta e ad osservarlo. Non si era  accorto della mia presenza, poiché i suoi pensieri lo avevano trasportato in un' altra dimensione.
Non mi resi subito conto di aver finito la sigaretta, o meglio, di averla fatta consumare all'aria. Quel ragazzo mi aveva distratta ed io non mi distraevo mai.

Entrai in classe e buttai il mio zaino contro la parete. Compiendo quel gesto, speravo che le mie amiche capissero che non avevo voglia di parlare ma, ovviamente, Kathy non tardò ad arrivare: 《Lea, che hai?》La voce della mia amica, troppo stridula quella mattina, giunse veloce al mio cervello, risvegliandolo.
《Nulla, Kathy, non ho nulla.》Kathy aprì la bocca, pronta ad esprimere il suo disappunto sulla mia risposta. Io, però, congiunsi prontamente le mani, in segno di preghiera e le chiesi di lasciarmi stare. Rassegnata la mia amica tornò al suo posto ed io mi sentii subito più rilassata.
Non sapevo cos'avevo. In realtà non ero sicura di avere qualcosa.
Di una cosa ero certa: quel ragazzo aveva invaso i miei pensieri.

《...hai capito?》La voce di Alexa mi riportò alla realtà, poiché avevo passato le prime tre ore ad osservare ciò che si vedeva dalla finestra della mia classe. Ricordo benissimo che la mia attenzione fu catturata da un piccolo nido che, su un possente albero, degli uccelli avevano costruito. Mi ero concetrata su di esso perché pensavo a quanto fosse incredibilmente straordinaria la natura: pensavo a quanto essa fosse perfetta. Ogni essere creato dalla natura, con la sua esistenza non faceva altro che arricchire il mondo, senza togliergli nulla.
tranne l'uomo.
《si Lexa, hai ragione.》 cercai di salvarmi, poiché non avevo sentito una parola di ciò che mi era stato detto dalla mia amica.
《Ti ho appena chiesto di aiutarmi con questo calcolo matematico, che non mi viene, perché non ho capito un passaggio e tu mi rispondi "hai ragione"? Terra chiama Lea!》Alexa mise il broncio, si alzò e si diresse verso il banco di Syria. Avrebbe chiesto a lei ed io, sinceramente, non potevo che esserne felice.
La campanella dell'intervallo suonò ed io decisi di uscire nel cortile della scuola: volevo gustarmi gli ultimi raggi solari caldi, che sarebbero stati presto sostituiti da quelli più deboli o, più probabilmente, da candide nuvole bianche.
Senza dire nulla mi infilai la mia felpa ed uscii dalla porta principale. Amavo il profumo dell'aria, soprattutto quando c'era il vento.
Presi un respiro profondo, chiudendo gli occhi ed iniziai a vagare senza meta, girando attorno alla scuola. Vedevo gente fumare, nascondendosi dai professori; persone sedute sulla pista d'atletica leggera e tante altre girare intorno alla palestra, scambiandosi chiacchiere. Questo, però, avveniva ogni giorno. Tutti i giorni vedevo le stesse cose ed ero sicura di poter anticipare le mosse di ogni persona in quella scuola, poiché erano tutti terribilmente prevedibili.
Avevo paura, avevo paura che, prima o poi, sarei stata inglobata in quell'infinita distesa di cemento.

La campanella suonò ed io rientrai nell'atrio della scuola. Ero solita camminare con gli occhi bassi, non perché avessi paura di qualcuno o per altri motivi simili. Semplicemente non volevo che nessuno potesse capire ciò che stavo pensando, poiché bastava guardarmi negli occhi, per leggere i miei pensieri.
Non so per quale motivo, però, quel giorno alzai lo sguardo , quasi spinta da un qualcosa di esterno alla mia persona. Una sorta di energia mi spinse ad alzare gli occhi, come  se essi fossero stati delle calamite ed altre calamite, dal polo inverso, si fossero avvicinate.
Vidi le pupille nere come la pece di quel ragazzo sulle mie e fu in quel momento che, per un secondo, mi sembrò di vedere le più belle costellazioni in quegli occhi: erano pieni di vita, ma terribilmente spenti. Quel ragazzo aveva qualcosa di diverso dal resto del mondo, ed io, dovevo scoprire cosa.

Entrai in classe. Un senso di vuoto si era formato al centro del mio stomaco, ma non era una sensazione negativa. Ero turbata dal fatto che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a riprendere il controllo delle mie emozioni.
Dopo aver incrociato lo sguardo di quel ragazzo, il mio mondo sembrava essere crollato, così come le mie barriere. Mi sentivo messa a nudo, come se in quel momento, tutti avessero potuto vedere le mie debolezze, i miei lati nascosti.
Sembrava tutto così diverso, tutto così lento. Mi sentivo dentro una boccia di vetro: i suoni erano ovattati ed io non riuscivo ad evitare di isolarmi dal mondo che mi circondava.

La campanella suonò e in quel momento la boccia di vetro, che fino a pochi secondi prima mi aveva gelosamente tenuta all'interno di se, si frantumò in mille pezzi.
《che fai, resti qua?》Kathy si avvicinò con una strana dolcezza a me e mi accarezzò i capelli. La guardai per qualche secondo e vidi sul suo viso un'espressione che non vedevo da tempo.
Senza dire una parola mi alzai dalla sedia, mi diressi verso l'uscita ed in quel momento la sentii parlare a bassa voce:《sta succedendo di nuovo.》disse con tono preoccupato ad Alexa.

Una rosa nel cemento Where stories live. Discover now