06. Danger

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La paura si trasformò in urgenza.
Urgenza di andare via da quel posto.
Subito.

Gli occhi famelici del ragazzo davanti a me, tuttavia, non sembravano pensarla come me. Era così alto che dovetti alzare il mento per guardarlo in faccia, e con quelle spalle larghe e possenti pareva quasi occupare tutto lo spazio in quello stretto corridoio.
La luce rossastra si muoveva al ritmo del mio terrore, mentre facevo un passo indietro per imporre una salutare distanza tra me e lo sconosciuto.
Avrei potuto fare dietrofront e infilarmi in bagno, ma non sapevo decidere chi, tra Krait e quello sconosciuto, avesse l'aria più minacciosa.

No, dovevo superarlo e andare via.
Possibilmente viva e senza danni.

«Non mi rispondi?» domandò il ragazzo, inclinando appena la testa.

Non riuscivo a capire di che colore fossero i suoi occhi. Avrebbero potuto essere cerulei oppure neri, ma le luci rosse li rendevano comunque cremisi. La sua età si aggirava probabilmente tra i ventitré e i ventisei anni, ma il suo sguardo aveva una scintilla di malizia antica, viscerale, che mi fece contrarre lo stomaco.

«Sto andando via.» La mia stessa voce mi arrivò ovattata, ma cercai di mantenere un tono fermo e la postura rigida.

Lanciò un'occhiata alle mie spalle, e sperai con tutta me stessa che quel Krait non fosse lì ad assistere. Magari erano amici e si sarebbero divertiti insieme.

Cercai di scacciare il pensiero.

Provai a fare un passo verso destra, ma anche lo sconosciuto lo fece e mi bloccò il passaggio. Quasi gemetti per la frustrazione. Se avessi urlato, forse nessuno mi avrebbe sentita. La musica era troppo alta, il frastuono troppo assordante.

Con quel briciolo di lucidità che mi vorticava ancora in testa, ficcai una mano nella borsa a tracolla e acciuffai l'oggetto che cercavo mentre sollevavo lo sguardo verso quel ragazzo. Non tirai fuori la mano, mi limitai a guardarlo e digrignai i denti.

«Fammi passare», sibilai, con gli occhi stretti in due fessure.

«Ma come? Vai via così preso?» Il suo tono fintamente mellifluo mi fece raddrizzare i peli, ma tentai di non mostrarmi impaurita o vacillante mentre digrignavo i denti.

«Fammi. Passare.» Mantenni il tono fermo, attenta a non far trapelare nessun accenno di paura.

Il suo ghignò si accentuò e registrai un battito mancato del cuore mentre stringevo con più enfasi l'oggetto nascosto nella borsa. Non ero così stupida da andare in giro senza qualcosa da poter usare per difendermi se fosse stato necessario.

Tuttavia, il ragazzo non accennò a spostarsi e, quando sollevò una mano e all'improvviso acciuffò una ciocca dei miei capelli biondi, feci un balzo all'indietro e sfuggii al suo tocco indesiderato.

Lui rise.

«Sembri un topolino impaurito», commentò, subdolamente divertito da quel siparietto. «E sei davvero, davvero carina. Sarebbe un peccato se...»

Non gli lasciai terminare la frase: tirai fuori dalla borsa l'oggetto e premetti con forza il pulsante. Il getto dello spray al peperoncino si abbatté dritto sul suo viso.

Il ragazzo scattò all'indietro e con un grido che si mescolò alla musica troppo alta si portò le mani agli occhi. Sfregò con forza nel vano tentativo di alleviare gli effetti dello spray e si piegò in avanti. Approfittai di quel frangente per sfilargli vicino e cominciai a camminare a tutta velocità per il corridoio, e aumentai il passo quando arrivai nella sala principale. Avanzai tra i clienti, e poiché ero molto più bassa della maggioranza di loro riuscii a oltrepassarli quasi senza farmi notare. Non mi voltai a guardare verso il corridoio perché avevo paura di cosa avrei potuto vedere se l'avessi fatto e, con il cuore in gola, intercettai l'uscita principale. Tuttavia, a pochi passi da essa, una mano mi agguantò per un gomito e mi tirò con così tanta forza da farmi tremare le gambe mentre mi rispediva indietro.

𝐂𝐋𝐔𝐄𝐋𝐄𝐒𝐒Where stories live. Discover now