Wicked Game

_shadowhunters_96 által

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Quattro fratelli. Due coppie di gemelli. Quattro ladri e portatori di guai. Una piccola cittadina, al confin... Több

Cast
00. Regole
Prologo
01. Sei una divinità
02. Sono allergico ai gatti
03. Sfidarmi ti costerà caro
04. Sei il mio incubo
05. Sei completamente matta
06. Un fantastico partner in crime
07. Raven Parker è sempre stata un problema
08. Soltanto per cinque secondi
09. Guess who's back?
11. Azriel cosa ne pensa?
12. Mi hai davvero scattato una foto?

10. Sei nuda, Raven

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_shadowhunters_96 által

Avril Lavigne – Love it when you hate me

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VOLUME: ▁▂▃▄▅▆▇ 100%





Intorno a noi c’è un tripudio di urla e abbracci.

Siamo circondati da vecchi compagni che finalmente si rivedono, altri che si scambiano due parole per la prima volta e altri ancora che si guardano intorno spaesati; alcuni sono sdraiati sul prato perfettamente curato o sulle panchine che costeggiano il viale.

Peter si passa una mano tra i capelli e rimane per un po’ così, con la mano sulla testa e un sorriso da ebete in faccia.

«Adoro questo posto!», prorompe.

Dopo il discorso di benvenuto della preside Bailey, attendiamo con impazienza che qualcuno ci guidi verso i nostri nuovi alloggi.

Sono appoggiata ad uno dei pilastri della ringhiera e l’entusiasmo iniziale è sfumato via. Lancio un’occhiata fugace oltre la spalla soltanto per intravedere Lucy e Adeline mentre gesticolano nervosamente e confabulano, scambiandosi ogni secondo sguardi d’intesa e frasi stizzite. Dal modo in cui Lucy sposta i capelli biondi e lucenti sulla spalla ogni volta che Adeline apre la bocca per parlare, capisco che la conversazione è parecchio accesa tra di loro.

Malgrado i tentativi di Adeline di apparire imperturbabile e affabile, il movimento delle mani e la ruga che le solletica la fronte ogni due secondi, la tradiscono. È nervosa.

Istintivamente porto lo sguardo su mio fratello. Peter la osserva quasi stralunato e io sono costretta a spostare lo sguardo su un gruppetto di ragazzi pur di non guardare loro.

Non importa se mio fratello stravede per Lucy e non mi importa nemmeno se lei sostiene di essergli fedele e di amarlo intensamente. Lei non sta correndo tra le sue braccia in questo momento e so che mio fratello non ama valicare i limiti che si pone in situazioni di disagio. Lei non fa nulla per rendergli la giornata più luminosa.

Forse lui riesce a vedere soltanto le sue sfumature più vivaci, ma i miei occhi non sono ingenui e riescono sempre a cogliere anche le tonalità più tetre.

Come se mi avessero chiamata col pensiero, mi giro di nuovo per guardarle.

Lucy, seria in viso come un giudice che sta per sparare la sua sentenza definitiva, mette su un bel sorriso con l’intento di disorientarmi.

Peter si irrigidisce accanto a me. Nei suoi occhi luminosi scorgo un lampo di preoccupazione. Inizia a guardarsi attorno con fare critico, cercando probabilmente una via di fuga.

«Resta qui con noi. Ci sono io», gli dico a bassa voce in modo tale che mi senta soltanto lui.

«A volte vorrei che fosse più semplice», bisbiglia e io gli stringo la mano.

«Lo so, ma siamo ancora tutti uniti», gli dico cercando di rassicurarlo. Combatte contro l’ansia sociale da anni. Spesso appare pieno di vita e super socievole, ma se lo si osserva con attenzione, si capiscono tante cose. Sorride per ogni stronzata, ride anche quando le battute non sono per niente divertenti, si torce le dita o si gratta il braccio mentre parla, sembra immerso nelle conversazioni degli altri ma in realtà mentalmente è altrove.

Peter è così. E fortunatamente ho imparato a conoscerlo.

«Lucy sta venendo qui», ci informa Mallory.

Peter si illumina ancora di più. Sento un ticchettio delicato alle mie spalle, ma non mi giro.

«Ehi!», le dice timidamente Peter. «Sono qui», inizia a torcersi le dita e io sospiro. «Lo so, è folle. Ma è vero. Sono davvero qui, cavolo!»

«Già», risponde Lucy.

Un suono secco, privo di alcuna emozione.

Il mio stomaco si serra in una morsa d’acciaio e inizio a elencare tutti gli aspetti positivi di questa scuola per tenere impegnata la mia mente. Tutto pur di non lanciarmi su di lei come un giocatore di rugby e romperle la faccia.

Ma il sorrisetto timido di Peter non mi sfugge.

Non vedo mio fratello per quello che è adesso. Io vedo il mio fratellino che si emoziona per le cose più banali e vedo mia madre che sbuffa e alza gli occhi al cielo perché la sua immotivata felicità le dà sui nervi.

Vedo questo.

E mi fa male.

Stringo i pugni e mi giro verso di lei. Nello stesso momento Lucy indietreggia, come se il mio malumore l’avesse colpita dritto nello stomaco. «Che piacere vederti, Raven. Stai davvero bene», mi squadra dalla testa ai piedi e mi sorride amichevolmente.

Sbuffo una mezza risata colma di disprezzo. «Non dire stronzate, Howard.»

«No, sono davvero felice di trovarvi qui. Finalmente io e Peter potremo passare più tempo insieme. Sarà fantastico», lo guarda e per un attimo il suo sorriso pare sincero. «Però al momento qui intorno regna il caos e finché non verrà qualcuno a sistemare questo casino, starò insieme a Adie. Ti scriverò tra poco, okay?», mi guarda e poi scende i gradini e gli lascia un bacio casto sulle labbra.

Se ne va quasi trotterellando su per le scale. Peter ha le guance rosse e gli occhi che traboccano d’amore.

«Dio, sei davvero perso», mormoro.

Mio fratello si stringe nelle spalle.

«Porca puttana, mamma, certo che ho messo tutte le mutande nella valigia!», grida qualcuno in italiano. Io e miei fratelli drizziamo subito le orecchie.

Nostra madre è italiana e quando eravamo piccoli ci parlava la maggior parte del tempo nella sua lingua madre. Ma nostro padre, americano fino al midollo, ci ha sempre parlato in inglese e dato che siamo nati qui, è diventata la lingua dominante, anche se, a mio parere, la lingua italiana ha il suo fascino.

Nostra madre imprecava un sacco, esattamente come il tizio moro dalla pelle olivastra che sta gridando animatamente contro il cellulare, fregandosene degli altri.

«Avete sentito anche voi, vero? Non me lo sono immaginata», guardo i miei fratelli e trovo la conferma nello stupore che riempie i loro occhi.

Sembra che Peter si sia resettato. Si gira verso di me con un sorrisone da far paura. «Parla la nostra seconda lingua», dice completamente su di giri. «Ehi, ciao!», si gira verso quel tizio e inizia a muovere energicamente la mano per attirare la sua attenzione.

«Scusa, mamma, devo andare. C’è un tizio che mi sta sorridendo in modo inquietante e credo voglia parlarmi», dice il ragazzo mentre ci osserva con fare circospetto.

Sollevo un sopracciglio.

«No, mamma, non è un terrorista», sbuffa e questa volta sollevo anche l’altro sopracciglio.

«Ma sta parlando di me?», domanda Peter.

«No, te lo giuro. Non sta imbracciando un fucile e non sta neanche vendendo droga. Sono in grado di riconoscere gli spacciatori e anche i potenziali serial killer, tipo il figlio di zia Rosamaria. Te l’ho detto, dovrebbero portarlo da uno psichiatra. Il suo comportamento è dubbioso e sono certo che prima o poi un membro di questa famiglia morirà e, no, non mi riferisco alla nonna, anche se sta già con un piede nella fossa», fa una breve pausa e allontana di pochi centimetri il cellulare dall’orecchio, poi aggiunge con tono calmo: «Sì, ne sono sicuro. Questo tizio assomiglia un po’ al cane di tua sorella. È un Golden? O un labrador? Non ricordo.»

«Mi ha appena paragonato al cane di sua zia?», continua a chiedere Peter, sconvolto.

Appena riattacca, infila il cellulare nella tasca dei pantaloni e si gira verso di noi. Si avvicina con aria spavalda, trascinandosi dietro la valigia.

«Ciao, io sono Matteo», dice in inglese. Il suo accento è terribile.

Mio fratello si fa avanti. «Sono Peter Parker. Sì, come Spiderman», ecco, inizia a straparlare. È decisamente esaltato. «In italiano credo sia Pietro e in inglese significa anche pisellino. Ma Pietro Parker e uccello sono peggio di Peter Parker, quindi chiamami semplicemente Peter», finalmente si ferma e respira.

«Ossignore», brontola Matteo guardandolo senza battere ciglio. «Ciao, Semplicemente Peter, è un piacere conoscerti.»

«No, no. Solo Peter», dice mio fratello paonazzo. «Scusa, tendo a straparlare quando sono nervoso. Non volevo parlarti del mio uccello.»

Matteo continua a fissarlo.

Peter aggiunge in fretta: «Oddio, l’ho rifatto.»

Azriel sta cercando di soffocare le risate.

«Peter, riprenditi», sibilo tra i denti.

Guardo Matteo, lo fulmino con lo sguardo e con il mio italiano non così perfetto, gli dico: «Prendilo in giro e ti sbudello davanti a tutti.»

«In realtà si sta prendendo per il culo da solo. Io non ho detto niente ancora», risponde con un sorrisetto sghembo.

Azriel mi affianca, fa scrocchiare le dita di una mano. «Ciao, Matteo. Io sono Azriel», allunga la mano verso la sua e Matteo gliela stringe con troppa enfasi. Si pente subito del suo gesto avventato quando la stretta diventa talmente ferrea da donare alla sua pelle una sfumatura più intensa.

«Intendi spezzarmi le dita?», chiede Matteo con un’espressione sofferente.

«No, credo che il messaggio ti sia arrivato», risponde Azriel, allontanandosi da lui.

Matteo si massaggia le dita della mano. «Arrivato, arrivato.»

«Io sono Mallory. A me stai simpatico.»

«Oh, finalmente una persona normale», Matteo l’attira a sé, dandole due baci sulle guance. Mia sorella arrossisce.

Matteo guarda di nuovo me e smette subito di sorridere. «Stai per minacciarmi di nuovo?», chiede.

«Noi siamo tutti fratelli», annuncia Peter, come se fosse un’informazione di vitale importanza.

Sollevo il mento e faccio scivolare gli occhi lungo la sua figura longilinea. «Non dovresti tenere il portafoglio in bella vista. Ci sono un sacco di ladri in questo posto», dichiaro, guardandolo dritto negli occhi. Lui inizia a tastarsi le tasche dei pantaloni con foga.

«Non mi risulta», ribatte, dando un colpetto sul portafoglio. «È ancora qui.»

«Lo è», appoggio il braccio sulla spalla di Azriel. «Per adesso.»

Matteo sembra confuso. «Perché cazzo dovrebbero rubare? Sono tutti ricchi da fare schifo qui. Voglio dire, persino io lo sono», si guarda intorno con fare paranoico.

Peter scuote la testa con disappunto e mi prega con lo sguardo di mettere un freno.

Azriel invece ghigna.

Mallory sembra indifferente.

«I ladri sono ovunque, Matteo. A volte sono proprio davanti a te», gli rivolgo uno sguardo innocente.

«Io odio i ladri. Mi fanno paura», borbotta.

«Non è fantastico?!», esclama Mallory.

«Be’, per come la vedo io, sarebbe davvero un grande peccato se perdessi i documenti o le carte di credito. Si incasinerebbe tutto quanto, non è vero? Ti consiglio di tenere gli occhi bene aperti», mi avvicino a lui, la faccia a pochi centimetri dalla sua. «Cerca di non fare arrabbiare nessuno qui.»

Matteo annuisce. «Stai parlando di te, non è così?»

«La mia fedina penale è impeccabile», gli dico. «Per miracolo», gli faccio l’occhiolino. «Ma senza quel miracolo, in realtà probabilmente supererebbe la lunghezza del tuo cazzo in questo momento.»

«Quindi sarebbero venti centimetri pieni di reati?», chiede, ammiccando.

Mallory interviene. «Ce l’hai di venti centimetri?»

Matteo la guarda lascivo. «Sei interessata? Puoi venire in camera mia più tardi. Portati un righello.»

«Sto per vomitare», Peter si porta la mano sullo stomaco con fare drammatico.

«Quei centimetri non ti serviranno a niente da morto», dice Azriel incrociando le braccia al petto.

A questo punto mi aspetto che Matteo scappi via terrorizzato. Mi aspetto che inizi a sudare freddo e che prenda saggiamente le distanze da noi.

Non fa niente di tutto questo.

Il suo sguardo inizia a illuminarsi lentamente, poi grida: «Voglio essere vostro amico!»

Azriel mi guarda confuso. «Che problemi ha?», mi chiede.

Peter tira un sospiro di sollievo. «Menomale! Mi stai simpatico.»

Mallory sorride. «Si vede che è italiano. È adorabile.»

Riduco gli occhi a due fessure. «Già. Sembra proprio demente come nostra madre.»

Matteo si schiarisce la voce e si avvicina un altro po’. Si porta una mano davanti alla bocca per nascondere il labiale – non che qualcuno sia in grado di capirlo, dato che parla in italiano – e avvicina la bocca al mio orecchio, sussurrando: «Devo aspettarmi una minaccia anche da parte del tizio alto due metri, moro, sguardo tenebroso e fisico che pare scolpito nel marmo?», chiede. «Mi sta guardando da quando ho iniziato a parlare con voi. È accanto a quello schianto dalle gambe lunghe e la tizia bionda.»

Sposto lo sguardo verso di loro. Elias mi sta fissando. Adeline gli sta parlando e nel frattempo gli accarezza dolcemente il petto, ma lui non intende schiodare gli occhi da noi. Sembra furioso.

Alla mia sinistra invece intercetto il tizio di prima, Asher, che mi guarda con un sorrisetto da idiota stampato in faccia.

«Ciao», strilla all’improvviso una ragazza, frapponendosi tra di noi. «Mi hanno assegnato il compito di guidare le matricole nei dormitori. Siete pronti?»

Io e i miei fratelli ci scambiamo un’occhiata torva. Matteo si schiarisce la voce. «Guidami dove vuoi, splendore.»

La ragazza arrossisce violentemente. «Io sono Diana Dawson, comunque. Sono al secondo anno e sono a vostra completa disposizione», sorride raggiante. «Mi occupo anche dell’organizzazione di alcune attività.»

Matteo la ascolta attentamente, credo si sia preso una cotta per lei. O forse per Mallory.

O magari per entrambe.

«Tipo?», le chiedo.

Spalanca gli occhi, colta dall’entusiasmo. «Ti piace dipingere?»

Azriel mi guarda, ma io distolgo lo sguardo e borbotto: «Lo detesto.»

«Potresti imparare, sai? È un bel modo per distrarsi. Non tutto ruota intorno allo studio e qui tengono molto alla salute mentale degli studenti. Infatti, di solito la Whitman se ne occupa. Se hai qualche problema, puoi parlarne con lei.»

«Ci penserò», le dico con un sorriso freddo. In realtà i miei pensieri convogliano tutti verso Peter. Non è mai andato da uno psicologo e credo che gli farebbe bene.

«Abbiamo anche il club di lettura, se vi piace leggere.»

Peter sembra sorpreso. «Il mio sogno», dice, guardandomi come se avesse appena vinto alla lotteria.

Mi sento travolta da una quantità enorme di informazioni. Ci sono troppe cose alle quali dovrò abituarmi.

Non potrò scivolare nella stanza di Azriel quando mi sentirò soffocata, Peter non mi presterà più i suoi libri e forse non berrò più le sue tisane.

«Sembra fantastico, davvero», biascico. Azriel continua a osservarmi in silenzio. So che sta valutando la situazione.

«Intanto, ecco a voi le regole! Dovrete saperle a memoria. Sono piuttosto rigidi qui, lo so», offre a ciascuno di noi un foglio sul quale sono stampate più di venti regole.

Sono decisamente troppe.

«È uno scherzo?», chiede Azriel scioccato tanto quanto me.

«No», dice Diana. «Dico davvero, vi conviene fare come vi dico.»

Matteo, accanto a me, scoppia a ridere. «La seconda regola l’abbiamo infranta tutti almeno una decina di volte in meno di dieci minuti.»

Incuriosita, do un’altra rapida scorsa alle regole. È uno scherzo?

Matteo dà voce ai miei pensieri: «Io non vivo senza le parolacce. Sono come ossigeno per me, quindi indispensabili

Diana ci osserva, è serissima. Non sta fingendo.

 Matteo continua a gridare indignato: «È vietata qualsiasi attività sessuale qui dentro?», spalanca gli occhi. «Ma le pugnette? Potrò spararmi una sega ogni tanto o mi arresteranno? Per cosa, poi? Possesso illegale di pisello? Spaccio di sperma tra le pareti della mia stanza?»

Diana è diventata talmente rossa che temo possa esplodere da un momento all’altro.

«C-credo valga soltanto p-per attività tra due o più persone.»

Matteo è sconcertato. Picchietta il dito sul foglio. «Zero materiale pornografico. Quindi non potrò neanche guardarmi i porno in santa pace e masturbarmi?»

«N-non lo so. Usa l’immaginazione, magari?», suggerisce travolta da un’ondata di imbarazzo.

Decido di intervenire per mettere fine alla sua sofferenza, «Puoi farti tutte le seghe che vuoi, Theo. Posso chiamarti Theo?», gli chiedo.

Scorgo uno scintillio di pura felicità nel suo sguardo. «Puoi chiamarmi come ti pare.»

«Bene.»

«Quindi io e Lucy non faremo mai sesso in questo posto?», bisbiglia Peter tra sé e sé. «Raven, mi coprirai in qualche modo?»

«Che tragedia», Mallory ruota gli occhi al cielo.

Continuo a leggere le regole e mi soffermo sulle ultime due. Un brivido corre sulla mia schiena, fermandosi sulla nuca.

«Non preoccuparti, Diana. Noi siamo bravi a rispettare le regole e sono sicuro che mia sorella non darà problemi. È un po’ irresponsabile a volte e ama mettersi nei guai, ma so che qui farà la brava», dichiara Peter arruffandole i capelli come se fossero grandi amici.

«Peter», lo rimprovera Azriel.

Mallory contrae le labbra in una piccola smorfia e mormora, chinando il capo: «Sai che non ha tutti i torti, Az.»

Li guardo senza dire una parola, poi lentamente mi alieno nella mia mente, un po’ come fa Peter quando trova sollievo tra i suoi pensieri e non più tra le persone.

«I vostri nomi?», chiede Diana, picchiettando la punta della penna sulla lista che ha tra le mani.

«Siamo i Parker», dico con voce piatta.

Lei controlla meticolosamente l’elenco e annuisce, ma subito dopo si acciglia. «Siete in quattro, giusto?»

«Esatto», le dico.

«Ma ora siete in cinque», punta la penna contro di noi e inizia a contarci.

«Lui non è un Parker», indico Matteo.

Lui sospira con aria trasognata. «Vi invidio. Io ho un fratello e non andiamo mai d’accordo. Vorrei essere come voi.»

«No», lo trafiggo con lo sguardo.

Nessuno vorrebbe essere un Parker. Santo cielo, nemmeno io vorrei esserlo a volte.

«Va bene, sono stato un po’ precipitoso», replica con un sorrisetto allegro. «Ma siccome so già che voi quattro comanderete qui dentro, meglio fare amicizia sin da subito. Ho bisogno di compagnia e la vostra mi allieta molto.»

Mallory lo guarda interdetta.

Peter lo scruta con orrore. «Credo sia la prima volta che qualcuno desidera così tanto essere nostro amico.»

«Vorrei ambientarmi sul serio in questo posto. Mi piace», dice Mallory, guardando con la coda dell’occhio me.

«Ehi, ragazza corvo», mi chiama Matteo. «Perché i tuoi fratelli guardano sempre te?»

Scrollo le spalle. «Te lo stai immaginando.»

Theo fa ruotare l’anello sul suo indice e sorride. «No, non credo. I due biondini ti guardano come se la loro felicità qui dipendesse da te.»

Azriel solleva lo sguardo al cielo e stringe le mascelle.

«Ma voi due…», continua Matteo, indicando me e Azriel. «Voi due siete i due portatori di guai, non è così?»

«No, non è così», aumento la presa intorno al manico del trolley. Lo sono soltanto io, vorrei dirgli. I miei fratelli odiano mettersi nei guai. «Piace anche a me questo posto, quindi non farò niente di sconsiderato», dichiaro con aria solenne.

«Dai, su, non raccontare frottole», mi dice in italiano. «Tu sembri una che non si lascia calpestare dagli altri e io ho bisogno di persone così intorno a me.»

«Smettila di sobillarla. Mia sorella userà toni pacati e cercherà di evitare le risse e i litigi. Vero, sorellona?», chiede Mallory, circondandomi la vita con un braccio.

Potrei sentirmi come gli altri per una volta.

Potrei essere diversa.

Potrei comportarmi in modo civile. Rendere fieri i miei fratelli.

Potrei farlo, sì.

Peter ne sarebbe contento.

Mallory finalmente si sentirebbe a suo agio in un mondo così perfetto. Smetteremmo di vivere in un mondo scheggiato.

Sarebbe un nuovo inizio per tutti.

Una nuova vita.

«Vero», le dico, ma sento un nodo serrarmi la gola. Una bugia grande quanto una pallina da golf si sta formando dentro di me.

Le parole di Elias mi attraversano la mente come dardi infuocati.

Sono una bugiarda. E loro si fidano di me.

Azriel mi scivola accanto, mettendo della distanza tra me e Theo. Spinge la sua spalla contro la mia e poi intreccia il mignolo al mio dietro la tracolla, in modo che nessuno possa vederci.

Si preoccupa per me e non dovrebbe. Non sono una dannata bomba ad orologeria. Posso farcela. Non sarò per sempre un disastro.

In realtà, per colpa tua i tuoi fratelli non riescono a brillare come vorrebbero. In fondo, sei davvero un disastro e tu lo sai, dice la mia coscienza.

«Andiamo di qua», esclama all’improvviso Diana, strappandomi dai miei pensieri. Camminiamo lungo un sentiero uniforme che attraversa il prato, è costeggiato da diversi alberi e panchine in ferro battuto.

Alcuni studenti sono sdraiati sull’erba e chiacchierano, altri leggono e ascoltano musica.

«Questa è l’ala est», ci dice indicando la struttura rettangolare che sembra quasi attaccata alla struttura principale della scuola. «Vi verranno distribuite le tessere magnetiche, così avrete accesso al vostro dormitorio», continua a dire. «Ci sono tre piani, dovete fare attenzione, perché-»

«Lo sappiamo già», la interrompo bruscamente. «Non ho bisogno di una guida», la rabbia inizia a ribollirmi nelle vene. Decido di andarmene prima che io dica qualcosa di cui potrei pentirmi dopo. «Credo di poter trovare la mia camera da sola», le dico.

Lei sospira. «Sei la mia compagna di stanza.»

Mi blocco. «Cosa? Io non ti voglio.»

Lei scuote il capo. «Mi dispiace.»

Credo abbia percepito la mia ira, perché si affretta ad aggiungere: «Però è abbastanza grande e neanche sentirai la mia presenza. Io sono silenziosa», ci guardiamo a lungo senza dire una parola. «Più o meno», bisbiglia. «Ma per te potrei diventarlo. Non voglio farti sentire a disagio o darti fastidio.»

Dio, è troppo carina. Troppo esuberante. Troppo tutto.

Non è come me. Dovrebbe fare amicizia con Mallory.

«Non fare la stronza», mi rimbrotta Mal. «Ti prego! Comportati-»

«Va bene, ci vediamo dopo», le dico e una volta dentro la struttura mi trascino lungo il corridoio a sinistra.

«In realtà, Raven, credo tu stia-», grida Diana da lontano.

«Che ne dici di levarti dal cazzo, ora?», sbotto.

Un ragazzo spalanca gli occhi, poi sibila: «Linguaggio!»

«Sta’ zitto!», gli dico e continuo per la mia strada, ma tutti i ragazzi mi fissano in modo strano.

Quale diavolo era il numero della mia stanza? Quattordici? Ventiquattro?

Mi fermo davanti a una porta e osservo le diverse figure intagliate nel legno scuro. Sollevo una mano e accarezzo la superficie irregolare, poi afferro la maniglia della porta, ma con mia sorpresa scopro che è già aperta.

Entro dentro e la chiudo poi con un calcio; lascio cadere a terra la tracolla e lo zaino. Spingo il trolley sotto la scrivania e poi mi lancio sul letto a pancia in giù. Annuso il cuscino. Se non fossi così convinta di essere nella mia stanza, giurerei che si tratti di un profumo maschile.

Cerco di non focalizzarmi troppo su questi insulsi dettagli e mi godo il silenzio.

Finalmente un po’ di pace.

Mi tolgo le scarpe, lasciandole cadere ai piedi del letto, poi mi sfilo anche la maglietta, i calzini e i pantaloni.

Rimango soltanto in intimo.

Apro la valigia e tiro fuori un paio di pantaloni della tuta, una t-shirt e l’intimo pulito. Li lascio sul letto e mi dirigo nel piccolo bagno a sinistra. La porta è socchiusa. Spero che Diana non venga qui proprio adesso. Non voglio più ascoltarla. Sembra dolce e carina, ma a volte è esaltata come Peter.

Chiudo la porta alle mie spalle, finisco di spogliarmi ed entro in doccia.

L’acqua calda scorre sulla mia pelle e io chiudo gli occhi. Provo a rilassarmi, anche se è difficile.

Mi sento una codarda. Siamo praticamente scappati da Chicago. Anzi, io sono scappata. Ma l’ho fatto per sfuggire ai guai in cui si è ficcato papà. Non voglio che succeda qualcosa ai miei fratelli.

Papà ha offerto me come garanzia.

Me.

Non valgo un cazzo per lui e questa è stata l’ennesima conferma. Sono sempre stata la pecora nera della famiglia. Una bocca in più da sfamare, anche se io e Az siamo gemelli. Papà voleva soltanto un altro maschio, non altri due gemelli. Non voleva me.

E mamma non vuole più nessuno di noi quattro.

«E chi si prenderà cura di me?»

Stringo gli occhi e cerco di non pensarci.

«Prenditi cura dei tuoi fratelli. Soprattutto di Mallory.»

Posso piangere? Posso farlo adesso? Forse no. Diana potrebbe entrare qui da un momento all’altro e dovrei inventare un’altra maledetta bugia.

Bugiarda. Sono una bugiarda. Forse è un bene. Alla gente non piaccio e va bene così. Non ho bisogno degli altri. Non devo piacere per forza. Sono come sono e va bene così... credo.

Sfrego talmente forte la spugnetta sulla mia pelle che devo fermarmi per colpa del bruciore. Ho le braccia rosse e l’acqua non è nemmeno calda. Tutto dentro di me brucia.

«Io non ti perdonerò mai, papà.»

«Non ti ho chiesto perdono, Raven.»

Sono così immeritevole?

Quando finisco di lavarmi, avvolgo il mio corpo in un grande telo morbido ed esco dal bagno. Districo i capelli con le dita e tampono il telo sulla mia pelle, poi lo lascio cadere ai miei piedi e con dita tremanti sposto i capelli bagnati sulla spalla destra.

«Ryan, non rompere le palle», sento dire nel corridoio. «Ci sentiamo dopo, vado a farmi la doccia.»

Un secondo. Questa voce...

La porta si spalanca di punto in bianco. Chiudo gli occhi e mi giro lentamente.

È Diana. È Diana. È Diana.

Sollevo le palpebre e per poco la mia mascella non tocca terra.

Elias mi sta guardando.

È completamente pietrificato.

E io pure.

«Elias, mi sono dimenticato di dirti-», dice Ryan dall’altra parte della porta.

Si riscuote dallo stato di trance e grida: «Non entrare! Sono nudo», mi guarda, sbattendo piano le palpebre, scioccato. «Con Adeline!», aggiunge e poi gira la chiave nella serratura.

Nudo? Con Adeline?

Vorrei ridere, ma la consapevolezza mi colpisce come un fulmine.

Io sono nuda.

«Oh, cazzo», strillo, il panico mi scoppia nel petto come una granata.

«Tutto okay?», indaga Ryan. «Sta bene Adie?»

Elias con poche e grandi falcate accorcia la distanza tra di noi. Si abbassa rapidamente, afferra il telo e lo apre, coprendomi come meglio gli riesce.

«Sta alla grande! Ora sparisci, idiota!»

«Va bene, va bene. Non metterci troppo.»

Cerca di non guardarmi, anche se ormai è troppo tardi.

«Mi dispiace, io non sapevo-», mi blocco. Posa il palmo sulla mia bocca soffocando il resto delle parole. Un verso di protesta si infrange contro la sua mano, seguito da uno sbuffo carico di fastidio.

«Dio santo, tu vuoi proprio mettermi nei guai in ogni momento della mia vita», socchiude le palpebre e cerca di riprendere a respirare ad un ritmo regolare. La sua fronte sfiora la mia, un tocco quasi impercettibile. Lentamente toglie la mano dalla mia bocca e si allontana. È ancora troppo vicino. Non riesco a incamerare abbastanza ossigeno nei polmoni.

«Posso sapere cosa diavolo ci fai qui?», mi chiede mordace, guardandomi come se volesse bruciarmi viva.

«Pensavo che questa fosse la mia stanza», dico con un filo di voce. «Ero incazzata e quindi me ne sono andata. Non ho ascoltato-»

«Sei nuda, Raven», sbotta furibondo. «Nuda», ripete e i suoi occhi indugiano per pochi secondi sulle mie gambe.

«Sì, lo so. Mi hai visto le…?»

Si passa una mano sulla guancia. «Ho visto tutto», un muscolo freme sulla sua mascella. Retrocede, le mani nei capelli. «Sei nuda nella mia stanza. Sei dove non dovresti assolutamente essere. Potremmo finire in un mare di guai in questo momento, maledizione!»

Rimango in silenzio. Non ha tutti i torti. E la colpa è mia, perché sono una testa calda e non do mai ascolto agli altri.

«Le hai lette almeno, quelle cazzo di regole?»

«Sì e ne hai appena infranta una», cerco di buttarla sul ridere, ma lui non è affatto divertito.

E ora nemmeno io. A quanto pare i problemi non si affrontano sempre con il sarcasmo.

Una strana emozione gli si imprime sul volto. Sembra mortificato. Ma per cosa?

No, un attimo. Sembra combattuto.

Sto per porgli una domanda, ma qualcuno bussa alla porta. Elias mi si avvicina, la sua mano è di nuovo sulla mia bocca, l’altra la preme sulla mia nuca. «Chi è?», grida. Le sue dita sono gentili e trattengo a stento un gemito quando inizia a muovere i polpastrelli alla base del mio collo.

«Tesoro, sono io. Apri prima che mi becchino», dice Adeline.

Adesso sì che sono divertita. Come farà a sbarazzarsi di me? Mi butterà fuori dalla finestra?

«Muoviti, Elias», insiste. Lui mi guarda, sembra davvero in difficoltà in questo momento.

Piega il capo e guarda il soffitto. Deglutisce e io osservo il suo pomo d’Adamo mentre fa su e giù; immagino di passarci un dito di sopra. Sollevo una mano per dargli un pizzicotto sul braccio.

«Non ora. Sto pensando.»

Sì. È decisamente affranto.

Picchietto le dita sulla sua spalla.

«Raven, ti prego», mi supplica con lo sguardo.

Dato che non intende levare la mano dalla mia faccia, gliela sposto io. «Mi nasconderò nel tuo armadio, ma vedi di mandarla via, hai capito? Subito. Va bene?»

Toglie la mano dalla mia nuca e mi osserva come se stesse valutando i pro e i contro nella sua mente.

«Okay», cede infine e apre l’anta dell’armadio, spingendomi all’interno. «Non dire una parola. Sono serio, Raven. Non devi fiatare.»

«Lo so, l’idea è stata mia, genio!», lo guardo male. «I miei vestiti», li indico, poi sposto il dito verso la tracolla, lo zaino e il trolley. «Cristo santo», li agguanta rapidamente e li getta sotto il letto. Tira un calcio al mio zaino e spalanco la bocca, scioccata.

«Ehi!», protesto a bassa voce.

«Ti ho detto di stare zitta», mi rimprovera, poi spinge sotto il letto anche il mio trolley. Si avvicina a me, sono rannicchiata tra i suoi vestiti. Lui mi guarda dall’alto, ma si abbassa sulle ginocchia per essere alla mia stessa altezza. «Lo so che non ami sentirti in trappola, ma cerca di fare la brava per qualche minuto, va bene?»

Ci fissiamo, io schiudo le labbra pronta ad insultarlo, ma non esce alcun suono.

Si china ancora di più. «Va bene, Raven? Ce la farai?»

Mi stringo le ginocchia al petto e annuisco. «Cerca di essere veloce.»

«Farò del mio meglio.»

Mi chiude nell’armadio e io rilascio un sospiro carico di tensione.

«Arrivo», annuncia.

La porta si apre in concomitanza con la lamentela di Adeline. «Perché ci hai messo tanto? So che tua madre chiude un occhio per te, ma le regole sono uguali per tutti, quindi la prossima volta vedi di darti una mossa.»

Quanto è dispotica e irritante.

«Ero… cioè stavo-»

Elias, a differenza mia, fa pena a mentire.

«Cosa?», lo incalza, spazientita.

«Stavo parlando al telefono con mio padre.»

«Okay, allora dobbiamo fare in fretta. Che aspetti? Spogliati», gli ordina con un tono che non ammette repliche.

Cosa?

Non farlo, Elias, o giuro su Dio…

«Ho cambiato idea. Non mi va più. Posiamo fare un’altra volta?»

«Non mi importa, io non ho cambiato idea. Quindi spogliati o ti spoglio io», insiste lei.

Mi acciglio. Perché diavolo gli parla in questo modo?

Una vampata di calore mi attraversa il corpo. Vorrei sbatterla fuori con un calcio nel sedere.

Non capisco nemmeno il motivo di questa rabbia che mi brucia nelle vene.

«Tesoro, spogliati, non voglio fare la stronza con te», gli dice questa volta ammorbidendo la voce.

Se uscissi da questo dannato armadio e la prendessi per i capelli, quanto rischierei?

«Okay, va bene», risponde Elias. Sembra rassegnato.

Cosa? No.

Sento il fruscio dei vestiti e la risatina divertita di Adeline inserirsi con forza nelle mie orecchie.

Chiudo gli occhi e mi chiedo perché questo terribile idiota abbia acconsentito. Sa che potrei fare una follia. Lo sa, cazzo!

Poso il palmo sull’anta, pronta ad uscire, ma più spingo, più non si apre. Ha chiuso l’armadio a chiave? Mi prende per il culo?

Sento un tonfo e poi lo scricchiolio del letto. Appoggio la fronte contro la superficie liscia del legno e trattengo il fiume di parolacce che vorrebbe uscire fuori.

«Spero che quella stronza venga espulsa presto da questa scuola», pronuncia Adeline con affanno. Mentre scopano parlano di me? «Non tollero la sua presenza. Farò di tutto per sbatterla fuori, spero tu lo sappia.»

Adesso lo so anche io, stronza.

«Non credo sia possibile, Adie», risponde Elias.

«Pensi sia intoccabile?», gli chiede.

«Raven è perspicace, sa come muoversi anche nelle situazioni più assurde. Non puoi metterla nei guai. È lei stessa un guaio su due piedi.»

Sorrido. Grazie. Io non penso questo di me, ma grazie.

«A volte bisogna giocare sporco, sai?»

Elias sa che io gioco sporco da una vita, eppure decide di non rivelarglielo.

«E forse ti dimentichi con chi hai a che fare.»

 Sento le sue spinte, i gemiti di Adeline. Vorrei vomitare.

Scatto di nuovo sull’attenti quando Elias decide di parlare. «Lascia che ci pensi io.»

«No. Lei è il mio problema ora. Non la sopporto e ti dà sempre il tormento», ribatte Adeline. «Adesso scopami più forte e non fiatare.»

«Adie, non voglio. Davvero, forse è meglio che-»

«Ti ho detto di stare zitto. Dammi piacere e non lamentarti come un bambino. Fammi venire. Almeno in questo sei bravo.»

Bene. È arrivata l’ora di tapparmi sul serio le orecchie e anche di darle un pugno in faccia non appena saremo faccia a faccia.

Sopporto in silenzio cercando di non badare troppo ai versi di piacere di Adeline.

Cerco di pensare ad altro. Chiudo gli occhi e la mente mi trasporta a quando eravamo piccoli, io e lui.

Sono nell’angolino della vergogna. Elias è accanto a me. Mi sta tirando una ciocca di capelli. Io gli calpesto con forza il piede. La classe soffoca una risatina, la maestra ci rimprovera per la milionesima volta.

«Ti odio», sussurra al mio orecchio.

«Anche io», rispondo.

Sento la sua piccola mano sulla mia e abbasso lo sguardo. Stringe un altro aeroplanino di carta tra le dita.

«Dovevo dartelo prima», dice.

Mi giro verso di lui dando le spalle alla maestra.

«Raven, un giorno sarai mia e potrò darti fastidio per il resto dei tuoi  giorni», leggo a bassa voce, Elias gongola accanto a me.

«Non vedo l’ora. Sarai la mia prigioniera», sorride sornione.

«Succederà il contrario», rispondo e accartoccio l’aeroplanino, gettandolo nel cestino della spazzatura accanto a noi.

«Cioè che sarò tuo?», mi chiede.

«Ti darò il tormento, cretino.»

«Solo se te lo lascio fare, ranocchia», ribatte, arricciando il naso.

«Lo farai, sfigato.»

«Morte mi sta guardando», indica Azriel.

«Mi sta ordinando di strangolarti.»

«Provaci, Falce.»

«Smettila», gli assesto una gomitata.

«Mi hai fatto male», si lamenta.

«E quindi? Te lo meriti.»

«Davvero?»

«Davvero.»

«Va bene. Te lo meriti anche tu», mi pizzica il fianco.

«Sto per colpirti», lo avviso.

«E perché me lo dici in anticipo?»

«Così puoi fermarmi.»

«Non voglio fermarti.»

L’anta dell’armadio si apre di colpo, ritorno con la mente al momento presente e cado in avanti a quattro zampe.

«Ti ammazzo», è la prima cosa che gli dico.

Quando sollevo lo sguardo verso di lui, non mi piace per niente quello che sto vedendo. Elias non è divertito. Non è arrabbiato. Non è triste. La sua espressione è imperscrutabile.

Mi rimetto velocemente in piedi e lo guardo in faccia. È davanti a me, ma mentalmente è da un’altra parte. Ha i capelli arruffati, la fronte imperlata di sudore.

«Stai bene?», gli chiedo, ma non risponde. Forse non mi ha sentito, quindi gli tocco il braccio e dico: «Vuoi appoggiarti a me per qualche secondo?»

Gira di poco la testa, mi guarda di traverso. «Che c’è, adesso ti importa?»

«No», mi affretto a dire. «Ma cerco di rendermi utile. Anche se sei la persona che più disprezzo. Non è quello che fanno i migliori?»

L'ombra di un sorriso gli solletica le labbra. Il suo braccio si solleva e senza alcun preavviso incastra il mio mento tra le sue dita. Mi guarda negli occhi, divertito. «Adesso mi rubi pure le parole?»

Cerco di non badare al suo tocco, ma in questo momento anche un respiro potrebbe essere di troppo tra di noi. «È un problema?», chiedo.

Sfrega per pochi secondi il pollice sul mio mento. «Chissà quante cose mi ruberai ancora», mormora tra sé e sé.

 «Sicuro di stare bene? Hai una faccia-»

«È la mia cazzo di faccia, Raven. Non c’è nulla di strano», risponde seccato e lascia la presa sul mio mento. Si scrolla di dosso anche la mia mano e io me la porto rapidamente dietro la schiena.

«Sembri sempre scocciato», gli faccio notare.

«E tu sembri sempre incazzata con il mondo», ribatte guardandomi appena.

«Forse lo sono», mi acciglio. Sono di nuovo sul punto di mettermi sulla difensiva. Tra di noi è sempre stato così.

«Forse non dovresti», si gratta la nuca pensieroso. «Il mondo non è così malvagio come credi.»

«Il mio mondo sì, lo è.»

Si gira e risponde brusco: «Stronzate!»

All’improvviso la rabbia sboccia nelle sue iridi e io sussulto. «Tu dici sempre e solo stronzate. Dalla tua cazzo di bocca non esce mai nulla di interessante.»

«Stai bene?», sussurro e poi faccio una smorfia. Non avrei dovuto chiederglielo.

«Non ti importa come sto», mi ricorda. Un filo di imbarazzo si fa spazio tra di noi.

Lui fa un respiro profondo, appoggia i palmi sulla scrivania e china il capo. Rimane così per un paio di secondi, assorto nei suoi pensieri. Non mi importa, è vero, ma darei qualsiasi cosa per sapere a cosa sta pensando in questo momento.

«Ho cercato di dissuaderla, ma Adie sa essere molto insistente quando vuole», mi dice, cambiando argomento.

È ancora a torso nudo e ha soltanto un paio di boxer neri addosso. È ben piazzato, il suo corpo è modellato grazie probabilmente agli anni di allenamento. Non ha un filo di grasso. Forse dovrei dirgli di insegnarmi un paio di esercizi. Come ha detto che si chiama? Calisthenics?

«Sì. Credo di aver sentito abbastanza bene la vostra conversazione. Hai ceduto in fretta, sei patetico», rispondo e gli do una spallata mentre mi inginocchio davanti al letto per riprendermi i vestiti.

«Lascia, faccio io», dice e si abbassa accanto a me. Mi siedo sul suo letto e aspetto. Sono furiosa. E lui pure. Insieme siamo pericolosi. Non per gli altri, no. Lo siamo per noi stessi. Lui mi spinge sempre oltre i limiti. Mi fa impazzire.

Quando solleva il capo, i suoi occhi incontrano i miei. È ancora inginocchiato davanti a me. Stringo un po’ di più il telo attorno al corpo. Mi sento vulnerabile e io odio sentirmi così. Preferisco la rabbia. Tiene sempre tutti lontano da me.

I miei occhi scivolano involontariamente sul suo addome e poi sempre più in basso. Deglutisco quando noto il rigonfiamento nei suoi boxer.

«Credo che la tua ragazza non ti abbia soddisfatto del tutto», gli dico, cercando di allentare la tensione con una battutina.

«Tu dici?», ribatte con voce roca. Abbassa lo sguardo sulle mie gambe nude e poi il suo polpastrello traccia lentamente il contorno del tatuaggio che ho sul polpaccio.

«Già.»

«Per caso vuoi rimediare?», mi chiede inarcando un sopracciglio.

Alzo gli occhi al cielo, sollevo un piede e gli do una spinta sul petto. «Pervertito.»

Mi regala un mezzo sorriso e poi afferra la sua camicia e i pantaloni dal pavimento. «Sono belli.»

So che si riferisce ai miei tatuaggi. «Lo so.»

Ride sprezzante. «A volte dovresti soltanto dire grazie

Non rispondo. Agguanto i miei vestiti e vado in bagno.

Mi guardo allo specchio. Ho un aspetto orribile.

Mi infilo rapidamente le mutande, i pantaloni e poi la t-shirt bianca.

Quando ritorno da lui, lo trovo seduto sulla sedia girevole, le gambe divaricate e lo sguardo puntato sul soffitto. La camicia è stropicciata e leggermente sbottonata; i capelli sono ancora scompigliati. Ha un’aria da ribelle.

«Adesso dovrò trovare un modo per farti uscire da qui, volpina», dice senza guardarmi.

«Questa volta non intendevo darti fastidio. Lo giuro», gli dico sinceramente. È il mio modo per scusarmi.

«Eppure, l’hai fatto lo stesso.»

«Sono troppo stanca. Parlare con te richiede troppa energia.»

«Lo sono anche io», risponde, ma forse non intendiamo lo stesso tipo di stanchezza.

«Ora ti va di farmi uscire da qui?», gli chiedo.

«No.»

«No?»

Elias si alza e inizia ad avanzare verso di me a passo lento. Io indietreggio.

«Paura?», mi chiede con un sorriso malizioso.

È talmente alto e possente rispetto a me che potrebbe prendermi tra le mani e schiacciarmi come un bicchiere di carta.

«Ho ancora il mio coltellino.»

«Hai intenzione di puntarmelo di nuovo alla gola?», sorride sornione. Sembra davvero felice in questo momento.

«Vuoi che lo faccia?»

Il cuore inizia a galopparmi nel petto.

«Tu vuoi farlo?», rilancia e all’improvviso mi ritrovo con le spalle al muro.

«Sempre.»

«Sei pericolosa, quindi?», appoggia gli avambracci ai lati della mia testa. Sono in trappola. China leggermente il capo verso di me. Cerca di guardarmi negli occhi, ma io non sono così coraggiosa in questo momento, dunque decido di guardare altrove.

«Per te lo sono?»

«Lo sei», appena lo dice sollevo di nuovo lo sguardo. I suoi occhi scendono sulle mie labbra per una frazione di secondo. «Troppo.»

«La mia esistenza ti disorienta, Bailey?», sogghigno.

Lui sospira. «Sì», il suo piccolo sorriso ora si allarga. «Si, cazzo. A volte quando siamo insieme ho l’impressione che il mondo sia troppo piccolo per due come noi. Io mi sento schiacciato come dannata lattina.»

«E quindi? Cosa intendi farmi?»

Lui si avvicina un altro po’, il suo bacino per poco non sfiora il mio. «Farti

È soltanto un gioco, mi dico. Soltanto un gioco. E io sono brava in questo. Siamo di nuovo nell’angolino della vergogna. Soltanto io e lui.

Forse aveva ragione mia madre. La vita è soltanto una lunga partita.

Ma io non voglio essere come mia madre. No.

«Intendi costringermi a scoparti come Adie ha fatto con te?», mi lascio sfuggire, pentendomi subito dopo.

Elias si irrigidisce.

«Non mi ha costretto a fare nulla. Lo volevo anche io, solo che tu eri chiusa nel mio armadio», si allontana da me e finalmente respiro di nuovo come si deve. «Sei sempre in mezzo alle palle, Cristo!»

«Be’, scusami tanto», vado a prendere lo zaino e la tracolla.

«Tu pensi di poter fare quello che vuoi in questo posto, ma non è così. Non puoi neanche permetterti di stare in questa scuola, quindi cosa diavolo hai fatto per potertela pagare? Siete in quattro, è una spesa enorme per te. L’ultima volta avevi le banconote che ti sbucavano fuori dalla scollatura. Ti fai pagare? Ti sei prostituita davvero, Raven? Ti sei spinta oltre?», ruggisce. La vena sul collo gli pulsa violentemente. «O ti stai facendo altro?»

Senza riflettere, gli tiro uno schiaffo in faccia.

«Almeno io mi faccio pagare», ribatto scrollando le spalle con indifferenza. «Tu lo fai gratis? O anche Adie ti paga?»

«Non sai di cosa stai parlando», mi afferra il mento per guardarmi meglio in faccia, ma gli do una forte spinta, facendolo arretrare anche se di poco.

«E tu sì? Mi giudichi in fretta», ringhio dandogli un’altra spinta. «Tu e quella stronza siete fatti della stessa pasta. Sembri il suo fottuto cagnolino!»

«Smettila», grida e sto per spingerlo di nuovo, ma lui mi afferra entrambi i polsi. «Ho una relazione stabile da anni, tu invece cosa fai? Salti da un cazzo all’altro? Non saresti neanche capace di amare. Sai solo minacciare e fingere di avere il mondo ai tuoi piedi.»

«Preferisco non amare piuttosto che definire amore quello che c’è tra te e Adeline.» 

Non intende mollarmi.

«Posso usare le gambe, coglione», mi trema la voce. Sollevo un ginocchio per colpirlo all’inguine, ma lui inverte le posizioni e mi spinge verso il letto, immobilizzandomi.

«Calmati», ordina, lo sguardo gelido. «Adesso stai facendo troppo casino.»

«Puoi succhiarmi il cazzo, stronzo», dico ad un soffio dalla sua bocca.

«Tu non ce l’hai il cazzo, Raven.»

«Vaffanculo», mi divincolo, ma lui continua a tenermi stretti i polsi sopra la testa. Puntella l’altro braccio sul cuscino e si sorregge.

«Quanto sei sboccata», mi sorride. Trova questa situazione divertente? «Lo sei anche a letto?»

«Vuoi scoprirlo, coglione?», sollevo di poco la testa dal cuscino per affrontarlo meglio. Non ho paura di lui.

Elias ride. «Sei assurda, lo sai?»

Lo guardo negli occhi, finalmente la rabbia inizia a scemare e anche lui sembra più rilassato ora.

«Non diventerò come loro.»

Non so neanche perché l’ho detto. Persino lui sembra sorpreso.

L’aria intorno a noi si fa di nuovo densa.

«Non devi», allenta di poco la presa.

«Quindi vado bene così?», gli chiedo, accennando un debole sorriso.

Mi scruta con interesse. «Sì.»

«A te o agli altri?»

«Non mi importa degli altri», risponde.

Ci guardiamo negli occhi senza fiatare. Il suo sguardo si riempie lentamente di lussuria. O forse me lo sto immaginando. Anche io ho questa scintilla negli occhi?

«Elias, per caso vuoi baciarmi?», rompo il silenzio nel modo più idiota possibile.

«Non sono ancora abbastanza folle per farlo», la sua voce è bassa e profonda. Lo sguardo serio.

«Non credo si tratti di follia, bensì di coraggio», lo stuzzico, lui si passa la lingua sulle labbra.

«Ti odio da morire, lo giuro», lo sguardo è puntato sulla mia bocca. «Da morire. Non riesco a smettere.»

«Sì, anche io», ansimo sotto di lui e mi blocco. Non mi ha sentito, giusto? No. Non è possibile.

Dal modo in cui mi guarda, deduco di sì.

«Siamo di nuovo nell’angolino della vergogna. Tutto è concesso», mi dice e poi abbassa lo sguardo e io lo seguo, perché devo capire cosa ha attirato la sua attenzione in questo modo.

Mi pento all’istante.

I miei capezzoli per poco non bucano il tessuto della maglietta. Giusto. Non ho il reggiseno.

Cosa cazzo stiamo facendo?

Il gioco finisce qui.

Inizio a tremare. Non ho più il controllo sul mio corpo.

«Hai freddo?», domanda e annuisco vigorosamente. Perché quale altra spiegazione potrei dargli?

«Sto gelando», la voce mi tradisce di nuovo.

Elias appare confuso tanto quanto me.

«Fammi uscire, per favore», lo prego e lui annuisce.

«Devi levarti però», abbasso lo sguardo tra i nostri corpi. Ha un ginocchio premuto tra le mie gambe.

«Ancora un secondo», mormora.

«Perché?»

«Perché mi stai uccidendo, Raven», chiude gli occhi e fa un bel respiro.

«Oh no, mi stai facilitando il compito», ribatto e lui scoppia a ridere. La sua testa crolla in avanti, l’appoggia nell’incavo tra la spalla e il mio collo e continua a ridere. Il suo respiro caldo mi solletica la pelle, facendomi involontariamente il solletico. Mi divincolo, ridacchiando a mia volta, e inarco la schiena. Qualcosa di duro mi preme contro il ventre.

Nessuno dei due dice niente. Respira a fondo, il suo naso mi accarezza la pelle bollente del collo e mi scappa un mugolio.

«Hai intenzione di levarti oppure vuoi morire davvero per mano mia?», gli chiedo.

Si schiarisce la voce. «Dai, sparisci.»

Si alza dal letto e sento già la mancanza del tepore che mi avvolgeva fino a pochi secondi fa. E il modo perfetto in cui i nostri corpi-

No. No. No.

Non mi manca niente. Ho già tutto.

Prendo il trolley e il resto della mia roba e vado verso la porta di corsa.

«Ascolta», la sua voce è ancora roca. «Riguardo il mio amico, Aaron…», apre il discorso con cautela.

«Non gli ho fatto niente, ci hai già pensato tu.»

«Come?», sembra sconvolto. La lussuria viene rimpiazzata dallo stupore.

«L’avrai sicuramente messo in guardia», lo guardo corrucciata.

«Perché lo pensi?»

«Perché sei prevedibile. Ho chiesto di lui, ti sarai preoccupato e l’avrai contattato. Non sono così idiota, Bailey.»

«Io non penso che tu sia idiota, Raven», riporta gli occhi sui miei. «Penso soltanto che tu sia un’insopportabile combinaguai», risponde con un sorriso sincero.

«Hai paura di me», gli ricordo.

«Ho paura di te», conferma.

«E hai paura di quello che potrei farti.»

«Ho paura di quello che io potrei permetterti di farmi», ribatte per l’ultima volta. Apre la porta e controlla che il corridoio sia libero. Mi fa cenno di uscire. Prende il mio trolley e si allontana. Cammina talmente veloce che devo corrergli  dietro di lui per raggiungerlo.

«Terzo piano», si limita a dire.

Salgo le scale e quando arrivo in cima, trovo Diana. Mi aspetta, immobile come una statua e con un sorrisetto timido sulle labbra. «Ci hai messo un sacco.»

«Mi hai aspettata qui per tutto questo tempo?», le chiedo.

«Certo. È compito mio riportare gli studenti nelle proprie stanze. Vieni?», protende un braccio, facendomi cenno di andare avanti per prima. «Ti serve una mano?»

«No», dico.

«Sei stata nel dormitorio maschile, vero? Sappi che non sarà così semplice. Di solito c’è sempre il custode che sorveglia i piani.»

Mi si mozza il fiato. Dovrei mentire?

«Con chi sei stata? Dai, dimmi la verità. Non lo dirò a nessuno», mi fa l’occhiolino.

«No.»

«Va bene. Ma ti consiglio di stare lontana da Elias Bailey. Adeline è molto perfida, sai? E anche molto gelosa.»

«Perché me lo stai dicendo?»

Lei mi rivolge di nuovo un sorriso sfolgorante. «Perché ho visto come ti stava guardando lui prima, quando eravamo fuori.»

«Cioè?»

«Non saprei spiegarlo. Aveva uno sguardo strano. Ti stava tenendo d’occhio, però. Forse più del dovuto. Sembrava geloso, vi conoscete già?», ridacchia e finalmente arriviamo davanti alla nostra stanza.

Dio, grazie.

«Non è geloso. Quello che hai visto nei suoi occhi era odio», le dico mentre apre la porta.

Questo capitolo è lunghissimo, lo so, ma spero che l'attesa ne sia valsa la pena 💓 
Se vi piace la storia e se vi va, consigliatela agli altri 💕

Olvasás folytatása

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