Il re lo scruta come se lo stesse valutando. Non è da lui esitare, eppure in quel momento sembra ponderare le parole. «Dopo che avrai ucciso Jaja, ti istruirò su come comportarti con la principessa di Fontebella.»

Con quella singola frase riesce a tendere un nuovo nervo sottopelle. Per merito degli ultimi eventi si è scordato dell'ennesimo dovere che il tradimento di Jaja gli ha buttato addosso. Il matrimonio. Con una donna che non conosce, con una donna che non potrà mai amare. «Credevo di doverla solo sposare.»

Suo padre lo fulmina, le sopracciglia così tese da ricordare le ali di un'aquila schiuse alla massima apertura. Non esiste nessun "solo" quando si parla di politica. «Mancano sette mesi al matrimonio. Devi essere pronto per allora e sapere sin da subito come controllarla e imporle il volere della casata. Non sono previsti tentennamenti se la posta in gioco è la salvezza della nostra Bolla. Bada a non scordarlo.»

Non lo farà, sarà attento a non deludere la sua gente, anche a costo di annullarsi. Si concede un piccolo inchino, l'ultimo gesto educato, prima di tuffarsi fuori dallo studio del re. Ricorda a malapena il nome della sua futura sposa e non ha nulla contro di lei, eppure, mentre scende verso le serre, si sente riempire di una certezza dirompente: non la vuole.


*


Shadee non dice a Chanti che partirà. Per tre giorni si tiene il segreto in bocca, una roccia bollente che scotta e ustiona perfino i meandri più remoti della coscienza. Odia nasconderle qualcosa, ma ha promesso che avrebbe taciuto, anche se non è il solo motivo per cui ha deciso di non parlarle. Restare in silenzio gli dà l'impressione che il loro tempo non sia agli sgoccioli, che insieme possano strappare ancora qualche brandello di felicità alla vita prima di doversi allontanare. Non è pronto al loro addio, anche se sa di comportarsi in modo scorretto, perché quell'omissione equivale a una bugia. Non vuole ferirla, ha giurato a sé stesso di non farlo, e invece sta giocando sporco, sta tacendo i suoi sospetti sul fiore viola – è certo di averlo visto a Reggia Blu, ma dove? –, non le sta dicendo che presto se ne andrà.

Una sera, mentre si incammina verso le serre, viene bloccato da Kemala che per una volta tanto non lo segue di soppiatto, ma annuncia la sua presenza con un colpetto di tosse.

«Mi manda Chanti. Chiede se posso prendere delle erbe dai giardini della regina.»

Delle erbe? Per cosa? E perché non è venuta di persona? «Dov'è?»

«Nella mia stanza. Non si sente bene oggi e mi ha chiesto di recuperare qualche medicamento. Posso?»

Kemala punta con l'indice le serre e senza attendere un sì si avvicina a un cespuglio di nettare di biancospino da cui strappa qualche fiore. Recupera poi alcuni steli di artiglio di drago, un antidolorifico potente, lo stesso che Nandi gli ha somministrato per aiutarlo a riprendersi dopo i Mille Soli. Se Chanti ne ha bisogno, vuol dire che l'ha colpita qualcosa di grave, una malattia di cui lui non sa niente. Il solo pensiero fa scomparire la terra da sotto i piedi, instilla il terrore che gli dèi lo stiano punendo perché gli hanno messo tra le mani una persona importante e lui non ne è stato degno.

Il solo pensiero lo terrorizza. Kemala lo guarda sbiancare e scoppia a ridere. «Non fare quella faccia! È solo quel periodo del mese che voi uomini non capite. Non che in genere tu capisca qualcosa.» Lo raggiunge all'imboccatura delle serre con uno sguardo malizioso. «Non è che la stai strapazzando troppo? Chissà cosa penserebbe la principessa di Fontebella, se sapesse della tua cottarella per un'altra?»

«E cosa avrebbe pensato di te quando ti infilavi nella mia stanza?»

Kemala si solleva sulle punte e gli stampa un bacio sulla guancia. «Che sono troppo per un ragazzino che gioca a fare il principe e che lei non potrà mai essere bella quanto me!»

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