Capitolo 1

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La Farber, azienda leader nel settore dell'elettronica per cui lavoro da quattro anni, sta diventando un'enorme spada di Damocle per me. Se mi avessero detto prima come ci si sente a vivere a stretto contatto con il capo, nonché fondatore, non mi sarei mai fatta assumere.

Il mio rapporto con lui rasenta il ridicolo, mi tratta sempre come se fossi una decerebrata e credo fermamente che mi odi.

Oggi, poi, è una di quelle giornate in cui, il Sig. Rodolfo Martelli, andrebbe preso e rinchiuso con la camicia di forza in una clinica psichiatrica senza la possibilità di farlo uscire.

In questo momento, sono nel suo ufficio e sto assistendo immobile all'ennesima sfuriata nei miei confronti. Osservo il mio curriculum, frutto di anni di sacrifici, accartocciato tra le sue mani, pronto per essere scagliato contro il muro come ogni volta che se la prende se qualcosa non va.

«Mi spieghi per quale motivo i fogli A3 non sono al loro posto?» sbraita mentre io continuo a mostrarmi indifferente alle sue pessime abitudini.

«Temo siano finiti signore, li inserisco subito nella lista della cancelleria da ordinare. Le serve altro?»

«E come faccio a fotocopiare il progetto per la riunione? Fai qualcosa dannazione! Esci, vai in cartoleria o in copisteria basta che entro un'ora sia tutto pronto.»

«Non credo ci si stia dentro con i tempi» rispondo calma, prendendo dei lunghi respiri «perché non usiamo i fogli che già abbiamo e li attacchiamo con lo scotch? Tanto, chi vuole che noti la differenza?»

È incazzato nero, glielo si legge in faccia, però, non può sempre usare me come cavia per sfogare tutta la sua rabbia repressa. Io sono quella a cui urlare contro ogni frustrazione e sono la stessa che continua a restare lì senza reagire. Cioè non è che proprio non reagisco, solo che non ho voglia di discutere con uno che ha il cervello più piccolo di un moscerino, quindi faccio un bel respiro, conto fino a dieci e aspetto che smetta di prendere a pugni la scrivania prima di chiedergli di cosa ha esattamente bisogno.

E se non è in grado di gestire l'azienda potrebbe sempre rassegnare le sue dimissioni e lasciare posto al suo vice, cosa che apprezzerei molto a dire il vero.

«Fai qualcosa di utile e vai a comprarmi il pranzo almeno.»

«Mi ci ha già spedita stamattina. La busta è proprio qui, davanti a lei.»

Mi avvicino alla sua scrivania, piena di post-it appiccicati e penne frantumate e gli indico una borsa di plastica che trasuda olio, la afferro e gliela porgo in maniera fredda e distaccata, mostrando l'hamburger contenuto al suo interno. Ci sono anche i carciofini, che ho fatto mettere apposta per lui dopo che mi aveva minacciata di licenziarmi se non li avessi inclusi nel menu.

«Un hamburger? Non era quello che volevo. Per oggi passi, ma la prossima volta ritieniti licenziata in tronco.»

«Lo ripete ogni mattina signore, eppure sono ancora qui.»

Non credo che il mio tono ironico mi salverà dall'ennesima sfuriata, ma tanto vale prenderla con filosofia e farsi scivolare le cose di dosso, o rischio davvero di ritrovarmi in terapia a causa del sadismo che pare provare nel vedermi soccombere alle sue continue richieste e cambi di idea. Nemmeno una donna durante il ciclo ha così tanti scompensi umorali.

«Vattene. E portami una pizza che questa roba mi fa alzare il colesterolo. Poi glielo dici tu a mia moglie? E voglio anche un caffè.»

Mi riprendo il sacchetto di quello che avrebbe dovuto essere il suo pranzo, mi scosto i capelli dal viso e lo fisso per un millesimo di secondo, prima di allontanarmi con una scrollata di spalle. Va sempre a finire così, lui è l'indecisione fatta persona e a me tocca mangiare la sua robaccia. Col cavolo che lo butto dopo il casino che ho fatto per averlo. Ho atteso un'ora e mezza sotto la pioggia per i suoi maledettissimi carciofini!

Sembra sia nato con l'intento di rompermi le scatole.

«Vai e fallo calmare!» mi urla quando sono già fuori dal suo ufficio, mentre dalla sala riunioni si sente uscire ogni tipo di improperio.

«Cosa c'entro io adesso?» domando dopo che, lo stesso, mi ha già ordinato di portargli un caffè, una pizza e non so cos'altro.

«Tu fallo calmare e basta!»

La porta sbatte a livello delle mie orecchie e io devo fare uno sforzo enorme per trattenermi dal tornare dentro e fargli ingoiare ogni singolo frammento di quello che rimane del mio CV che continua a distruggere.

Faccio una smorfia in sua direzione, non sono ancora riuscita ad appoggiare la borsa con il pranzo, né a pensare al suo caffè, né al lavoro che si presume io debba fare, inoltre, mi innervosisce il pensiero di dover intervenire per calmare il mix di testosterone e orgoglio che si aggira per l'ufficio.

In particolare, quello di Alessio, che è il vicepresidente dell'azienda, e che nell'ultimo mese ha già rotto più della metà del materiale di cancelleria in dotazione a causa dei suoi attacchi di rabbia repressa.

Oggi sta discutendo con i colleghi della contabilità su un presunto buco in bilancio arrivato non si sa da dove e lui se la sta prendendo con ogni singolo addetto alle operazioni bancarie, le sue urla si sentono da due ore.

Approfitto di un momento di calma o comunque di un momento in cui nessuno all'interno della stanza ha il coraggio di dire niente per bussare piano, le gambe mi tremano per l'agitazione. Alessio ha il potere di mettermi in soggezione, non di sicuro Martelli. E non certo perché urla o mi tratta male, anzi.

«Ci prendiamo un caffè?» chiedo con lo sguardo rivolto verso di lui, che, nel frattempo, ha fatto volare ogni singolo foglio in giro per la stanza. Deglutisco, spaventata all'idea di una sua reazione brusca nei miei confronti, ma lui annuisce e mi viene incontro.

Eccolo il mio Alessio, quarant'anni, occhi chiari e profondi, secondo a Martelli solo per la piccola differenza di percentuale sulle azioni aziendali. È indiscutibilmente bello, ma è lunatico e iracondo quasi quanto il nostro capo.

Raggiungiamo in silenzio la sala relax dove lui allunga subito una mano sul mio sedere, prima di stringermi forte nel suo abbraccio per scaricare tutta la tensione.

«Mi sei mancata» sussurra.

Nessuno è a conoscenza della nostra storia e, ovviamente, nessuno deve saperlo.

Lui oltre a essere il vicepresidente dell'azienda, è sposato con la donna più acida del mondo che ha già minacciato di mandarlo in rovina in caso di divorzio e la Farber non ha certo bisogno di scandali che la riguardino.

Di solito ci incontriamo di nascosto appena finito di lavorare, per un'ora o poco più, ma è in assoluto il tempo meglio speso di tutta la giornata.

Chi non vorrebbe accarezzare quel corpo che pare scolpito nel marmo e abbandonarsi tra quelle possenti braccia?

Tutta Colpa Del Mio CapoWhere stories live. Discover now