LIA

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Edo è in mare. Gli amici si sporgono con gli occhi strabuzzati, troppo ammosciati da birra ed erba per poter fare qualcosa. Rimangono separati dal resto dell'umanità. C'è una barca lontana dalla costa che per la prima volta desidera terra.

Dicevano che era nata dal mare, sulla costa, dove le onde si spezzano contro gli scogli. A volte aspettava la tempesta per poi immergersi tra le acque sbattute, schiena e sabbia e sale sentiti addosso nella presa furente del mare. Dicevano che era fatta per quella spiaggia, lei diceva la notte di sognare l'oceano, ma mai completo, a rivoli, un po' alla volta. Nessuno sapeva chi fosse, padre e madre erano parole che si era dimenticata la notte in cui l'avevano ritrovata - ancora bambina, sbiancata dal freddo - nella rete di un pescatore. Avevano parlato di miracolo, avevano pregato in chiesa, ed ecco rinascere un paese fatto di vecchi e barche per una bambina. Ripescata dallo stomaco del mare, dispersa per istanti nessuno sa in mezzo a cosa, non conosceva le parole. Il primo regalo, assieme a un accappatoio giallo, era stato Lia, un nome che profuma di miele e cose timide. E da quel momento Lia è per tutti.

Edo sbatte contro il mare, si sente strappato verso il basso - ha un taglio alla tempia, una lunga riga rossa che pare un segnale di resa - l'acqua lo trattiene, lo annulla. È strano il mondo visto al rovescio, neanche c'è più la barca, neanche riesce a gridare. Un balzo del mare ed è di nuovo a fondo, l'ultimo respiro gli viene mozzato e, assieme ad aria, inghiotte anche onda.

Lia è bruna e scottata dal sole. Sa parlare ma non apre mai bocca, e quando lo fa avviene tutto sottovoce, leggera come la brezza marina. Il villaggio - vecchio, cariatico, solo - poco alla volta ha iniziato a prendere vita. Forse sono i pesci che da una decina d'anni attraversano la costa ingrossando le reti dei pescatori, proprio quando si pensava di trasferirsi nell'entroterra. Adesso ci sono bambini, famiglie, una poetessa e qualche turista, ogni tanto. Lia lavora nell'unico bar della zona, la sera ritorna a casa tardi su una bicicletta arrugginita. Delle volte si ferma a guardare il mare aldilà degli scogli e inizia a pensare a tinte azzurre e a bolle e a corpi squamati. Mare è quiete. Mare è battaglia. Mare è Lia.

Avevano deciso che gli ultimi esami di economia mandati giù in fretta, come granita sotto il sole bollente, andavano festeggiati. Edo si era attorniato della solita gente: Sergio, Mattia, Anna, Ludovica, Sara e Riccardo. I genitori di Edo hanno una barca per la bella stagione, un siluro bianco che si impolvera al porto per mesi, controllato da un paio di pescatori del posto.

- Ma ci vieni spesso qui? - aveva esclamato Ludovica arricciando il naso. L'aria salmastra difficilmente piace a qualcuno e il cielo limaccioso della mattina non faceva che amplificare la strana sensazione di starsi aggirando in un cimitero. Barche morte, vengo gelato, ma tutti volevano divertirsi.

Lia si immerge in acqua dando le spalle al mare, davanti a lei vede la macchia di vestiti piegati sulla sabbia asciutta e le finestre delle case intonacate di bianco che iniziano ad illuminarsi. C'è una tempesta in arrivo, sente il mare gonfiarglisi addosso. Un ultimo sguardo ed è sott'acqua. La pelle brucia e si raggrinzisce, i muscoli delle gambe si tendono diventando un'unica spinta che la dirige lontano dalla costa. Sera elettrica, sfarfallanti pesci le si sfregano addosso, si fanno branco che si increspa con le onde. È un'impressione di Lia o laggiù c'è davvero una barca? Il mare rabbioso le getta addosso un'acqua grigio morte. Lia accelera ma anche la barca sembra fare lo stesso, si muove verso la costa ora, malferma cerca la salvezza. Forse ce la può fare. Ruggisce il mare, Lia si inabissa. Onde, scogli e all'improvviso - una macchia nera su un crinale di specchi - un ragazzo.

- Partiamo, andiamocene da qualche parte - aveva detto Sara guardandolo con una tale sete che Edo non era riuscito a immaginare un bicchiere di champagne più grande del mare. Erano partiti con coperte, cassette di birra, panini imbottiti e altra roba presa per qualche euro. Avevano passato la mattina a pianificare di raggiungere l'altro lato della baia, a fischiare il primo bacio tra Edo e Ludovica - esperto, forse troppo per essere la prima volta - dato in coperta, a urlare, a lanciare lattine, a divorare il giorno. Fino a quando la frenesia non si era fatta confusione e la confusione non era divenuta un caos da baccanale. Ragazzi divertiti, ragazzi ubriachi, ragazzi fatti. Sembravano pochi ma i loro corpi distesi erano arrivati a riempire l'intera barca, giovani gabbiani sghignazzati in faccia al sole. Ad un certo punto il grido di Ludovica - Spingiamoci al largo! - e allora erano sopraggiunti i ragazzi più esperti a spostare la barca fuori dalla costa, sprezzanti della lanugine nera che copriva l'orizzonte.

Lia lo afferra prima che possa scivolare contro il fondo. Stretto a lei risalgono assieme in superficie. Il primo respiro è come se fosse diventato una necessità di entrambi. Una sensazione sconosciuta riempie Lia fino a farla traboccare, è la paura. I battiti sconosciuti contro di lei la avvisano che ha ancora poco tempo. Padre mare attende che lo lasci andare, le irrigidisce i muscoli. Il ragazzo apre gli occhi rossi di sale ed è la prima volta che Lia vede la morte.

Era sera quando Edo aveva tentato di sistemarsi la camicia aperta - e i pantaloni di lino, invece? - ma i bottoni gli erano scivolati tra le mani come lucci d'oro. Aveva voglia di una sigaretta, i corpi nel buio sembravano tutti uguali, appena riconoscibile quello di Ludovica, premuto su Mattia. Aveva iniziato a piovere, la testa di Edo era pesante, una nausea aspra gli premeva contro la gola. Affacciato fuori dalla barca c'era un mare nero, una bocca pronta a inghiottirlo. Sulla faccia una pioggia fredda, Edo barcollante si alza contro il cielo livido, il vento gli sbatte addosso strappandogli un grido a metà tra il sorpreso e l'eccitato. Stare sul bordo della barca sembra facilissimo fino a quando il mare non inizia a strattonare, in maniera improvvisa, un gigante che scaccia una pulce. La barca trema tutta, Edo cade.

Onda, pausa, onda, pausa, onda. Sono distesi sulla riva adesso, Edo e Lia. Lui trema, anche lei trema, insieme, un unico groviglio di brividi. Lia gli scosta dalla fronte i capelli bagnati, cerca di capire se questo corpo blu e argento è ancora vivo. Basterebbe un respiro, un brevissimo soffio d'aria dentro polmoni zuppi d'acqua. Lia sente le branchie che iniziano a ritrarsi, la pelle le si asciuga, ma chiede di aspettare, ancora per un istante. Si china su Edo e gli sussurra tutte quelle parole che per anni si è tenuta per sé. Gli racconta delle onde giovani, ancora inesperte per potersi allontanare dalla riva, dei pesci neri, delle anguille, dei coralli di un rosso capace di bruciare la pelle. Parla del vento che sferza, che accompagna i gabbiani giù al molo nelle sere d'estate. E poi racconta del mare, dei suoi flutti, di quello che contiene, dei colori, dei suoi guardiani. A poco a poco la voce si fa pallida e sempre più esile fino a diventare brezza. Lia rimane a guardare Edo. Ammutolita. Si sente piena di un amore nudo, ancora giovane, che le fa battere il cuore marino centinaia e centinaia di volte. Onda, pausa, onda, pausa, onda.

Edo è convinto di avere perso qualcosa nel mare. Un ricordo vago, la sensazione leggerissima di un bacio, ma è qualcosa che lo tiene sveglio la notte.

- Fortunato - gli dicono tutti.

Come se fosse fortuna risvegliarsi con un grido strozzato in gola, sopra sabbia bagnata, in un buio rotto dal rumore di acqua scossa. Aprire gli occhi ed essere assalito da una paura estrema, da un sapore di morte che da mesi non se ne vuole più andare, da un corpo che si risveglia a morsi, violentemente strappato a un fondale marino. I medici hanno detto che deve aver nuotato veloce, che se avesse visto tutte quelle cose che racconta a quest'ora non sarebbe certo lì con loro. Eppure Edo si ricorda tutto, c'è una voce adesso nella sua testa - un filo trasparente, una lenza da pesca - che lo guida in un labirinto fatto di blu e rossi e ricci bagnati. Ma nessuno gli crede. E intanto sono passati dei mesi, e l'università sembra sempre più pesante e Ludovica si è messa con Mattia ed Edo continua a desiderare una sigaretta dietro l'altra ma il sapore di morte non se ne va. Fino a quando si ritrova in una mattina talmente pesante perfino per poterci respirare dentro. Guida tutto il giorno per arrivare alla spiaggia, tiene il finestrino abbassato facendosi scompigliare dall'aria salmastra. A piedi scalzi l'asfalto è bollente, siamo in un'estate sbocciata in fretta, i bagnanti si distendono al sole con costumi rossi, gialli, verdi e viola. Edo attende appoggiato al bancone del bar fino a quando non se ne vanno via tutti, lasciandolo come unico compagno della notte. Neanche al buio ha il coraggio di avvicinarsi al mare, si siede sul bagnasciuga, appoggiato a un ombrellone a righe. Aspetta. Il rumore del mare gli arriva attutito - come il respiro di un animale addormentato - quasi ce lo avesse appoggiato tra la spalla e il collo. Rimane sulla spiaggia tutta la notte, fino allo sfumare rapido dell'alba. Sente un cigolio arrugginito dietro a sé, probabilmente il bagnino. Una ragazza lo supera, si ferma, si volta. Ha degli occhi che non hanno nulla di umano, lo sguardo più vecchio che Edo si sia mai sentito addosso. Rimangono in un silenzio che inghiottisce anche il mare. Muti l'uno davanti all'altro, assetati davanti a qualcosa che prima di allora li aveva solo distrattamente sfiorati. Lentamente la ragazza si spoglia - una figura appena toccata dal sole - piega con cura i vestiti sulla spiaggia. Guarda un'ultima volta Edo, forse se avesse ancora una voce direbbe qualcosa.

C'è il mare, ci sono le onde, adagio appare una lunga coda di pesce. Edo rimane immobile ma il tempo improvvisamente non è più bloccato. E adesso assieme al mare la sente. La quiete. La battaglia. Lia.

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⏰ Last updated: Feb 19, 2019 ⏰

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