Anche i pesci hanno sentimenti. (I)

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Per tutta la vita mi sono sempre sentito come un pesce.
Un pesce troppo piccolo per stare con gli altri, ma anche troppo grande per stare in un acquario.
Troppo indifeso per convivere con le persone, e troppo intelligente per stare con gente così stupida (e non mi dispiace affatto dirlo).
Mi sono sempre chiesto se questo fosse il posto giusto per me, ovunque mi trovassi, e continuo a chiedermelo tutt'ora che lavoro come agente della BAU all'FBI.
Non so se la mia intelligenza sia sprecata qui dentro, forse dovrei studiare ancora, fare qualcosa di più utile di questo, trovare una cura per il cancro, per la schizofrenia per aiutare mia madre, progettare razzi alla NASA, trovare la Z di Riemann; eppure resto qui.
Aiuto una persona alla volta, come mi disse Emily. È solo che a volte, è difficile aiutarne anche una di persona, perché per ogni persona che salvi ce ne sono tre che muoiono prima della tua opera di bene, e spesso le vite di gente che non conosci pesano sulla tua coscienza.
Derek mi porta nei pub a bere a volte, vuole compagnia per rimorchiare e spesso cedo alle sue richieste. Lamentarsi e voler tornare a casa è un buon modo per non pensare a quelle tre persone.
Anche questa sera siamo in un pub; ma Derek non c'è più. Nemmeno Hotch. E io mi sento particolarmente solo. Mi mancano, tanto.
A quanto pare sembro possedere l'abilità di perdere le persone alle quali tengo, non so se dipenda da me o dagli altri; so solo che il mio cuore è così stanco di soffrire.
Penelope, Luke ed Emily sono seduti accanto a me, mentre ordinano qualcosa e io mi accodo a loro, prendendo lo stesso, pur non sapendo cosa sia. Non sono mai stato un amante dell'alcol. Anche David era con noi, ma è tornato a casa per Joy, che è venuto a trovarlo a sorpresa.
Osservo i miei tre amici che velocemente ingurgitano i loro cicchetti e si gettano in pista, pregandomi di unirmi a loro; ma io desisto.
Li vedo scomparire tra la gente che balla, tra mille corpi che ondeggiano in maniera scomposta e che si scambiano sudore e spintoni. Io estraggo un libro dalla mia borsa in pelle e lo poggio sul bancone, ormai noncurante delle occhiate che ricevo, mentre con la mano sinistra disegno il contorno del mio bicchiere.
«Quanto deve essere annoiato lei per mettersi a leggere la dimostrazione del flusso di Gauss in un locale?» alzo un sopracciglio non appena una voce alquanto squillante mi distrae dalle parole stampate sul libro, e incontro lo sguardo incuriosito della barista, che prima non avevo notato.
«Ma lei lo beve quello?» continua poi, indicando il mio bicchiere. Non sono capace di dare una risposta e faccio spallucce, continuando a spostare il mio sguardo prima sul bicchiere e poi sul suo viso.
«Perché, vuole berlo lei?» chiedo, e lei annuisce.
«Ma lei può bere sul posto di lavoro?» domando insicuro e lei in tutta risposta ride, scostandosi un ciuffo di capelli ricci che le era caduto davanti al viso.
«Logisticamente bere il drink dovrebbe spettare a me, dato che l'ho fatto io» osserva e sorrido ridacchiando sommessamente mentre le avvicino il bicchiere. La seguo con lo sguardo per vedere con quanta grazia lo prende e se lo porta alle labbra rosee, inclinando un po' il capo all'indietro per berlo più velocemente e per poi riportarlo in avanti facendo ondeggiare i suoi folti capelli ricci.
«Ma lei non vuole niente?» chiede dopo qualche secondo di silenzio dove io ero ritornato al mio libro, passando alla pagina successiva.
«Un bicchiere d'acqua, se si può» e senza fare domande me lo porge, servendo dopo di me altri ragazzi che si erano avvicinati, guardandomi in malo modo. Uno di loro scoppia persino a ridere mentre chiede uno shot e io mi stringo il libro tra le mani, ferito, ma non più di tanto.
«Non ci resti male» la barista torna da me.
«Non ci sono rimasto male» ribatto, cambiando nuovamente pagina.
«Ma lei legge sempre così velocemente?»
«Posso leggere 20.000 parole al minuto»
dico, e resto sorpreso quando al posto del solito "ma lei deve essere un genio" o dello sguardo pietrificato mi ritrovo la ragazza con gli occhi quasi che brillano che mi dice «ma è una cosa fantastica»
Alzo un sopracciglio per lo stato di confusione nel quale mi ha mandato e lei continua dicendo «ma si rende conto di quanti libri può leggere in un anno così? Vorrei esserne capace anche io» ribadisce, toccandosi i capelli e io le sorrido ampiamente. Dovrei dire qualcosa, ma sono sempre stato pessimo nei rapporti umani, quindi mi rimetto a leggere.
Lei mi lascia stare, scostandosi e preparando altri drink che le chiedono. Porge i bicchieri a due uomini sulla cinquantina, i quali la guardano insistentemente.
«Hey tesoro, ma cosa può fare quella bella bocca?» le chiede quello che si è seduto accanto a me, leccandosi le labbra e porgendole una mancia extra.
«Mandarti a fanculo» risponde sorridendo e riprendendosi i due bicchieri ormai vuoti, e mentre i due se ne vanno borbottando io non riesco a fare a meno di ridere ancora con la testa sul libro.
«Sa, non me la ricordavo così divertente l'esperienza di Ampere quando l'ho studiata»
«Lei l'ha studiata?» chiedo sorpreso, e lei sembra leggermente offesa dal mio tono incredulo.
«Mi sono laureata in fisica una settimana fa»
«Congratulazioni» le sorrido «forse dovremmo brindare» propongo e lei prende due bicchierini riempiendoli di vodka a melone (evidentemente ha intuito che non sono un gran bevitore).
«Posso chiederle su cosa era la sua tesi?» domando con curiosità. Non si trova mica tutti i giorni una barista con una laurea in fisica.
«Interpretazione della meccanica quantistica tramite logiche non booleane» mi sorride e poi mi chiede «perché legge un capitolo sul magnetismo in un posto come questo?»
Le spiego che ero qui con i miei amici dopo il lavoro, ma che loro sono davvero tipi festaioli contrariamente a me.
«E come mai proprio questo libro?»
«Mi piace molto la fisica, se avessi più tempo prenderei un dottorato ma il lavoro non me lo permette»
«Che lavoro fa?» mi sorride e noto che una ciocca dei suoi capelli le è caduta davanti ai grandi occhi nocciola, brillanti dietro le folte e lunghe ciglia nere.
«Sono un agente dell'FBI, lavoro all'unità di analisi comportamentale. Lei come mai con una laurea in fisica lavora qui?»
«Deve essere bellissimo il suo lavoro» commenta prendendo un bicchiere notando un ragazzo che si stava avvicinando.
Le chiede un Moscow Mule e lei sembra distrarsi dalla mia domanda, intenta a preparargli il drink. La osservo mentre si destreggia tra le bottiglie e i miei occhi si soffermano sul suo viso lungo e dagli occhi dolci e innocenti, che fanno un po' a cazzotti con quelle labbra dal disegno perfetto e carnose. La mia attenzione si sposta sulle sue clavicole sporgenti, messe in risalto dalla canotta nera che sta indossando. Il ragazzo le dice qualcosa che io non capisco e li vedo parlare animatamente; lei continua a sorridere senza smettere per un istante, così come fa lui.
Le prende il braccio e le scrive dei numeri sulla pelle abbronzata, e intuisco che si tratta del suo numero di telefono.
Offeso e ferito, senza alcun motivo razionale, mi alzo dopo aver lasciato una mancia sul bancone e vado via. Lei sembra accorgersi di me e urla «Agente! Va già via?» quasi con tono dispiaciuto ma credo che il misero bicchierino di vodka mi abbia dato alla testo e le rispondo semplicemente con «È dottore, arrivederci»
Prendo la borsa e me la metto in spalla, infilandomi in quel guazzabuglio di persone che si spingono alla ricerca di Penelope, Emily o Luke.
Dopo un tempo che mi pare interminabile scopro la chioma bionda di Penelope nascosta dietro la figura possente di un uomo alto, e mi avvicino a loro richiamando la sua attenzione.
«Ragazzi anche Reid è sceso in pista» annuncia Penelope emettendo un urlo compiaciuto dopo, che io smorzo subito dicendole «veramente volevo dirvi che sto andando via, sono stanco»
«Ma come? Dai Reid resta ancora!» Luke continua a ballare e credo stia tentando di fare colpo sulla rossa dietro di lui ma io scuoto il capo ridendo e li saluto abbracciandoli velocemente per poi uscire dal locale.

Respiro a pieni polmoni una volta fuori. Cammino verso casa a malincuore, in quanto dista più di 30 minuti a piedi ma essendo venuto con la macchina di Emily camminare è l'unica soluzione.
Stringo la tracolla della borsa sulla mia spalla e continuo a procedere sul marciapiede sbuffando, mi fanno male le gambe.
Essere andato a bere dopo aver risolto un caso, che includeva una corsa e una breve sparatoria non era stata una grande idea.
Taglio per il parco in modo da abbreviare il tragitto e dopo un po' mi siedo sull'unica panchina libera che vedo, in quanto le altre sono occupate da coppiette intente a baciarsi (e spero che si limitino solo a quello). Riprendo il mio libro ed inizio a leggere sotto la luce bianca di un lampione, accavallando le gambe e immergendomi a pieno nella lettura.
Proprio come un elettrone in un campo magnetico.
Dio, sono così squallido.
Mi porto una mano alla fronte sconsolato, mentre rido da solo, e non so se tutto questo sia frutto di un esaurimento nervoso o se sono semplicemente un'idiota. Un'idiota che legge come funziona il selettore di velocità però; un'idiota intelligente. Ho fatto un ossimoro. Sono un'idiota intelligente e poetico. Continuo a ridere mentre leggo e cambio posizione, stendendomi sulla panchina e posando il mio capo sulla mia borsa a tracolla.

Apro gli occhi infastidito da una leggera brezza estiva che mi soffia sul viso; non ricordavo di aver lasciato la finestra aperta. Mi siedo su quello che realizzo non essere il mio letto e capisco che mi sono addormentato sulla panchina del parco. Riprendo il libro di fisica da terra e lo rimetto nella borsa, correndo verso l'uscita e notando che sono le due e mezza di notte e che sono praticamente ancora distante da casa.
L'unica cosa che mi rincuora è sapere che domani non devo andare a lavoro.
Continuo a correre cercando di restare il più sveglio possibile, essendo ancora abbastanza assonnato e improvvisamente mi si avvicina una moto che si ferma accanto a me.
«Dottore, lo vuole un passaggio?»
«Non si preoccupi, preferisco andare a piedi» rispondo alla barista che mi guarda alzando gli occhi al cielo.
«Su non se lo faccia ripetere» scende dalla moto e apre il sedile, porgendomi un casco «prima che venga a piovere, salga» continua accennando alle nuvole scure che coprono le stelle.
Salgo sulla moto e le stringo la vita sottile per tenermi in equilibrio. Parte e sento i suoi capelli che mi pizzicano il viso, mossi dal vento.
Sfrecciamo tra le strade quasi vuote ma rallenta non appena un lampo squarcia il cielo scuro e inizia a piovere leggermente.
La sento mormorare una brutta parola a denti stretti e sorrido tra me e me, stringendomi di più a lei.

«Grazie mille per il passaggio» le dico porgendole il casco una volta arrivati. Siamo fermi sulla strada sotto casa e lei mi congeda con un sorriso ampio ma la fermo.
«Piove forte, non potrei mai lasciarla andare in moto con questo tempo» e dopo aver insistito per un bel po, sotto la pioggia incessante, la convinco a salire sopra con me.
Apro la porta di casa e getto la mia borsa per terra, e mi giro verso di lei che sembra essere concentrata ad esaminare il mio appartamento. Fa qualche passo incerta, come se si sentisse insicura dei suoi movimenti, e si ferma davanti alla mia libreria, sfiorando i vari volumi.
«Ha letto tutti questi libri?» chiede ad occhi sbarrati e io annuisco, facendola sorridere.
«Non mi ha ancora detto il suo nome comunque» inizio tentando di fare conversazione, mentre lei mi passa la sua giacca di jeans umida.
«Heather»
«Spencer»
«Comunque era per pagare l'università, finisco il mese e poi cerco lavoro» dice ex abrupto, e io la guardo con aria interrogativa per poi collegare la sua risposta alla domanda che le avevo posto prima che quel soggetto ci interrompesse al bar.
«Allora mi stava ascoltando»
«Ovviamente, ma quel ragazzo era un cliente abituale; sarebbe stato scortese non dargli corda» spiega, gironzolando ancora attorno alla libreria. Le cadono gli occhi sulla mia scacchiera e con sorpresa mi chiede se gioco o se è per bellezza. La prende e la porta da me, seduto sul divano, iniziando a preparare i pezzi.
«Non penso sia l'ideale giocare alle tre di mattina»
«È sempre l'ora adatta per giocare a scacchi» commenta ridendo e muovendo il pedone nero come prima mossa.

Dopo circa una quarantina di minuti stiamo ancora giocando e lei sbadiglia annoiata, è da cinque minuti che la partita è patta e nonostante ciò stiamo cercando una vana via d'uscita.
«Basta, ci rinuncio; patta! Mi arrendo»
«Anche io» esclama alzandosi e afferrando la sua giacca.
«Heather non andare» le dico capendo le sue intenzioni «piove ancora forte»
«Non voglio passare tutta la notte qui» replica come se le mancasse casa sua.
Ed io, come faccio con tutte le cose belle che trovo, la lascio andare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 30, 2023 ⏰

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